A serbian film: recensione del film di Srđan Spasojević

A serbian film recensione

A SERBIAN FILM: per una definizione di immagine estrema e immagine pornografia

 

La vera storia della guerra in Iraq è stata redatta dai media commerciali di massa: se siamo disposti a provocare questi disordini, allora dobbiamo anche affrontare le orrende immagini che conseguono da questi atti”

(Brian De Palma, a proposito di Redacted)

Cosa colpisce in A serbian film? Immagini estreme senza censura. Estremismo è fastidio, direbbero alcuni. Cappabianca definisce invece immagine estrema quella che riesce a mettere in crisi, in senso quasi fisico, la nostra stessa sicurezza; quella che si rifiuta di essere contemplata, anche in nome della sua bellezza formale o della sua acutezza intellettuale; quella che ci sconvolge perché non riusciamo più a credere che sia solo un’immagine.

Nel cinema la realtà più cruda diventa incorporea, ma qui qualcosa resiste: l’immagine trasuda disperazione e denuncia, diventando altro rispetto all’immagine in sé- intesa e come documento e come film. Sorretta da un contesto grigio e palpabile, quest’immagine prende vita, sanguina e grida. E il suo grido viene da lontano: è il grido represso a causa delle oppressioni inflitte da un potere tiranno. Il grido si fa immagine: immagine estrema.

L’immagine diventa immagine estrema, la quale, lontana dall’autoreferenzialità, trascende il film per divenire pura voce – e grido appunto.Ma cosa ha reso l’immagine, un’immagine estrema? La guerra, risponderebbe il regista in questo caso. Non tutte le immagini di guerra sono però immagini estreme. Debray avvalora quanto detto affermando che le immagini catturate dell’evento mass-mediatico non riescono più ad avere un vero e proprio valore di testimonianza. A serbian film: immagini di guerra in un film porno: la guerra diventa pornografia: nulla di più vero. Spettacolarizzata e commercializzata, l’immagine di guerra entra nelle nostre case tramite giornali, tv e trilioni di siti internet: totalmente svuotata di un senso altro, quest’immagine si guarda allo specchio incapace di esprimere altro da sé. In tal senso significa che l’immagine, ripresa dai media con intenti meramente commerciali, non sarà mai immagine estrema, ma immagine pornografica semmai, e sarà sempre piatta e priva di significati ulteriori.

“Questo film (A serbian film) è il diario delle angherie inflitteci dal Governo Serbo, il potere che obbliga le persone a fare quello che non vogliono fare, devono sentire la violenza per capirla”. L’immagine di A serbian film in tal senso si pone come immagine cognitiva: conoscenza della violenza e del contesto in cui tale violenza vive, ma non è solo tale. Lo spettacolo c’è, eccome. La violenza è spettacolarizzata dal momento che è pensata per essere commercializzata: lo snuffmovie all’interno del movie stesso è emblema dell’immagine capitalizzata e resa pornografica. L’immagine di A serbian film è immagine estrema dal momento che si pone oltre il documento pornografico- che pur denuncia- e si colloca nella sfera delle immagini che attivano processi cognitivi. Il processo cognitivo in tal caso è doloroso, ma perdura dal momento in cui attiva la coscienza e si distacca dall’immagine pornografica, la quale non innesca una conoscenza ma solo un momentaneo sentimento patetico.

Nel caso della guerra, l’immagine-documento spesso non riesce a rinviare ad altro che a sé stessa, allontanandosi dalla portata documentaria che dovrebbe avere, cercando un semplice approccio emotivo- e quindi effimero. L’avvento massmediatico non ha fatto altro che avvalorare tale tesi. Non a casa Brian De Palma per costruire il suo Redacted si serve dei mezzi propri dei massmedia (video dei militari americani) creando un falso documentario basato però su testimonianze vere. Perchè De Palma non ha usato i veri video?

Perché aveva bisogno di una drammaturgia alla base che distinguesse l’immagine pornografica dall’immagine che egli voleva creare: un’immagine conoscitiva appunto; De Palma con il suo lavoro conferma la tesi di Debray secondo la quale la fuga senza ritorno delle immagini che avviene giorno dopo giorno è un canale di ricambio per le memorie e una dissuasione per l’intelligenza.  Essa feticizza l’istante, destoricizza la storia, scoraggia lo stabilirsi della minima serie causale”.

Pasolini da parte sua per Salò e le 120 giornate di sodoma si ispira ai racconti del marchese De Sade: l’approccio filologico e concettuale- unito alla freddezza dell’immagine- dichiarano il voler prendere le distanze da qualsiasi forma di cinema emotivo e patetico-abitudine ci certo cinema americano- per cercare di instillare nello spettatore la coscienza- e perché no, la conoscenza- del male: lontani dal tempo dello “spettacolo”, che non funziona più nei termini del racconto, ma in quello della rappresentazione-sostituzionesimulazione.

A serbian film, la violenza allo statu puro

Nel caso specifico di A serbian film, la violenza è violenza allo stato puro che si fa spettacolo: spettacolo (pedo)pornografico pronto per essere fagocitato dai produttori(e dagli spettatori); l’immagine estrema in tal senso non sarà l’immagine violenta in sé, quanto piuttosto l’immagine di coloro che creano l’immagine pornografica in nome dell’arte, immagini di morte in nome della vita.

Non a caso le immagini più toccanti sono riprese di filmati girati in precedenza: lo stupro sul neonato esempio obbligato, simbolo della tirannia che offende prima ancora di poter parlare e della violenza che penetra prima ancora di venire al mondo; è la violenza fatta video e pensata per essere venduta, svuotata della sua gravità e resa oggetto del desiderio dello spettatore; ma proprio in virtù di tale distacco-formale in questo caso- e dell’evidente portata simbolica, quell’immagine-quasi impossibile agli occhi dell’individuo scevro dal contesto bellico- si presenta come immagine estrema, rinviando-attraverso un processo cognitivo- ad un contesto altro(bellico appunto).

Il dover riprendere in nome della conoscenza si rivela altrettanto falso della necessità di riprendere la morte in nome della vita: il tutto sempre a discapito del soggetto incapace di avere il controllo delle proprie azioni-drogato e indotto come lo è il nostro protagonista serbo- assoggettato dal capitale tiranno(non a caso sarà proprio il bisogno di denaro per poter fuggire dal paese a far si che il protagonista diventi vittima/carnefice del gioco di coloro che non si vedono mai); e la denuncia è tale che sembra quasi che il bisogno di pornografia sia causa di morte: il compulsivo bisogno di immagine si traduce in una scopofilia deviata che non lascia in pace il soggetto neanche dopo la morte: anche il corpo morto, dissacrato e offeso, è materia prima per uno show che must go on a discapito dell’arte, della vita e dell’intelligenza umana, prodotto dell’imperante capitale che promuove una cultura che vive all’insegna del trash e della pornografica.

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