Malgrado la dicitura “tratto da una storia vera” sia stata lungamente impiegata da molto cinema d’inchiesta contemporaneo quale presunto lasciapassare attraverso cui affrontare una serie di tematiche decisamente troppo abusate –  in forme per lo più poco originali – Colonia non può che farsi vanto di una tale intenzione di far emergere un fatto di cronaca politica così poco conosciuto e terribilmente inquietante, laddove la scioccante realtà relativa a pratiche di condizionamento post-tortura attraverso uno pseudo catechismo religioso non possono che far venire a galla ben altri spettri del passato prossimo e remoto, dalle sempre presenti tenebre del nazismo passando per le “riabilitazioni” sovietico-comuniste, sino alla più che attuale follia nord-coreana.  La regia sobria ma perfettamente lucida di Florian Gallenberger, già ben capace di raccontare il retroscena del massacro di Nanchino in John Rabe (2009), ricostruisce con una fredda e tagliente obiettività documentaristica degna del migliore Costa-Gavras una delle pagine più buie e recondite della storia dell’Umanità, la quale  vede come luogo di manifestazione un’autentica hounted house – la ”colonia” del titolo – priva di spiriti al di fuori di quelli ancora (semi)vivi che vi sono imprigionati.

 

In Colonia durante una sosta di volo Lena, giovane hostess della Lufthansa, decide di recarsi in vista al compagno Daniel, fotografo tedesco già da tempo in visita al paese per documentarne la complessa situazione politica e per sostenere il governo socialista di Allende. Durante l’improvviso golpe militare con cui Pinochet assume il potere, i due giovani vengono arrestati e immediatamente separati. Dopo aver cercato a lungo Lena viene a sapere che il compagno è stato mandato nel centro di rieducazione di Colonia Dignidad, missione pseudoreligiosa fondata dal folle predicatore Paul Schäfer dalla quale è apparentemente impossibile fuggire. L’unico modo con cui la giovane può sperare di ritrovare Daniel è di entrare nella congrega fingendosi un’aspirante novizia.

Daniel Brühl coloniaA rappresentare le conseguenze a breve termine del dramma di un paese sconquassato dal repentino transito da una faticosa democrazia a un regime filo-fascista destinato a durare per oltre tre decadi vi sono un’ammaliante Emma Watson, qui al suo primo vero ruolo “maturo” capace di esaltarne doti ancora obnubilate da scritture alquanto mediocri, accanto a un Daniel Brühl non certo alla sua migliore prestazione ma comunque convincente, oltre a un agghiacciante Michael Nyqvist perfetto nei panni di un neo-Eichmann trapiantato in terra cilena. Terribile nella propria realtà storica e al contempo coinvolgente come solo i grandi kolossal politici possono esserlo, Colonia Dignidad è una preziosissima esperienza culturale ed emozionale che qualunque spettatore con un minimo di senso del tempo e della realtà dovrebbe concedersi, quantomeno per non rischiare di dimenticare ciò che le pericolose derive della Storia, eri come oggi, sono in grado di causare.

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RASSEGNA PANORAMICA
Matteo Vergani
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Matteo Vergani
Laureato in Linguaggi dei Media all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, studiato regia a indirizzo horror e fantasy presso l'Accademia di Cinema e Televisione Griffith di Roma. Appassionato del cinema di genere e delle forme sperimentali, sviluppa un grande interesse per le pratiche di restauro audiovisivo, per il cinema muto e le correnti surrealiste, oltre che per la storia del cinema, della radio e della televisione.
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