Il primo uomo: recensione del film di Gianni Amelio

Il primo uomo

Gianni Amelio porta al cinema Albert Camus. Il romanzo in questione è Il Primo Uomo, e il regista de Il Ladro di Bambini ne ha fatto un film delicato e intimo, ma allo stesso tempo molto lucido. Il giornalista e scrittore Jean Cormery torna in Algeria, suo paese natale, alla ricerca di suo padre morto durante la prima guerra mondiale. Tra i ricordi, le fotografie e i luoghi, Jean trova il modo di ripercorrere anche la sua infanzia, la sua formazione e di ricordare tutte le persone che hanno caratterizzato la sua giovane vita che sembrava senza promesse né speranze.

 

Gianni Amelio torna, dopo un’assenza di sei anni dal cinema, con un film che gode del benestare internazionale, avendo già vinto il Premio della Critica Internazionale al Festival di Toronto, ma che si rivela ben presto un lavoro davvero particolare. Non era facile partire da un romanzo autobiografico e incompiuto, perché nell’incompiutezza e nell’impronta personale dell’autore l’opera trova una sublimazione altrimenti rara, ma Amelio ne ha fatto un viaggio personale, una ricerca individuale e sociale.

Il primo uomo, il film

Il primo uomo riesce a rappresentare il singolo nel suo ambiente, parlando con naturalezza e realtà delle relazioni intime e dei problemi sociali, in un’Algeria lacerata tra i francesi e gli arabi che ne rivendicavano la sovranità. Il primo uomo si apre quindi ad un gioco di scatole cinesi in cui Jean, interpretato da un ottimo Jacques Gamblin, è l’alter-ego di Camus stesso, ma allo stesso tempo il personaggio è racchiuso da Amelio, nella sua lettura del testo estremamente rispettosa dello spirito ma assolutamente originale nella riappropriazione di una storia che può appartenere a chiunque ricerchi la propria radice nel passato.

In Il primo uomo accanto a Gamblin, un’intensa Maya Sansa, nel ruolo della giovane madre di Jean e il piccolo Nino Jouglet, nel ruolo del protagonista da giovane, un ragazzino dagli occhi di un blu intenso, che con lo sguardo divora il mondo e allo stesso tempo ne è mortalmente intimorito. L’eleganza del cinema, quando riesce ad unire particolare e universale, non ha frontiere e questo Amelio lo sa bene, e lo dimostra pienamente con Il Primo Uomo.

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