Jug Face: recensione del film di Chad Crawford Kinkle

Jug Face recensione film

Jug Face è il film del 2013 diretto da Chad Crawford Kinkle con Sean Bridgers, Lauren Ashley Carter, Larry Fesseden, Daniel Manche.

 

La trama di Jug Face

In una sperduta foresta di un posto non ben precisato nel centro America vive una piccola comunità ancora legata a strani culti pagani che inneggiano ad una strana divinità richiusa nelle viscere di una fossa. L’entità offre protezione alla comunità dalle malattie e dalla morte in cambio di costanti sacrifici umani, che vengono eseguiti nel momento in cui un membro della congrega, dopo aver avuto una visione del futuro prescelto, ne modella il viso su di un vaso di terracotta.

Quando la giovane Ada, dopo essere rimasta incinta del fratello Jessabay, viene a scoprire che con molta probabilità sarà la prossima vittima sacrificale, decide di fuggire dalla comunità, scatenando così l’ira del potere racchiuso nella fossa che subito abbatte sulla congrega la sua sciagura. Ada deve dunque essere trovata per placare la rabbia dell’entità e far tornare tutto alla normalità.

L’analisi del film

Strana, oscura, viscerale. Questi sono alcuni degli aggettivi che servirebbero per descrivere questa pellicola in cui Chad Crawford Kinkle ci trascina nel mezzo della pura superstizione proveniente da un passato oscuro ma che spaventosamente convive ancora nelle comunità rurali dell’America più profonda e sperduta. È un racconto di crescita, paura e iniziazione, dove il tema del sacrificio ricorda terribilmente un passato ormai ancestrale in cui le divinità erano vendicative e assetatate di sangue, dove la protezione e l’immunità divina dovevano essere guadagnate con qualcosa di più che una semplice preghiera.

Jug Face è disturbante fino all’estremo, senza eccessi narrativi o estetici di alcun tipo, completamente privo di effetti speciali e sapientemente costruito sulla sola progressione dei fatti agghiaccianti che hanno per tema una comunità riunita attorno ad una ritualità che sconfina fra il sacro e il profano, fra il sacro ed il sacrilego. Forti e potenti sono i venti d’ispirazione che arrivano direttamente dalla mitologia mostruosa di H.P.Lovecraft e dalle comunità settarie dell’America malefica di Stephen King, ma il tutto si amalgama alla perfezione in un settino ridottissimo, che comprende di fatto solo la foresta in cui la vicenda si svolge.

Le facce dei prescelti incise sull’argilla ricordano i vasi canopi funerari egizi, così come tutta la religiosità oscura e opprimente votata alla morte ci sembra arrivare direttamente dalle antiche sponde del Nilo. La fossa si fa metafora della nascita e della morte, oscuro passaggio verso un mondo terribile a cui si giunge attraverso un torbido rito di iniziazione (con chiari riferimenti alla maturazione sessuale).

Lauren Ashley Carter ben si destreggia nel ruolo della spaurita Ada, incapace di adattarsi fino in fondo agli oscuri rituali della sua comunità e pronta anche a sacrificarne la stabilità pur di far sopravvivere se stessa ed il bambino che porta in grembo, frutto per altro di un rapporto incestuoso che rende ancora più malato e terribile il tema dell’amore familiare e di sangue. Ed è proprio di un legame familiare che si compone la distorta compagine di personaggi che si avvicendano in questo oscuro antro del mondo dove tutto riporta al passato e dove il futuro sembra solo un’illusione indefinibile.

La fotografia di Chris Heinrich crea un’atmosfera malata e allucinatoria, contrappunto perfetto alle stranianti melodie d’accompagnamento di Sean Spillane. Niente fronzoli e niente sbavature, ma solo una pellicola forte, potente e ben costruita in tutte le sue parti. Un film semplice da un punto di vista di progressione narrativa ma complesso fino all’estremo come tematiche trattate, che nasconde un microcosmo di significati simbolici e metafore che lo spettatore è invitato ad assorbire a più visioni per poi cercare di trovare una propria logica d’insieme. Oppure può godersi un prodotto che nel suo insieme appare come originale e canonico allo stesso tempo.

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Matteo Vergani
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Matteo Vergani
Laureato in Linguaggi dei Media all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, studiato regia a indirizzo horror e fantasy presso l'Accademia di Cinema e Televisione Griffith di Roma. Appassionato del cinema di genere e delle forme sperimentali, sviluppa un grande interesse per le pratiche di restauro audiovisivo, per il cinema muto e le correnti surrealiste, oltre che per la storia del cinema, della radio e della televisione.
jug-face-recensioneJug Face è disturbante fino all'estremo, senza eccessi narrativi o estetici di alcun tipo, completamente privo di effetti speciali e sapientemente costruito sulla sola progressione dei fatti agghiaccianti che hanno per tema una comunità riunita attorno ad una ritualità che sconfina fra il sacro e il profano, fra il sacro ed il sacrilego