Araf – somewhere in between – recensione

Anno: 2012

 

Regia: Yesim Ustaoglu

Cast: Neslihan Atagul

La regista turca Yesim Ustaoglu ha concorso col suo film Araf – Somewhere in between all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, nella sezione Orizzonti. Il film è ambientato in Turchia, dove una ragazza (Zehra) ed un ragazzo (Olgun) lavorano presso un autogrill, apparentemente coinvolti sentimentalmente in qualche modo. Entrambi sognano di realizzarsi nella vita, ma alla fine li troveremo a maturare solo tristemente. Olgun vorrebbe amare Zehra; pensa di riuscirci dopo aver partecipato e vinto al noto gioco televisivo di Affari tuoi. La ragazza però non è attratta da questa prospettiva, che ritiene illusoria. Durante una festa di matrimonio, Zehra conosce un uomo adulto, un camionista. L’attrazione fra i due è immediata. Zehra s’innamora davvero, mentre il camionista finirà per abbandonarla, dopo averla messa incinta.

Il titolo originale Araf è stata tradotta in inglese come Somewhere in between, qualcosa che dobbiamo interpretare in modo più problematico. Araf in lingua araba significa cima (elevazione): là per la religione islamica s’ospitano le persone che non meritano né il Paradiso (oltre i cieli) né l’Inferno (sotto la terra). Un between che la regista cercherebbe d’inquadrare, quando la protagonista, Zehra (con la bella recitazione di Neslihan Atagul) fa scorrere le sue mani contro un finestrino, potendo solo agognare la fuga, da un ambiente familiare e di lavoro molto oscurantista. Persino gli abbracci d’amore col camionista la portano a bloccarsi in se stessa. Allora, lo spettatore percepisce soprattutto la finestra sullo sfondo, con la freddezza del paesaggio invernale. Nella scena basilare, drammaticamente Zehra ha un aborto spontaneo. Lì, vediamo che scorrono freddamente (senza guadagnare la profondità) sia le mani (lungo il volto, anticipando le lacrime) sia la macchina da presa (che accompagna la caduta del feto), un realismo cinematografico che di recente abbiamo incontrato nel film 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni, del rumeno Mungiu. Il between estetico connota principalmente le scene più affettive. Zehra ad esempio rivede l’amato camionista (dopo il primo incontro, appena furtivo), attraverso le vetrate dell’autogrill dove lavora. L’uomo pare ricordarsi di lei recuperando un suo gioiello. Olgun è convinto che Zehra possa amarlo anche e soprattutto per una vittoria ad Affari tuoi. Il camionista fa continuamente la spola fra il suo lavoro e lautogrill.

La fotografia del film si basa sui colori neutri invernali. C’è il bianco della neve, ed il grigio più delle stanze che dell’aria, quando l’amore si blocca su se stesso (anche drammaticamente, ricordando il feto che cade, sul pavimento sbiadito del bagno ospedaliero). In poche occasioni, la panoramica sulle campagne dell’Anatolia ci mostra più che altro la curvature di alcuni pali elettrici. E’ l’avvertimento estetico per cui gli abbracci fra le persone restano solo contorti in se stessi. La coltre della loro malinconia ci pare incrinabile. Le persone non avrebbero un reale contatto. Recentemente, Ceylan ha girato un film (C’era una volta in Anatolia) costruito proprio sulla tortuosità delle strade rurali, nella sua Turchia. Conosciamo molto bene il Somewhere di Sofia Coppola: quello di Yesim Ustaoglu si darebbe entro le “fredde cime” dell’incomunicabilità. Una soggettività davvero vogliosa di maturare (nel caso della giovane Zehra) è costretta ad isolarsi, rispetto ad un mondo passivamente appiattito, sulle sue fondamenta (quando la vecchia madre si sente disonorata dalla figlia). Il finale del film solo ingenuamente ci pare riposante, contraddicendo il dramma dell’aborto. La felicità del matrimonio riceve l’incoronazione pubblica (col servizio televisivo), ma senza la “dote” degli Affari tuoi.

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