Festa di Roma 2016: Fritz Lang recensione del film di Gordian Maugg

Fritz Lang

Fritz Lang, all’apice della sua carriera, dopo i grandi successi realizzati in Germania, è in profonda crisi nel trovare la giusta ispirazione per un nuovo film, che gli viene pressantemente richiesto dai suoi produttori.

 

Nel suo vivere smodato e svogliato, tra prostitute e abuso di droga, si imbatte sul giornale nella notizia di un crudele assassino seriale a Düsseldorf. Decide così di indagare e di costruire il suo nuovo film sulla vicenda, abbandonando la grandiosità della messinscena e l’uso delle masse, che lo avevano caratterizzato nelle sue opere precedenti, per potersi liberamente dedicare alla psicologia di un singolo personaggio, avvalendosi  anche al supporto del sonoro. L’indagare, vagando in uno stato di psicosi generale creata dall’assassino e il confrontarsi con lui dopo l’ arresto, lo porterà a una dolorosa riflessione nei confronti di se stesso.

Gordian Maugg getta in pasto al pubblico un Lang molto diverso dalla logica mitizzazione che solitamente avviene nei confronti delle figure di spicco di arte e cultura. Con un duro e convincente bianco e nero, in un formato quadratoide che richiama le vecchie pellicole, racconta senza pudori e senza pietà i tormenti di un uomo famoso, egocentrico, drogato, sadico, costretto a fare i conti con un passato duro e violento. Lo vediamo in crisi con la moglie Thea, anche sua sceneggiatrice, ma soprattutto alle prese con i tragici ricordi della guerra, con le persone da lui uccise in Galizia e con la ferita all’occhio che lo accompagnò per tutta la vita.

Il regista costruisce una sfrontata indagine da parte di Fritz Lang sul mostro di Düsseldorf, aiutata e permessa da un suo amico nella Polizia, dove i fatti reali si mescolano con l’immaginazione e con la finzione filmica. In questo sta tutta l’originalità e la destrezza di Maugg, che riesce abilmente a costruire un insieme di sequenze in cui il confine tra realtà e finzione viene continuamente spezzato con sapienti irruzioni visive di personaggi ed elementi. Un azzeccato uso di materiali di repertorio e di spezzoni di film dello stesso Fritz Lang, in particolare M – Il Mostro di Düsseldorf, diviene materia plasmabile nelle sue mani rappresentando una scelta vincente. Gli interpreti sono convincenti e perfettamente calati nei ruoli, supportati da una fotografia ben calibrata, anche se forse scontata, per il suo richiamo duro e tagliente, oltre al già citato bianco e nero, al cinema espressionista tedesco.

Rimane solamente il dubbio di quanto si sia spinta la mano sulla fantasia, forzando il reale svolgersi degli eventi e giocando forse troppo sulla figura di Fritz Lang.

Tutte le news e le recensione nel nostro speciale dedicato alla Festa del cinema di Roma

 

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