Pink Subaru: recensione del film diretto da Kazuya Ogawa

Pink Subaru

In Pink Subaru Elzober è un sushi chef che lavora da 20 anni nel ristorante di un suo amico a Tel Aviv. Il suo sogno è quello di comprarsi una macchina, una Subaru, marca diffusissima in Israele e Palestina per costo e consumi, ma quando finalmente il sogno si realizza, la macchina gli viene rubata la notte stessa. Ovviamente l’uomo è disperato, ma tutto il piccolo villaggio in cui vive, Tayibe, si mette in moto per aiutarlo a ritrovare la macchina prima che finisca oltre i checkpoint della vicina Tulkarem, in Palestina e lì venga smembrata o rivenduta.

 

Cugini, sorelle, parenti vari e anche un ladro di macchine vengono chiamati all’appello, mentre un giapponese in missione di lavoro a Tulkarem condividerà i momenti più drammatici ma anche felici della vicenda di Elzober. Pink Subaru è innanzitutto un esperimento. Mettere insieme, più di tre etnie, più di tre lingue e tre religioni diverse, in una storia in cui ognuno ha la sua parte.

Senza moralismi, come affermano anche gli sceneggiatori, si vuole mostrare la vita in Israele e in West Bank, senza però far vedere i checkpoint o l’esercito. Quindi si vedono scorci della Tel Aviv dei locali, il Rotschild boulevard dove si trova il ristorante sushi dove lavora Elzober e Jaffa, l’antica Tel Aviv, quella araba. Il confine tra i due paesi, uno dentro l’altro come matrioske, non si vede mai, ma si vedono i continui incroci obbligati che questa situazione genera: israeliani di origini arabe che ritrovano le loro origini marocchine, ladri d’auto in fondo di buon cuore, amici che sono un po’ invidiosi e fanno azioni assurde, personaggi di contorno ben costruiti. Pink Subaru è quindi un vero pentolone che trabocca di storie parallele a quella principale, che è il motore che ci fa conoscere e dipanare le altre, che vengono accennate, nessuna realmente approfondita per questioni di trama e probabilmente di tempo.

La storia su cui ruota Pink Subaru è una leggenda urbana probabilmente vera secondo la quale le Subaru sono le auto più diffuse in Palestina, perché non essendoci concessionarie di auto diffuse nei villaggi, l’unico modo per avere una macchina fosse attraverso il mercato nero dei ladri di vetture che privilegiavano la marca giapponese in quanto apparentemente indistruttibile, e quindi adatta alle strade scoscese dei villaggi più isolati della Palestina. Pink Subaru verrà distribuito in 10 copie in tutta Italia, è stato presentato allo scorso Festival di Torino e ha vinto il premio come miglior opera prima al festival Yubari in Giappone e sarà proprio in questi due paesi che verrà principalmente distribuito.

Pink Subaru è un’opera originale, coraggiosa a suo modo, sia per la modalità di produzione, diverse persone provenienti da paesi e culture diverse che hanno deciso di raccontare la storia delle Subaru rubate di Tel Aviv, sia come storia, che prende un territorio martoriato e stereotipato, ovviamente anche a ragione come sofferente e in guerra perenne, e ne racconta la vita di tutti i giorni, che nonostante tutto, va avanti nel più semplice dei modi.

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