Silence: recensione del film di Martin Scorsese

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Dalla croce alla croce, Martin Scorsese si riconcilia con il simbolo della religione cristiana trent’anni dopo le provocazioni allucinatorie de L’ultima tentazione di Cristo: un paesaggio arido di polvere e secchezza faceva allora da ultimo orizzonte; oggi, in Silence (progetto fortemente voluto dal regista americano) l’uomo condannato a morte giace legato al legno, rivolto verso il mare.

 

Onde altissime d’acqua salata lo schiaffeggiano, gli tolgono il respiro, ma non la fede; perché in quell’atto spietato egli ritrova il primo incontro con Dio, il sacramento del battesimo, l’inizio di una nuova vita. Siamo nella prima metà del diciassettesimo secolo e le potenze europee come Olanda, Inghilterra, Spagna e Portogallo navigano sulle rotte orientali per conquistare, colonizzare, convertire. Spesso sinonimi tra loro, soprattutto quando a dettarli è un credo religioso, sono tre verbi che in Silence ridondano come il tambureggiare delle mani su una superficie, proprio a indicare un monito che non si deve, e non si può trascurare.

SilenceSilence – la fede come arma e missione

Quando due padri gesuiti portoghesi, interpretati nel film da Andrew Garfield e Adam Driver, vengono inviati in Giappone sulla strada percorsa dal loro mentore scomparso (Liam Neeson), la voce narrante li definisce in tre parole, tanto affilate e pericolose come il taglio della carta sulle dita, “army of two” “un esercito di due”. Esercito, perché i missionari di pace sono militari della fede, esercito perché è attraverso l’esercizio e la pratica cristiana che si conquista la mente, ancor prima che la terra, dei popoli lontani. D’altronde tutti ambiscono a diventare immagine eterna, a osservare il mondo dalla stessa altezza di Dio (come suggerisce splendidamente la posizione della macchina da presa di Scorsese), e per farlo è necessario il gesto della preghiera, il vero grande inganno del cristianesimo: preghiamo, parliamo a un’entità evanescente in cerca di risposte, con la promessa della salvezza. Un inganno “rivelato” dal cinema stesso attraverso un lungo e doloroso percorso esistenziale, quello di padre Rodriguez, ma anche dello spettatore, nelle camere oscure della fede, tra luci e ombre dell’anima.

SilenceSilence – la riflessione di Scorsese a 30 anni da L’ultima tentazione di Cristo

Diversamente provocatorio ma ugualmente ancorato al dilemma dell’umanità (chi siamo? in cosa crediamo?), Silence prosegue un discorso iniziato con L’ultima tentazione di Cristo con nuove consapevolezze, forse più mature per l’età e per lo sguardo completo del suo regista. Discreto, quando si pone al lato della storia, violento e spietato quando affonda il giudizio morale, eppure sempre a favore dello spettacolo cinematografico, della bellezza dell’immagine, qui sottolineata dalla fotografia di Rodrigo Prieto, dalle inquadrature nascoste dal fumo; un incenso che stordisce celando quella verità su cui ognuno, prima o poi, torna a riflettere.

Come il personaggio di Garfield che specchiandosi nelle acque di un ruscello vede il riflesso di se stesso che si fonde con quello di Gesù, uomo tra gli uomini, giunge in luoghi ostili, viene perseguitato, sfida le tentazioni come il Cristo nel deserto, e infine, contemplando il silenzio, scopre di essere egli in persona la verità, la risposta a tutte le domande. Trovare Dio è trovare se stessi? Siamo forse noi stessi la fonte di ogni cosa, benessere, sofferenza? Chi abbiamo pregato finora?

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