Much loved, la conferenza stampa con Nabil Ayouch

Nabil Ayouch racconta il suo nuovo lavoro, Much loved, che indaga la condizione della donna e il mondo della prostituzione in Marocco, presentato a Cannes alla Quenzaine e censurato dalle autorità marocchine in seguito a “una campagna isterica”, dice Ayouch, che per questo vive sotto scorta, come le protagoniste. In sala dall’8 ottobre, distribuito da Cinema di Valerio De Paolis.

 

Quali sono le sue attuali condizioni di sicurezza?

Nabil Ayouch: “Abbiamo passato momenti difficili, specie dopo Cannes: alcuni spezzoni del film, piratati, sono stati postati su Youtube e c’è stata questa reazione violentissima di una parte della popolazione, che ha generato la messa al bando e ci ha costretto a vivere sotto protezione. Oggi, c’è ancora un processo: un’associazione privata ci ha accusato di pornografia. Però le cose vanno meglio, da quando il film è uscito in Francia e in altri paesi europei”.

Immaginava i problemi a cui sarebbe andato incontro?

A.: “Immaginavo un’opposizione forte, speravo che avrebbe acceso un dibattito in Marocco e nel mondo arabo sul ruolo della donna e la condizione femminile nella nostra società. In effetti ciò è accaduto. Le prostitute hanno iniziato ad esprimersi, ci si interroga sulla loro vita. Molte ci hanno ringraziato per averle fatte uscire dall’ombra. Molte persone che hanno visto il film hanno difeso il diritto della popolazione marocchina a scegliere cosa andare a vedere. Tuttavia, non avrei mai potuto immaginare che il film avrebbe generato minacce di morte, né che sarebbe stato messo al bando nel modo più illegale – non è neanche stato visionato da una commissione di censura. Ma lo avrei fatto comunque”.

Chi ha paura di Ayouch?

A. : “Vorrei saperlo anch’io. Penso che il sesso e i suoi mestieri siano un tabù molto più grande di quanto immaginassi, nel mio paese. Se avessi dipinto queste donne come non sono, cioè delle vittime e non le guerriere che ho mostrato, forse il film non avrebbe disturbato. Ho dato uno specchio alla società marocchina: poteva guardarsi, mentre in qualche modo ha scelto di romperlo”.

Eppure il Marocco è visto come un esempio di monarchia illuminata…

A.: “E’ vero. Negli ultimi quindici anni c’è stata un’evoluzione positiva, si è incentivata la libertà d’espressione anche artistica, sancita dalla costituzione. Perciò sono scioccato dalla censura e ritengo fondamentale continuare a lottare per i diritti civili. Altrimenti c’è il rischio concreto di arretrare rispetto a ciò che abbiamo conquistato”.

Come ha scelto le protagoniste, non attrici, né prostitute?

A.: “Ho visto molte donne per il casting, prostitute e non, quasi tutte attrici non professioniste. Per me era fondamentale la loro motivazione nell’interpretare questi ruoli. Perciò ho scelto le quattro protagoniste. Volevano recitarli al punto che qualcuna di loro mi ha mentito e ha detto di essere una prostituta. Mi ha colpito quanto ritenevano importante rendere giustizia a queste donne, renderle visibili”.

Cosa la colpisce delle prostitute che ha conosciuto per il film?

A.: “Il loro spirito d’indipendenza, da ciò ricavano un potere e una forza che non si trovano in altre realtà. Contrariamente all’Europa, le prostitute in Marocco non hanno protettori, sono donne che si sono costruite da sole in una società patriarcale. Questo genera la solidarietà reciproca, la capacità di resistere. Anche il rapporto con la famiglia e il loro disperato bisogno d’amore mi hanno toccato. La famiglia d’origine resta il fondamento imprescindibile della loro identità. Le danno tutto ciò che guadagnano in cambio di un amore che, invece, è sempre negato”.

Perché raccontare il Marocco e le sue duplicità?

A.: “La società e la vita quotidiana lì m’ispirano per la loro vitalità e le loro contraddizioni, che spesso generano paradossi e ipocrisia. Posso affrontare temi che mi ossessionano, situazioni di gente emarginata, che non ha possibilità di essere vista né ascoltata. Forse ciò dipende dal fatto che sono cresciuto in una banlieue e mi sento vicino a questa realtà”.

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