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E’ già andato in onda, negli Stati Uniti, il pilot della nuova ed attesissima serie firmata da Shonda Rhimes, How To Get Away With Murder. Già autrice di Grey’s Anatomy e Scandal, la Rhimes ha conquistato milioni di spettatori in tutto il mondo. La sua capacità di costruire aspettative per poi demolirle in maniera (quasi) sempre logica e coerente dà modo al pubblico di entrare nel vivo della narrazione e lasciarsi sorprendere dagli eventi. Per creare un vero “effetto sorpresa” è tuttavia necessario guadagnare la fiducia dello spettatore creando delle premesse concrete e soprattutto verosimili.

 
 

In How To Get Away With Murder 1×01 la protagonista è Annalise Keating, un brillante avvocato interpretato da Viola Davis (candidata all’ Oscar per The Help), che oltre ad esercitare la sua professione tiene un corso alla Middelton Law School.

Il pilot inizia con un flash forward che mostra quattro ragazzi che stanno decidendo come nascondere le prove di un omicidio. Durante il suo corso, la professoressa Keating propone un caso vero proprio sul quale sta lavorando in qualità di avvocato difensore e indice un concorso tra i suoi studenti. I più brillanti, quelli che sapranno dare l’apporto maggiore alla sua causa, verranno premiati con l’assunzione nel suo studio legale. Vediamo quindi gli studenti darsi da fare per raggiungere l’ambito premio ma inevitabilmente, tra tutti, si fanno strada i quattro che avevamo visto all’inizio dell’episodio: Connor Walsh (Jack Falahee), il saccente snob, Michaela Pratt (Aja Naomi King), l’ambiziosa e brillante studentessa, Laurel Castillo (Karla Souza), e Wes Gibbins (Alfred Enoch), povero in canna e ultimo arrivato che cerca di farsi strada con le sue capacità.

La trama promette bene e gli attori sono molto interessanti, ma in un pilot come questo, in cui il ritmo è l’elemento essenziale per la credibilità e le premesse al colpo di scena finale, l’idea del flash forward troppe volte reiterato nel corso dei quaranta minuti non è stata forse la scelta migliore. Data la prevedibilità degli eventi la narrazione risulta appesantita e lenta. Gli elementi di sorpresa sono ben pochi e gli indizi lasciati per la prosecuzione dell’intreccio non abbastanza accattivanti.

Come in Scandal la protagonista è una professionista insostituibile nel suo campo ma non poi così perfetta nella vita personale, piena di contraddizioni e con un discutibile senso della morale. Questa volta però il contesto è diverso: i “complici” della protagonista non sono suoi pari, come accade in Scandal, e l’ambiente accademico, che pretende di essere il più possibile realistico, non può permettersi espedienti tipici di un drama come quello political o medical. In questo caso il ritmo e la caratterizzazione dei personaggi sono la chiave per mettere in moto l’intero meccanismo. Se questi elementi non funzionano correttamente lo show è come un disco bloccato sempre sul ritornello della stessa canzone.

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