La gelosia: recensione del film con Louis Garrel

Passato a Venezia quasi un anno fa, arriva nelle sale La gelosia, l’ultimo lavoro di Philippe Garrel. Il cineasta francese figlio della Nouvelle Vague, due volte Leone d’Argento, porta sullo schermo una storia di famiglia: quella di suo padre – l’attore Maurice Garrel – della fine dell’amore con sua madre – quando Philippe è ancora un bambino – e della sua passione, la più grande della vita, per un’altra donna, che lo lascerà.

 

La gelosia è una storia di famiglia in tutti i sensi: Louis Garrel, figlio del regista, al quarto film col padre, è protagonista nei panni di suo nonno Maurice, mentre Esther Garrel, sorella di Louis, lo è anche sullo schermo; sceneggiatura del regista e della sua compagna Caroline Deruas, con Arlette Langmann e Marc Cholodenko. La storia è vista con gli occhi del protagonista maschile, guardato dal regista con profondo affetto filiale, sottolineando un amore e un accudimento mai venuti meno. La piccola Charlotte (vivace ed efficace Olga Milshtein) che, con un cambio di genere, è Philippe bambino, ricambia l’affetto paterno, affascinata dalla nuova compagna del padre.

Scenografie essenziali, pochi personaggi cardine, cinema della quotidianità, con momenti di vera freschezza e spontaneità, tra cui quelli padre – figlia, o tra i due fratelli. Il fulcro sono i rapporti genitori-figli e quelli di coppia. Domina la difficoltà, soprattutto nel rapporto di coppia, pur nell’amore. Difficoltà a comunicare, specie verbalmente.

Un bianco e nero che riporta indietro, ma l’ambientazione è contemporanea. Cinema d’immagini: ciascuna inquadratura è una precisa scelta, con elementi evocativi, rimandi interni e simmetrie. Ciò che resta, non sono le parole, dosate, ma gesti, sguardi, volti, silenzi. Su viso e mani si sofferma in particolare il regista. Fotografia (bellissima, di Willy Kurant) ed estetica sono estremamente curate. I gesti del protagonista verso la sua amata – Claudia (Anna Mouglalis), attrice in cerca d’affermazione – esprimono sì amore, ma anche volontà di trattenere, di proteggere ma al tempo stesso non lasciar andare, possessività, incapacità di staccarsi anche fisicamente da chi si ama.

In Claudia domina un’insoddisfazione, un desiderio di libertà che la porta ad allontanarsi. Il film indaga, dunque, le dinamiche relazionali tra due caratteri introversi, mostra un’emotività spesso trattenuta. Da qui il rischio che possa apparire freddo, pur con due bravi protagonisti, a chi è abituato a un cinema in cui tutto è esposto, a volte anche sovraesposto, sia al livello fisico, che verbale. Qui, invece, si richiede l’attivazione dello spettatore, un’attitudine alla riflessione per cogliere la profondità del lavoro, un maggiore impegno.

Ne vale certamente la pena, se amate un’estetica del cinema significante, non fine a sé stessa, l’attenzione ai dettagli (tra gli altri, una passione per i tessuti rigati, una cartina di Venezia lido), un’efficace analisi di relazioni tormentate e travagli interiori.

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