La strega più potente del regno, Madre Malkin, è libera e cerca vendetta: Maestro Gregory, il mago che era riuscito nell’impresa di imprigionarla, secoli addietro, ha pochissimo tempo a disposizione per trovare e addestrare colui che è predestinato a fermarla, ovvero Tom Ward, il settimo figlio di un settimo figlio. Adattamento cinematografico de L’apprendista del mago, primo volume della saga Wardstone Chronicles di Joseph Delaney, Il Settimo Figlio è il tentativo di riproporre l’ennesima saga fantasy sul grande schermo, seguendo la scia di Hunger Games e The Twilight Saga. La pellicola però si perde così in un terribile circolo vizioso di scontentezza e banalità.

 

Il settimo figlio, il film

Nonostante la sceneggiatura vanti il nome di Steven Knight (Locke e La promessa dell’assassino) tra i suoi autori, la vicenda si svolge in maniera terribilmente prevedibile, contornandosi di cliché e sequenze ridonanti, che non riesce a riscattarsi nemmeno tramite gli effetti speciali: l’eccessivo uso della CGI rende mostri, draghi e quant’altro, elementi che appesantiscono la pellicola anziché trasportarci nel magico mondo del fantasy, di una povertà tale da rasentare il comico. La regia di Sergey Bodrov invece, pur vantando una nomination agli Oscar con Mongol, sembra privilegiare più l’azione che lo svolgimento delle vicende impoverendo ancora di più un possibile sviluppo della narrazione. Perfino il breve idillio amoroso fra l’apprendista stregone (un Ben Barnes che pare non aver fatto molta strada dai tempi della sua interpretazione in Dorian Grey di Oliver Parker) e la strega Mam (Olivia Williams) perde di spessore risucchiato dal vortice della banalità, nel tentavo di riprodurre in chiave fantasy un amore impossibile alla Romeo and Juliet.

Julianne Moore, che impersona la temibile Madre Malkin, riesce a non perdere la sua eleganza offrendo tuttavia un’interpretazione della classica strega malvagia che fatica a distinguersi, rimanendo terribilmente sottotono. Un discorso simile per Jeff Bridges (l’amabile Drugo dei Coen) che volendo ricalcare lo stereotipo del mago-padrino, si perde in un’interpretazione quasi parodistica. Ad aggravare le interpretazioni piuttosto piatte dei vari personaggi, in una narrazione che verte sullo sviluppo del viaggio dell’eroe con le classiche prove da superare – sempre per ricalcare l’ondata di originalità che permea per tutta la pellicola – il nostro protagonista sembra lasciare la scena alle figure femminili, le uniche a conferire un po’ di verve, rimanendo totalmente sullo sfondo. Un miscuglio di idee, stereotipi e altro che pare distaccarsi completamente dell’universo medieval-fantasy creato dalla penna di Delaney e soprattutto che, pur avendo a disposizione nomi di un certo spessore, non riesce a discostarsi dall’offrire uno spettacolo di mero intrattenimento visivo.

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Martina Meschini
Classe 1993. Studio all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e talvolta scrivo di cinema nel vano tentativo di non pensare allo sconfortante divario fra giorni che mi restano da vivere e film da vedere.
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