Tanti anni da comunicatore d’impresa (con qualche contaminazione da marketing di prodotto, lo riconosco) mi portano inevitabilmente a dare molta importanza al “tono di voce” di un film. Sotto questo profilo ho visto, nell’ambito della Festa del Cinema di Roma, l’opera di Pan Nalin caratterizzata da una molteplicità di linguaggi: all’inizio sembra quello fumettistico-bollywoodiano con note d’ironia, poi evolve decisamente in commedia anticonformista, vira all’improvviso verso il tragico finale. Questa sorta di escalation secondo me, colpevole discontinuità per qualche critico rigoroso sostenitore della coerenza stilistica, conquista certamente il pubblico: il regista lo rilassa e lo diverte all’inizio, lo coinvolge nel mezzo e, una volta che ce l’ha in pugno, mostra la sopraffazione e gli scatena visceralmente l’ansia di giustizia.

 

Ecco una narrazione che è una metafora di come si aggancia narrativamente il pubblico, di come si creano le condizioni per far passare il messaggio finale puntando sull’intelligenza emotiva: la userò come esempio nei seminari di comunicazione efficace.

Poco fa ho appreso che Angry Indian Goddesses è il film vincitore della decima edizione della Festa del cinema: la storia di Frieda, che riunisce le sue amiche per una folle settimana di addio al nubilato tra litigi e riappacificazioni, trasgressioni e nuove consapevolezze, amicizia e contrapposizioni, è stata votata in maniera massiccia dagli spettatori. La platea romana ha capito, vissuto emotivamente e condiviso il messaggio di Pan Nalin, cineasta autodidatta che vuole parlare al pubblico prima che alla critica: “Da regista che ama tutto ciò che è femminile, ho preso atto della lotta delle donne indiane per la parità, il rispetto e la dignità e ho usato il loro travolgente impeto per portare questa lotta sullo schermo”.

Le sette “dee furiose”, ciascuna con la sua storia che progressivamente affiora, hanno vinto battendo concorrenti di tutto rispetto. Vediamo ora se ci riesco io a vincere con i manager comunicativamente irrisolti. O semplicemente consapevoli che, per stabilire una relazione comunicativa vera con gli interlocutori, essere professionali oggi non basta. Non basta più.

Di Marco Stancati

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