Palermo, 1937. Tommaso Scalia (Ennio Fantastichini) è un impiegato della Confederazione fascista, da poco licenziato. Una mattina si presenta nel suo ex ufficio ed uccide a sangue freddo il proprio capo ed il collega scelto per sostituirlo; tornando verso casa farà lo stesso con la moglie. Compiuto il triplice omicidio attenderà l’arresto ed il conseguente processo dall’esito scontato: la pena di morte. Tra i giudici chiamati a giudicarlo c’è anche Vito Di Francesco (Gian Maria Volontè), serio, ligio al dovere e deciso a capire cosa ci sia nascosto dietro a quella vicenda apparente molto chiara. Inizierà così la battaglia del giudice per evitare la forca ad un uomo che pare già spacciato.

 

Corre l’anno 1990 quando Gianni Amelio (Il ladro di bambini, Lamerica e Le chiavi di casa) dirige questo Porte aperte, film candidato agli Oscar come miglior film straniero e vincitore di diversi premi al David di Donatello tra cui quelli come miglior film, costumi e miglior attore protagonista (Volontè). Un film cui sceneggiatura è tratta dall’omonimo romanzo di Leonardo Sciascia, straordinario scrittore che già in passato aveva fornito più volte le idee per ottimi film (Il giorno della civetta, Todo Modo e A ciascuno il suo con lo stesso Volontè).

porteapertePorte aperte è un film in cui Amelio riesce a conservare la lucida essenzialità, semplicità e chiarezza narrativa del romanzo, una storia che lascia nello spettatore la continua sensazione che sotto le apparenze e l’ovvietà della vicenda, si nasconda qualcos’altro, quel torbido che non deve essere svelato. Perchè Tommaso Scalia compie quei delitti? Possibile che sia solo la punta dell’iceberg di un sistema ben più complesso e radicato basato sulla corruzione e il malaffare? La rapidità con cui le autorità vogliono che il caso venga chiuso può essere dettata dal timore di scoperchiare pentole che devono mantenersi chiuse per non gettare discredito sulla macchina amministrativa fascista? Quesiti che il film lascia intuire e passa allo spettatore, basandosi su quei giochi di allusioni e ammiccamenti tanto cari a Sciascia e tipico della cultura siciliana.

Gian Maria Volontè, che qui già compare con un aspetto stanco e debole, interpreta con la solita maestria il ruolo del giudice incorruttibile e onesto, deciso a non piegarsi ai dettami del potere politico. Attorno a lui una serie di eccellenti interpreti tra cui risalta un volto nuovo, per l’epoca, che in futuro diventerà uno degli attori italiani più stimati: Ennio Fantastichini.

Un film in cui Amelio, pur facendo leva su un contesto storico lontano e molto particolare, tratta un tema sempre d’attualità nel nostro paese, quello della pena di morte. Il giudice Di Francesco incarna la posizione di tutti coloro che ripudiano l’idea di uccidere un uomo a prescindere dalle sue colpe, a prescindere dalla gravità dei suoi reati così come nel caso del pluriomicida e per nulla pentito Tommaso Scalia. Contro di lui un intero sistema che ovviamente vedeva nella pena capitale lo strumento adatto non solo per punire il reo ma anche e soprattutto per combattere certi atti criminosi. Porte aperte è un film intrigante, che forse segue eccessivamente il passo cadenzato e stanco del suo protagonista, manca di ritmo in certi frangenti, ma che in definitiva e nel suo complesso si fa apprezzare per la serietà e la lucidità con cui affronta le vicende narrate.

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