La Regola del gioco: recensione del film con Jeremy Renner

La Regola del gioco

Gary Webb è un autorevole giornalista che pubblica una serie di articoli in cui si dimostra il coinvolgimento della CIA nel traffico di droga dal Nicaragua alla California, i cui profitti servivano per armare i ribelli Contras. Ma nonostante gli avvertimenti di boss della droga e agenti della CIA, Webb continua ad indagare facendo cominciare una campagna diffamatoria che colpirà anche la sua famiglia.

 

Michael Cuesta dirige La Regola del gioco – o Kill the Messenger – film tratto dalla storia vera di Cary Webb. Se il thriller giornalistico (o meglio d’inchiesta americano) è noto al mondo cinematografico, valorizzato da pellicole quali Tutti gli uomini del Presidente, o tratto da romanzi quali Rapporto Pellican per arrivare al recentissimo State of Play. La storia del regista statunitense usa il consueto registro visivo (pulito e di servizio) solo per i primi 40 minuti del film dove i titoli di testa sono un mezzo per introdurre l’argomento trattato e di conseguenza delineare il personaggio e la storia. Quindi il punto di vista è a servizio dello spettatore che apprende la verità insieme a Webb, immedesimandosi con le sue reazioni e i suoi pensieri.

Ma non appena vengono allargati “gli orizzonti geografici” la storia si caratterizza di un sistema più grande che ci mostra l’inadeguatezza e la tensione del nostro giornalista, caratterizzando intere sequenze con camera a mano che dai primi piani seguono le ansie del reporter che oltre ad enfatizzare il leitmotiv ridimensionano la figura dell’idealismo in una chiave meno eroica e più umana, meno impavida e più consapevole dei rischi e quindi dando la possibilità di far divenire il protagonista attivo non solo sulla storia ma anche emanatatene, senza risparmiare le varie riflessioni sul sistema giornalistico contemporaneo, dal rapporto con i poteri forti fino alle figure della redazione.

La Regola del gioco

Cuesta riesce quindi a raccontare obiettivamente la storia, senza cercare facili soluzioni o cliché e riportando Jeremy Renner al dramma che lo ha traghettato al successo prima che venisse fagocitato dai vari franchising cinematografici. Quindi oltre alle ellissi e iperbole la storia riesce ad emozionare lo spettatore conservando uno sguardo critico su una storia controversa che non è mai stata chiarita a seguito degli scandali del Presidente Clinton e riguardo alle reali sorti di Webb.

Seppur rimanga un racconto che vacilla nello stereotipo, come dimostra la scelta del cast: Barry Pepper nel ruolo del procuratore di stato, Andy Garcia in quello del narcotrafficante-gangster sudamericano, Ray Liotta in quello “dell’eminenza grigia” che vive lontano dal sistema dopo averlo costruito, Michael Sheen nel ruolo di un mentore “anonimo”, Rosemarie DeWitt in quello della moglie remissiva ed infine Paz Vega nella “femme fatale”. Anche il finale, affrettato e brusco, trova il suo scopo, far riflettere lo spettatore e persino invogliarlo a informarsi sull’argomento.

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Stefania Buccinnà
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Stefania Buccinnà
Sono un appassionata di Cinema e Serie televisive americane, motivo per cui mi sono iscritta all'università e mi sono laureata in Saperi e Tecniche dello Spettacolo Digitale presso l'università La Sapienza in Roma dove ho conseguito anche un Master di Primo Livello in Montaggio Video e Audio. Amo costruire strutture per immagini e scrivo per piacere, pensando che le due cose sono molto simili ma con grammatiche diverse. In fondo per me, scrivere una frase è come mettere insieme una scena.
la-regola-del-gioco-recensione-del-film-con-jeremy-rennerSeppur rimanga un racconto che vacilla nello stereotipo, come dimostra la scelta del cast. Anche il finale, affrettato e brusco, trova il suo scopo, far riflettere lo spettatore e persino invogliarlo a informarsi sull’argomento.