Leoni

Lo sceneggiatore e regista Pietro Parolin debutta al cinema, in queste settimane, con la sua opera prima, intitolata Leoni: Inserendosi nel solco tradizionale della risata all’italiana e suggestionato da capolavori come Signore e Signori di Pietro Germi, il regista mette in scena- utilizzando il codice stilistico della commedia- uno spaccato lucido e disincantato della realtà italiana, vittima della crisi, delle fortune alterne e dell’illusorio canto delle sirene del successo e della ricchezza.

 

Leoni vede come protagonista – e mattatore – Neri Marcorè nei panni di Gualtiero Cecchin, un ricco rampollo di una delle più antiche famiglie del veneto. Sbruffone, indolente, egoista e cialtrone, Gualtiero vive delle rendite paterne dispensate dall’anziana e inflessibile matriarca Mara (Piera Degli Esposti); non ha mai lavorato in vita sua né è riuscito a costruire qualcosa a livello personale: ha, infatti, alle spalle un matrimonio fallito e un figlio- Martino (Pierpaolo Spollon)- decisamente più maturo del genitore.

Leoni, il film

Ma le ricchezze non durano in eterno, e all’improvviso la crisi colpisce anche la vita agiata dei Molon – Cecchin: così Gualtiero, costretto a reinventarsi per sopravvivere, fiuta un affare d’oro realizzando crocefissi in plastica riciclata da vendere al vescovo. Ma il PVC utilizzato si rivela esplosivo, e l’ombra della catastrofe è dietro l’angolo, soprattutto perché sono in molti a voler vedere i Molon – Cecchin sull’orlo del lastrico…

L’intento è quello di voler ritrarre uno spaccato dell’Italia attuale attraverso il racconto di una storia particolare: la vicenda personale di un piccolo ex privilegiato che si ritrova ad assaporare l’amara polvere della realtà, ma senza mai perdersi d’animo. E questa sembra essere una dote tutta italiana, insieme alla creatività e a quella “arte di arrangiarsi” che tanto ci hanno reso celebri anche agli occhi del mondo; Gualtiero è un inguaribile cialtrone che nasconde il buon cuore e l’ingenua onestà dietro il cinismo disilluso e il disincanto spaccone: il sorriso di Marcorè ben esprime questa contraddizione, atta ad immortalare una generazione intermedia travolta dalla crisi ed incapace di sostenere sulle proprie spalle il peso del passato, schiacciata tra i vecchi leoni che hanno costruito la propria ricchezza e il proprio benessere mentre adesso ne osservano- con rimpianto- le ceneri e i giovani, nati con lo spettro della crisi e pronti a rimboccarsi le maniche e ripartire da zero dalla radici e dalla semplicità.

Usare il linguaggio della commedia per raccontare delle contraddizioni così accese e degli argomenti – talvolta troppo delicati- poteva essere un’arma a doppio taglio per Parolin, che rischiava di perdere di vista i propri obbiettivi: a sorpresa ne esce invece vincitore realizzando un film fresco, dal gusto fortemente italiano ma dotato di leggerezza, soprattutto grazie ai dialoghi brillanti e mai banali. La colonna sonora con inclinazioni jazz sottolinea il brioso alternarsi delle gag e delle situazioni scoppiettanti – talvolta anche un po’ improbabili – che si susseguono sullo schermo; il veneto non è solo uno sfondo bidimensionale, ma un altro interprete vivo e presente in una storia che trova la sua credibilità proprio in quei luoghi, in quel dialetto e nei volti che li abitano.

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Ludovica Ottaviani
Ex bambina prodigio come Shirley Temple, col tempo si è guastata con la crescita e ha perso i boccoli biondi, sostituiti dall'immancabile pixie/ bob alternativo castano rossiccio. Ventiquattro anni, di cui una decina abbondanti passati a scrivere e ad imbrattare sudate carte. Collabora felicemente con Cinefilos.it dal 2011, facendo ciò che ama di più: parlare di cinema e assistere ai buffet delle anteprime. Passa senza sosta dal cinema, al teatro, alla narrativa. Logorroica, cinica ed ironica, continuerà a fare danni, almeno finché non si ritirerà su uno sperduto atollo della Florida a pescare aragoste, bere rum e fumare sigari come Hemingway, magari in compagnia di Michael Fassbender e Jake Gyllenhaal.