Anna e suo figlio di 8 anni, Anders, stanno scappando dal padre violento del bambino. Si trasferiscono in un gigantesco edificio ad un indirizzo segreto, ma Anna è terrorizzata dalla possibilità che il padre possa trovarli, e compra un babycall per essere certa che suo figlio sia la sicuro mentre dorme. Ma strani rumori provenienti dall’edificio echeggiano nell’apparecchio. Anna crede di sentire l’omicidio di un bambino.

 

E’ questo l’incipt di Babycall, presentato come Horror d’autore del regista norvegese Pal Sletaune, in concorso al Festival del film di Roma. La pellicola sin dalle prime battute si dimostra come un potenziale film intimista sullo sfondo di un genere come può essere il mistero e l’horror, come già altre pellicole scandinave avevano in precedenza fatto, ad esempio il bellissimo Lasciami entrare del regista Tomas Alfredson. Tuttavia questa prima impressione finisce presto e il film termina con rivelare i suo limiti.

Se da un lato c’è una discreta e sensibile regia che in un certo senso funziona sufficientemente bene, dall’altro il punto più debole sembra essere proprio la sceneggiatura e lo sviluppo drammaturgico che prosegue singhiozzando senza riuscire a trasmettere una coerenza di fondo ed una linearità in bilico con gli avvenimenti narrati. Il problema è che la storia non riesce a svoltare nel verso giusto, rivelandosi un insieme di cliché ben noti a chi è avvezzo al genere, perdendo man mano anche l’alone di mistero e di suspence che invece erano state ben bilanciate nella primissima parte del film, rimanendo, si, fedele alla sua natura più specificamente autoriale ed intimista ma mostrando nel finale anche alcune lacune che sentenziano l’assoluta precarietà dell’opera dal punto di vista narrativo.

A nulla può l’intensa ed interessante interpretazione dell’astro nascente della cinematografia Europea, Noomi Rapace, che viene travolta anch’essa dall’inconsistente natura della storia. Nonostante ciò, l’attrice ruba completamente la scena al resto del cast dominandola incontrastata, per sensibilità e interpretazione dimostrando ancora una volta il suo talento. A farle eco c’è anche l’autore delle musiche, Fernando Velazquez (The Orphanage) che sostiene con una partitura sensibile che accompagna la messa in scene in modo funzionale e del tutto solido.

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