Frankenstein

Il cinema di Bernard Rose spazia dall’horror (Candyman – Terrore dietro lo specchio) al biopic (Amata immortale, con Gary Oldman nei panni di Beethoven, Il violinista del diavolo, su Paganini), agli adattamenti da romanzi (Anna Karenina, da Tolstoj).

 

Con Frankenstein Rose fonde film di genere e letteratura, partendo dal romanzo gotico di Mary Shelley, uno dei primi esempi di fantascienza. L’operazione non è certo nuova, numerosi gli adattamenti cinematografici del romanzo, con la figura del mostro divenuta celebre grazie all’interpretazione di Boris Karloff nella saga degli anni Trenta voluta dalla Universal Pictures. Tuttavia, Rose si lancia in un esperimento di attualizzazione che sulla carta avrebbe potuto essere interessante.

Frankenstein, il film

Il film è ambientato nella Los Angeles di oggi e la creazione del mostro ad opera di due coniugi scienziati, Victor (Danny Huston) ed Elizabeth Frankenstein (Carrie-Anne Moss), avviene grazie a una stampante 3D. La creatura (Xavier Samuel), poi, non nasce mostruosa, anzi, sembra un ragazzo perfetto, ma con una forza sovrumana e la mente di un neonato. La sua pelle comincia però a mutare a causa di un sarcoma e presto il suo corpo si trasforma in quello di un mostro. Abbandonato dai due scienziati, che considera suoi genitori, inconsapevole del mondo che lo circonda, è vittima di abusi e violenze a cui reagisce con violenza altrettanto inaudita. L’unico suo scopo è ritrovare sua “madre” e suo “padre”, per capire chi è e perché l’hanno abbandonato.

Frankenstein dà una nuova veste a un soggetto ancora attuale, oggi le questioni etiche poste dal romanzo restano centrali: il potere della scienza e i suoi limiti, la volontà dell’uomo di oltrepassare i propri, le conseguenze di ciò, l’emarginazione del diverso; il materialismo e l’allontanamento dai valori. Tuttavia, Rose – qui regista, sceneggiatore, direttore della fotografia e montatore – semplifica troppo la trama e le psicologie dei personaggi, dando al film l’incedere di una favola. La creatura, dal cui punto di vista è narrata la storia, si riduce così a un bambinone innocente in cerca della sua mamma e si limita a reagire con violenza alla violenza. Elizabeth è, ai suoi occhi, una sorta di mamma/principessa di bianco vestita, per ricongiungersi alla quale egli affronta un tortuoso percorso; i suoi “amici” sono un cane, una bambina e un mendicante. Sembrerebbe un film per bambini.

Lo spettatore adulto, infatti, cerca un’altra profondità nei personaggi e nell’affrontare i temi posti, maggiore suspense, invece assente. Peccato che la pellicola sia del tutto inadatta anche ai più piccoli, a causa del suo lato orrorifico. Favola e horror si fondono in un mix dissonante, in cui la prima è scontata e retorica e il secondo è ridotto a sangue stillante, vermi e carni putrefatte. Il lavoro non avvince, risulta prevedibile e fa quasi sorridere per la sua ingenuità, pari a quella del protagonista. In sala dal 17 marzo.

- Pubblicità -