Il giardino delle delizie: 90 anni del film di Alfred Hitchcock

Il giardino delle delizie

Domenica 7 giugno 1925 un treno carico di turisti proveniente da Monaco giunge alla stazione di Genova. A bordo, fra i numerosi passeggeri recalcitanti vi sono l’attore Miles Mander, il cameraman e barone Giovanni Ventimiglia, un’anonima attrice di origine orientale e un giovanissimo regista di cui nessuno conosce ancora il nome. Il corpulento ragazzetto che guida il gruppo è nientemeno che il ventiseienne Alfred Hitchcock, giunto in Italia per dare il primo giro di manovella al film d’esordio della sua carriera, un dramma amoroso dal titolo The pleasure garden (edito in italiano come Il giardino delle delizie ma anche Il labirinto delle passioni).

 

Il giovanissimo autore nato a Leytonstone nel 1899 da una famiglia di fruttivendoli dell’Est End di Londra, dopo un brevissimo quanto fulminante apprendistato come grafico e disegnatore dei cartelli per i film muti nel distaccamento inglese della Famous Player-Lasky (la futura Paramount), aveva avuto la possibilità di esordire nel suo primo esperimento di regia, purtroppo naufragato e perduto, con il cortometraggio Number 13 del 1922, per poi farsi le ossa con ben due esperienze di co-regia nel 1923 in altri due cortometraggi, Dillo sempre a tua moglie e Donna contro donno, grazie alle quali ebbe modo di incontrare la montatrice, collaboratrice e futura moglie Alma Reville. Dopo aver stretto un forte sodalizio con il produttore inglese Michael Balcon, assieme al regista e mentore Graham Cutts Hitchcock si era trasferito in Germania per collaborare alla regia di Il furfante, realizzato negli studi della UFA, all’epoca il complesso di teatri di posa più all’avanguardia in Europa.

In seguito ad alcuni screzi con Cutts sorti durante la collaborazione de Il peccato della puritana, Balcon, avendo riconosciuto le grandi e promettenti capacità del giovane Hitchcock decise di affidarlo agli studi tedeschi della Emelka, dandogli la possibilità di imparare direttamente dallo stile dei grandi registi tedeschi dell’espressionismo, primo fra tutti F.W. Muranu, e fu proprio Balcon che, grazie ad una co-produzione con la Decla Bioschop di Erich Pommer, diede al giovane regista la possibilità di realizzare il primo vero film della sua carriera. Scritturando alcune star di prima grandezza come gli attori Virginia Valli, Miles Mander e Ferdinad Martini, grazie alla collaborazione di un cast tecnico di scafati professionisti e un ottimo soggetto tratto dal romanzo di Oliver Sandys, Balcon mise in mano ad un esordiente (ma non inesperto) Hitchcock la possibilità di realizzare un pellicola innovativa dallo stile tipicamente americano e dunque esportabilissima.

Il film narra la vicenda di Patsy, una giovane ballerina di cabaret che sposa il soldato di fortuna Levett, il quale è costretto subito dopo il matrimonio a partire in missione per le colonie inglesi dei tropici. Passati alcuni anni durante i quali si viene a sapere che Levett versa in gravi problemi di salute, Patsy decide di andare a trovarlo e scopre che il marito è diventato un alcolizzato e si è risposato con un’indigena del luogo. Durante il tragico finale la giovane amante tropicale muore suicida affogata e Levett finisce ammazzato da un colpo di fucile sparato dal dottor Jill, medico della colonia che ben presto consolerà la povera ed affranta Patsy.

Dopo aver girato molte delle scene in interni negli stabilimenti dell’Emelka di Monaco, Hitchcock decise di trasferirsi con una piccola troupe in Italia, in particolare a Genova dove vennero girate le inquadrature del varo della nave di Levett, a San Remo dove ebbe luogo la scena del suicidio in acqua dell’amante indigena e nientemeno che sulle splendide rive del lago di Como, dove nel suggestivo paesino di Contesa sul Lario vennero girate le sequenze della luna di miele dei giovani sposi.

Ma a cominciare da quel fatidico giorno di novant’anni fa Hitchcock visse un vero e proprio “battesimo del fuoco” poiché la lavorazione del film in territorio italiano fu minata da numerose peripezie: il sequestro della macchina da presa (non dichiarata alla dogana) e dei 3000 metri di pellicola al confine con l’Austria; il furto di oltre 10.000 lire che costrinsero Hitchcock a chiedere un prestito alla troupe per poter alloggiare in albergo e l’improvvisa ed inattesa visita sul set delle attrici (non invitate!) Virginia Valli e Carmelita Geraghty, abituate a vivere lussuosamente e che rischiarono di prosciugare in un solo giorno l’intero budget del film in toilette e alloggi a cinque stelle. Malgrado questi inconvenienti il film venne portato a termine e piacque così tanto a Balcon da convincerlo ad affidare all’ormai battezzato Hitch la regia di una nuova produzione dal titolo L’aquila della montagna (1926), film oggi considerato perduto di cui rimangono solo alcuni fotogrammi. The pleasure garden pur essendo un film d’esordio contiene già una serie di temi e soluzioni artistiche che anticipano di fatto la produzione matura del maestro del brivido, come ad esempio la presenza del tema del voyeurismo e i riferimenti metalinguistici all’atto di visione teatrale nella sequenza di apertura, così come l’ormai famoso humor che vena l’intera opera del regista, senza dimenticare un uso sperimentale ed innovativo dei virtuosistici movimenti di macchina.

Dopo una fugace prima uscita in Germania il 3 novembre 1925 e un congelamento di oltre due anni dovuto alla non completa soddisfazione dei distributori, finalmente il 14 gennaio 1927 la pellicola uscì in Inghilterra, suscitando giudizi entusiasti da parte del pubblico e dei critici, i quali elogiavano lo stile innovativo e la bravura del giovane regista e notavano influssi derivati da Fritz Lang e D.W.Griffith, tutto questo mentre veniva proiettato il suo terzo lungometraggio, il primo veramente inglese, Il pensionate, ultimo atto della così detta “trilogia d’esordio” che permise in soli tre anni di far apparire il nome di Hitchcock sulla bocca di tutti i pubblici del mondo. Dopo oltre tre anni di restauro compito dal British Film Institute, una nuova versione completa di 90’ minuti è stata presentata nel 2012 al Festival Lumière, e noi quest’anno festeggiamo una decade importante che avvicina quest’opera d’esordio al suo primo secolo di vita, il primo fulgido (e forse ormai per molti sconosciuto) mattone della carriera di uno dei più grandi autori della storia del cinema.

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