Lorenzo Vigas presenta a Roma Ti guardo, Leone d’Oro a Venezia 2015

Il regista venezuelano Lorenzo Vigas parla del suo esordio, Ti guardo (Desde Allá), scritto e prodotto con Guillermo Arriaga, protagonisti Alfredo Castro e il giovane Luis Silva, che arriva nelle sale italiane distribuito da Cinema di Valerio De Paolis dal 21 gennaio, dopo essersi aggiudicato – primo film latinoamericano – il Leone d’Oro a Venezia.

 

Come si costruiscono un team e un’opera prima in grado di competere in un festival internazionale?

Lorenzo Vigas: “Credo dipenda essenzialmente dalla storia e dalla sceneggiatura: se si ha una forte sceneggiatura si riescono a coinvolgere le persone con cui si vuole creare una squadra. Nel mio caso, c’è stato anche il primo film della serie di cui Ti guardo fa parte – il corto Los elefantes nunca olvidan – presentato a Cannes e molto noto in Sudamerica (il terzo capitolo di questa trilogia sulla genitorialità, The box, è in fase di sviluppo). Quando ho mandato la sceneggiatura ad Alfredo Castro, si è innamorato del progetto, come Sergio Armstrong, direttore della fotografia”.

Come mai è affascinato dal tema della paternità?

V.: “Qualcuno ha detto che non siamo noi a scegliere le nostre ossessioni, ma sono queste a scegliere noi. Io sono stato scelto dal bisogno di parlare della paternità. Mio padre è stato uno dei pittori più importanti dell’America Latina, un’immagine di artista enorme, ma con cui ho avuto un rapporto di vicinanza e affetto, quindi escludo riferimenti biografici nel tema del film, che però è archetipico della figura paterna in tutto il Sudamerica: un padre che c’è per procreare, ma poi è assente, le nostre società sono prevalentemente matriarcali”.

Ti guardo desde allaCon gli attori ha lasciato spazio all’improvvisazione?

V.: “Anche se serve una sceneggiatura forte, va dimenticata quando si va sul set. L’aveva solo Alfredo Castro, gli altri no, neppure Luis Silva, a cui davo le battute poco prima di iniziare a girare: aveva circa un quarto d’ora per impararle e poi iniziavamo le riprese. Ho scelto questo metodo perché non volevo che gli attori non professionisti avessero il tempo di razionalizzare i loro ruoli, perdendo freschezza. C’è stata molta improvvisazione, cambiamenti suggeriti anche da Castro e Silva.

Il cinema di Pasolini è stato un riferimento per il film?

V.: “Indubbiamente sul piano tematico Pasolini è stato un riferimento molto importante – cita Accattone e Mamma Roma. Per quanto riguarda la forma, invece, direi che è più bressoniana. Bresson è stato un altro regista fondamentale per me”.

Come ha trovato Luis Silva?

V.: “Luis viene da un quartiere molto pericoloso di Caracas. Ho visto la sua foto in un’agenzia di casting e sono rimasto colpito dal suo volto, dalla sofferenza che tradisce il suo sguardo e dall’istinto animale che trasmette. L’ho incontrato e non gli ho fatto provini con la macchina da presa, se non un giorno prima di iniziare a girare, quando lo avevo già scritturato”.

E’ stato difficile per lui affrontare il personaggio di Elder?

Prima abbiamo fatto amicizia, cenato insieme, visto molti film. Poi gli ho spiegato cosa avrebbe dovuto fare, in particolare le due o tre scene forti che lo avrebbero impegnato. È stato davvero molto difficile per lui, ma le ha interpretate da vero professionista”.

C’è una comunanza di spirito, una new wave del cinema sudamericano oggi?

V.: “Se c’è qualcosa che unisce oggi il cinema sudamericano è la mancanza di paura nel raccontare delle storie, il desiderio di un racconto vero, con una voce autentica. Per il resto non credo ci sia un tratto formale comune, né una nouvelle vague latinoamericana, ma è cambiata l’attenzione del mondo verso quelle cinematografie”.

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