Il ricatto recensione del film con Elijah Wood

Il ricatto recensioneIl Ricatto è il terzo lungometraggio del regista spagnolo Eugenio Mira, ma è bene sottolineare subito una cosa: il produttore del film è Rodrigo Cortés, quello di Buried – Sepolto e la sua mano, magari qui indirettamente, è percepibile nel film ed è in grado di creare un senso claustrofobico, nonostante ci si trovi in una spazio relativamente “aperto” rispetto alla semplice bara.

 

Tom Selznick (Elijah Wood) è un eccellente pianista che da 5 anni non si esibisce più davanti al pubblico, dopo un attacco di “fobia da palcoscenico”. Proprio nella serata in cui deve rientrare sulle scene, riceverà un misterioso messaggio con scritto “sbaglia una nota e morirai”. Selznick dovrà ora suonare senza potersi concedere il minimo errore e nel frattempo conversare con il suo potenziale assassino, che comunica con lui tramite auricolare.

Partendo da un’idea sicuramente interessante, Mira si confronta con una problematica iniziale non facile da gestire, ovvero dover dirigere  un film intero, sostanzialmente restando fermo in un punto: quello del palcoscenico con il pianoforte.Cerca infatti per tutto il film di mantenere viva la suspance, strizzando spesso l’occhio ad Hitchcock, con una cura per il dettaglio quantomeno ricercata. Così, le mani sul pianoforte di Tom o l’echeggiare delle noti musicali, diventano i cardini visivi e della narrazzione, anche se spesso vengono soppiantati dalla voce del killer in auricolare, che, paradossalmente, più che aumentare la tensione, la limita. Anche la regia a livello tecnico sa dare una mano per giustificare la tensione e si invortica su se stessa con movimenti circolari totali e soprattutto creando un senso dell’azione continuo, instancabile.

La linea generale è sempre gestita in modo doppio: lo sguardo fisso sul pianoforte si unisce alla voce del killer, creado così due vie differenti, pur appartenenti alla stessa immagine.E due sono le vie che riguardano anche il protagonista stesso: la sua paura di morire, insieme alla paura di dover suonare bene per il pubblico dopo il fiasco di 5 anni prima. La posta in gioco è alta da diversi punti di vista ed è provando a mantenerli tutti vivi, che si porta avanti la narrazione.

Il Ricatto si lascia guardare. Nella sua incessante voglia di creare una costante tensione, a tratti il tentativo riesce bene e con l’aggiunta di qualche artifizio narrattivo si cammina fino alla fine. Peccato per alcuni passi dove ciò che vorrebbe creare un’ attenzione maggiore, finisce invece per rimpiazzarla. Per certi versi è un’occasione mancata, ma forse nessuno, produttori e regista compresi, volevamo ambire a qualcosa di più.

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