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Avete mai pensato a quale sapore possa avere il sangue? Ovviamente il mordersi un labbro per caso, scalfire una gengiva mentre ci si lava i denti, non contano, parliamo di sangue altrui, magari di uno sconosciuto caduto con tutte le scarpe nella vostra trappola di seta, che senza saperlo vi offre la gola per nulla in cambio. È ciò che probabilmente si sono chiesti Ryan Murphy e Brad Falchuk, che dopo un pilot di presentazione (che vi abbiamo raccontato la settimana scorsa) in cui le carte venivano distribuite sul tavolo da gioco, danno ufficialmente il via alle danze dell’incubo in American Horror Story Hotel 5×02, mettendo i primi punti esclamativi alla storia. Di colpo l’orrore si fa glam, sfarzoso, scintillante, almeno più del solito, e continuando a omaggiare i capisaldi del genere fa diventare tutto più nitido, malato, disturbato. Il legame con il passato della serie, in particolare AHS Asylum, si fa più marcato e si delinea all’orizzonte una figura che tutto ha creato, tutto ha cambiato, secondo le linee guida di un flashback sbiadito.

 
 

american_horror_story_saison_5_poster_4-2File rouge, e mai espressione è stata più adatta, di ogni sotto trama, ogni intenzione, è per l’appunto il sangue, scuro, zampillante, del quale si riesce persino a percepire l’odore acre eppure dolce, accogliente. Un po’ come l’Hotel Cortez, che nonostante un aspetto duro, oscuro, pian piano si fa accomodante, e inghiotte ospiti e spettatori senza neppure che essi riescano ad accorgersene. Certo non è tutto festini, divertimento e pulsione sessuale, resta pur sempre un luogo che ci mette di fronte ai suoi bambini sperduti alla ricerca di Wendy, alle sue origini, ai suoi proprietari ad honorem, alla sua fame di violenza e la sua natura profondamente splatter. I muri imbrattati di rosso sono però costantemente un mezzo, una metafora, per metterci in guardia – esattamente come avevamo sperato durante l’episodio 5×01 – dalla falsità della gloria, dalla cecità della religione. Si finisce così a giocare con gli Oscar, simbolo assoluto di Hollywood e del suo sistema, con i comandamenti (Onora il padre e la madre, Non uccidere), riportandoci alla mente i peccati di David Fincher in Seven uniti alla follia omicida di Bloody Face del sopracitato AHS Asylum.

Sessantanove minuti (praticamente un mediometraggio) completamente anarchici, sregolati, che elevano ancora una volta il personaggio di Lady Gaga a Deus Ex Machina o quasi, e salutano in modo trionfante il ritorno ufficiale di Evan Peters, anche se i più audaci lo avevano già spottato durante il pilot. Meno spiritualità, più concretezza, con molti frammenti del puzzle già sistemati al loro posto e altri da riguardare con attenzione, sotto le note di Brian Ferry, dei New Order, dei Siouxsie And The Banshees. Un’ode all’espressionismo tedesco con sfumature dance e glam rock, una miscela che intrappolerà orde di appassionati, così come ha intrappolato noi oltre le aspettative.

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