Carta Bianca recensione del film di Andrés Arce Maldonado

Carta Bianca

Carta BiancaKamal (Moamed Zouaoui, già visto ne I fiori di Kirkuk) si arrangia, spesso oltrepassando i confini della legalità; Vania (Tania Angelosanto) è una badante dell’est lavora irregolarmente e che si trova a dover affrontare la morte improvvisa del suo datore di lavoro, chiamando in aiuto un’amica (Valentina Carnelutti) Lucrezia (Patrizia Bernardini) è un’imprenditrice, rimasta sola come – e con – un cane che, finita in un giro di usura, deve far fronte ai riscossori inviati dal cravattaro di turno…

 

I tre protagonisti sono dei sopravvissuti, cui il passato difficile ha lasciato in eredità cicatrici esterne o interiori; variamente legati tra di loro, sono seguiti nel giorno, in cui nel bene e nel male, le loro vite subiranno una svolta, più o meno definitiva, in una Roma tra la San Lorenzo multietnica e l’alienazione periferica di Corviale, visto quasi come l’ultimo avamposto di una civiltà crudele, oltre il quale si estende la pacifica tranquillità della campagna. La Carta Bianca del titolo quella che, stampata sotto forma di banconote o di un contratto di lavoro che permetta di non venire espulsi, può rappresentare una via di uscita o un punto di svolta: raccontata come fine, ma anche mezzo di realizzazione dei propri sogni, anche sentimentali.

Carta BiancaAndrés Arce Maldonado, colombiano da tempo trapiantato in Italia, (se ne ricorda l’esordio sulla lunga distanza, Falene) ispirato da un fatto di cronaca reale (un immigrato in quel di Ferrara, morto di freddo tra l’indifferenza generale) mette in scena storie, che potrebbero essere prese di peso dalla cronaca nera, con l’intenzione di restituire volti, voci, caratteri a quegli individui che troppo spesso ne sono privati dalle classiche cinque righe, ed evitare che l’emarginazione diventi abitudine e anonimato. Intento raggiunto a metà: nel loro svolgersi all’insegna di moduli prevedibili, narrate con un piglio che a tratti sfiora il documentaristico, accompagnato da una sceneggiatura ridotta all’osso, le storie dei tre protagonisti finiscono per comunicare una sensazione di deja vu, di qualcosa di già letto sui giornali, o visto in uno dei tanti programmi dedicati alla cronaca nera che affollano l’etere.

Non aiuta la scelta di alcuni elementi che risultano alla fine un filo calligrafici, come l’animale domestico surrogato dei rapporti umani o l’immigrato microcriminale per necessità che ama la letteratura e il bel canto. Limiti compensati soprattutto dalle interpretazioni, a partire da quella, di Patrizia Bernardini – Lucrezia, efficace nel dare il volto alla reduce di una vita disgraziata, per passare a Tania Angelosanto – Vania, ben calata nella parte dell’immigrata dell’est, fino a Zouaoui – Kamal, delinquente suo malgrado, mentre Valentina Carnelutti spicca in uno dei ruoli di contorno.

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