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Il cambiamento era atteso come un temporale dopo giornate di caldo. Quest’anno, pensavamo, tutto sarebbe stato diverso in Game of Thrones: punto di rottura con il passato letterario ma anche trampolino di lancio verso nuovi e inediti sviluppi, la sesta stagione ha rappresentato per certi versi il primo vero segnale di indipendenza della serie dalla fonte originale, quei romanzi scritti da George R.R.Martin che se un tempo dettavano legge, ora sono diventati poco più che un’ispirazione nelle mani dei due showrunner David Benioff e D.B.Weiss. Nel rispetto della tradizione ancestrale e del racconto sugli uomini e le loro virtù, Game of Thrones ha saputo mantenere intatto il suo incredibile potere di intrattenimento, coniugando inganni e violenti combattimenti con un risultato finale che sembra ancora paventare il giudizio di fan e allo stesso tempo offrire uno spettacolo completo, ricco e affamato di emozioni forti.

 
 

Il distacco dai libri ha poi incoraggiato un’altra grande rivoluzione, all’interno di un panorama televisivo (e cinematografico, ovviamente) che sta mandando chiari segnali di civiltà, nonché di uguaglianza di genere. La vera rivoluzione di questa stagione è rappresentata dalle donne al potere: madri, figlie, sorelle, hanno risolto conflitti, attenuato dolori, preso decisioni mettendo in mostra doti sconosciute alla controparte maschile. Le donne di Game of Thrones, dagli inizi in cui erano soltanto corpi saccheggiati dallo schiaffo del potente, si sono finalmente tramutati in soggetti attivi, non più nudi ed esposti all’umiliazione, ma rivestiti di gloria e saggezza, talvolta crudeltà; d’altronde già la prima puntata dell’anno era iniziata con una vendetta (a Dorne) e con una promessa di vendetta (ad Approdo del Re) femminili, presagio di un cambiamento imminente e di una necessità quasi storica. Sulla strada delle grandi donne tracciata da Shakespeare e oggi percorsa dai alcuni personaggi del piccolo schermo, come la Ani Bezzerides di True Detective, sempre prodotto HBO, o le ladies di Game of Thrones Cersei, Arya, Sansa, Daenerys.

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Il sacrificio: Cersei

La lunga via dell’umiliazione per Cersei Lannister ha origini antiche ma raggiunge il suo acume nella walk of shame della quinta stagione, quando incontra gli insulti del popolo a piedi scalzi dal tempio di Baelor fino alla Fortezza Rossa. Cersei è sempre stato un personaggio complesso, come lo è la natura del racconto di Martin, una donna cresciuta fra gli uomini che ha trasformato i torti subiti (dal marito Robert Baratheon, dalla famiglia, dal sistema patriarcale) in un unico grande obiettivo: proteggere il sangue del suo sangue, quei figli caduti come pedine nel gioco delle guerre a distanza. L’episodio finale, “The Winds of Winter” si apre nel segno di un’attesa e nel suono di note che ricordano la ninna nanna che la madre canta ai suoi bambini per farli addormentare; Cersei, che all’ombra degli inganni di corte tesseva una cura maniacale per i suoi tre eredi, sembra aver sancito il contratto primordiale che la legava indissolubilmente a loro e che, nel momento decisivo (l’attentato con l’altofuoco al Tempio) decide di sciogliere. È il trionfo del rovesciamento dei ruoli, una cerimonia spietata e vestita di nero che richiama il lutto ma anche, e soprattutto, timore, freddezza, distanza. Cersei non è più una madre, ma un pericolo per i suoi nemici.

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L’indipendenza: Daenerys

Un’altra donna siede ora sul gradino più alto, un’altra donna che ha rivendicato il diritto di scelta in un sistema politico/sociale che la vedeva prima come incubatrice di alleanze, poi come desiderio amoroso conteso fra due uomini. Dopo un periodo di stallo, finalmente Daenerys Targaryen abbraccia le sue responsabilità di governatrice spietata cavalcando il fuoco dei draghi e ribadisce un concetto assai ricorrente in questa sesta stagione: l’indipendenza femminile che non ha bisogno di ruoli istituzionali o vincoli matrimoniali per essere affermata. Quando in “The Winds of Winter” rifiuta l’amore di Daario Naharis, il volto di Emilia Clarke non lascia intravedere alcuna emozione e si congeda ribaltando l’antico principio dell’unione tra uomo e donna per prosperare in tempo di guerra. Khaleesi non ha certo bisogno di Daario, né dell’accondiscendenza di Ser Jorah per guidare una rivoluzione fondamentale a questo punto del racconto, ma si circonda dei consigli di un saggio (Tyrion) e intuisce al solo sguardo le potenzialità di un rapporto che parla la stessa lingua (con Yara Greyjoy).

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La vendetta: Arya

Arya Stark era poco più che una bambina durante il trasferimento coatto ad Approdo del Re. Lì, sfuggendo alle lezioni di buon costume per diventare una lady di corte, affinava l’arte della spada sognando un futuro diverso. Un “ago” per infilare nemici, e non per cucire, l’ha accompagnata lungo un percorso fatto di realtà terrificanti e spettacoli della morte, tra cui la decapitazione del padre e la separazione dalla famiglia, eventi che nell’anima di una giovane soldatessa maturano sentimenti di vendetta normalmente sconosciuti all’età. È stata, questa appena conclusa, la stagione del riscatto dei figli, e lo vedremo in seguito con Sansa, quelle creature innocenti esposte al massacro incapaci di muoversi perché troppo spaventate, o impreparate, ma adesso pronte a essere soggetti attivi degli inganni. Arya, che aveva sempre nascosto se stessa nel dualismo della coppia (prima con Gendry, poi con il Mastino), tra la quinta e la sesta stagione recupera la piena individualità, proprio al termine del gioco dei mille volti di Jaqen H’Ghar, in un piano che si servirà del mutevole per arrivare all’utile, senza cui nessun individuo della serie sopravviverebbe.

sansa_game of thronesLa maturità: Sansa

Madri, mogli tradite, figlie. Nella sua fase più indipendente e moderna, Game of Thrones ha curato con particolare affetto e intelligenza le sorti del personaggio di Sansa, un tempo vittima passiva e oggi sbocciata come un fiore nel ghiaccio. Oltre ad aver acquisito una certa fierezza dello sguardo e una bellezza consapevole, la ragazza Stark delle ultime puntate ricorda in maniera impressionante sua madre Catelyn, come se la storia non volesse interrompere il ciclo naturale del divenire e si arrendesse alla ripetizione degli stessi eventi. Sansa è figlia del potere, è figlia degli accordi, è figlia delle politiche matrimoniali, è figlia degli abusi e della follia maschile, ma in questa grande realtà televisiva che osserva la realtà esterna (la nostra) una giovane donna non rimane ai margini ma agisce. Ecco perché Sansa è un personaggio, se non il personaggio chiave della sesta stagione: non solo assorbe le qualità di certe eroine contemporanee, addirittura risolve una guerra ormai data per persa. Sono dati importanti per il mondo a cui fa riferimento Game of Thrones, a metà tra Medioevo ed età Rinascimentale, dove l’idea che una donna molto giovane metta a punto la strategia vincente può sembrare assurda. E come Cersei, Daenerys e  Arya (senza dimenticare Yara e Brienne), anche Sansa rompe d’improvviso le catene dell’appartenenza agli uomini per tracciare una strada solitaria, in nome di quel cambiamento tanto atteso e ora finalmente realizzato. Un temporale si abbatterà sulle terre aride dei re, e nasceranno nuove figlie, madri e regine.

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