Il Paradiso Amaro di Payne

Le combinazioni vincenti non sono dettate dalla loro natura di affinità e questo Alexander Payne lo ha capito da sempre. La bellezza non è data dalla felicità, e forse la perfezione dei suoi film scaturisce da abbinamenti opposti e complementari: la spensieratezza della California con la consapevolezza amara vissuta da Paul Giamatti, e ancora l’esotismo delle Hawaii con il dramma di George Clooney.
Questo film si innesta in una cornice di festa ed estremo divertimento, in cui erroneamente si potrebbe credere di trovarsi in un paradiso, svincolato da drammi e delusioni. È qui che inizia a giocare il regista. Alexander Payne sfrutta i luoghi comuni, e li capovolge, quasi a voler comunicare che la perfezione e felicità (nello specifico) sono dei fattori personali, del tutto mentali.
Il bello e divertente George si spoglia dei suoi panni di superuomo per dare vita ad un nuovo personaggio: Matt King, un uomo il cui percorso di vita narrato, coincide  con una metamorfosi personale legata alla conquista di nuove visioni e consapevolezze.
Il film mescola assieme l’amara ironia di chi non sa e non può fare altro che andare avanti, con momenti di acutissimo dolore, è qui che regna sovrano George Clooney con una performance di insolita bravura. Sguardi profondi e di sconforto che lasciano il posto alla rabbia insana di chi è stato beffeggiato, deriso e tradito, si incastrano inverosimilmente in un ambiente di privilegiati e benestanti, coccolati da sempre da vite che sembravano allergiche ad ogni difetto.
Il mare, i divertimenti, le feste, il lusso, i colori forti di un’estate interminabile stridono con l’incapacità di capire se ci si sente abbandonati o feriti, ingannati o amati, forti per far fronte alla propria famiglia o inetti per saperla proteggere.
Accanto alla tristezza per un cambiamento improvviso e non voluto, Matt King intravede l’obbligo, che si tramuta in piacere, di riscoprire il proprio sangue: le sue due figlie, che saranno poi la sua epifania, il raggiungimento di una perfezione mai contemplata, in altre parole, la sua vita.
Alexander Payne, con questo film dagli accenti acuti, ha vinto il Golden Globe (miglior film drammatico e miglior attore protagonista), ed è in concorso agli Oscar 2012 nelle categorie: miglior film, miglior regia, miglior attore, miglior montaggio, miglior sceneggiatura non originale, il regista sfodera le sue armi vincenti.

 
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