N-Capace

Eleonora Danco – autrice, regista, performer, attrice tra teatro e cinema – presenta la sua prima regia per il grande schermo: performance teatrale, arte visiva e “pezzi di vita” si fondono, seguendo il filo di memorie personali ma universali, tra Roma e Terracina. Piano distributivo in elaborazione, come spiega il produttore Angelo Barbagallo: “Questo tipo di film è adatto alla multiprogrammazione, che vogliamo usare per andare ovunque, anche solo per uno spettacolo. Il film parte al Nuovo Sacher il 19 marzo, ma sarà anche alla Cineteca di Bologna, al Gruppo Anteo-Apollo a Milano, al Cinema Massimo di Torino, a Terracina. Credo passerà in tutte le sale di qualità.

 

Eleonora DancoCom’è stato ideato e montato un film così personale?

Eleonora Danco: “Quando metto in scena un lavoro o lo installo, non è più mio. Essere personali è solo una condizione d’intimità. L’intimità ti permette di essere più universale possibile. Lo sforzo è di pensare sempre allo spettatore, di poterlo far ritrovare in ciò che accade, perché nell’intimità c’è l’uomo in assoluto. Il montaggio è stato complesso, ma molto interessante. Abbiamo girato 35 ore intense, poi abbiamo scelto. Dopo averlo finito, non mi ritrovavo, così l’ho riscritto (al montaggio).

Perché manca l’età di mezzo?

E. D.: “Come personaggi li trovavo meno interessanti: sono vittime dello stress, immersi nel quotidiano. Mi interessava più chi galleggia nella vita. E i due poli estremi: chi ha fatto tutto e chi sta per buttarsi nella vita, entrambi in attesa. In questo passaggio ho pensato fosse la forza del film. C’è anche l’incapacità: la scrittura “N-CAPACE” mi piaceva perché l’essere umano è non capace, ma anche capace. Cercavo intensità e tensione costanti. Perciò ci sono vitalità e angoscia insieme. Se volevo avere tensione nel film, poi, dovevo viverla io stessa: anche la mia visione doveva essere emotiva come quella di una sedicenne, per trasmettere il desiderio di provocazione tipico di quell’età.

È stato difficile trasferire l’approccio fisico del suo teatro al cinema?

E. D.: “Arrivare al cinema non è stata una difficoltà, ma una possibilità, mi ha stimolato molto. L’ho trasferito attraverso le inquadrature. Cercavo costantemente un impatto visivo forte. Ogni volta era come fare un quadro. Era lì che arrivava la tensione, il movimento.

Nomi come Ciprì e Maresco o Rezza-Mastrella hanno in qualche modo influenzato il suo lavoro?

E. D.: “Ciprì e Maresco, forse inconsciamente. Rezza-Mastrella sicuramente no. Stimo molto Rezza, ma non credo di avere nessuna similitudine col suo linguaggio. Il mio è poetico, estremo, ma non riferito a me, si distacca da me. Stimo anche Maresco, ma il mio lavoro non è grottesco, i miei personaggi non così distorti, mi interessava la realtà. Volevo la loro spontaneità, ma in un linguaggio artificiale. Le mie sono provocazioni, alterazioni per arrivare alla loro memoria emotiva.”

Quanto ha contato il rapporto con sua madre?

E. D.: “E’ stato una motivazione forte. Questo film ha un forte rapporto con la memoria, che a volte è distacco.

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