Train to Busan: recensione del film di Yeon Sang-Ho

Un treno parte la mattina presto da una stazione di Seoul, diretto verso Busan. A bordo, passeggeri di ogni tipo pronti ad affrontare un viaggio: ma nessuno di loro è pronto a fronteggiare un’epidemia di zombie che sta contagiando le città dell’intera Corea del Sud e che li raggiunge fin sopra il loro treno, ultimo baluardo per la loro sicurezza che adesso dovranno essere pronti a difendere ad ogni costo. Questa è la trama dell’adrenalinico Train to Busan, film sudcoreano presentato stamattina alla Festa di Roma 2016 e che ha già battuto ogni record in patria, incassando 63,9 milioni di dollari e del quale è già stato annunciato un imminente remake ad opera della 20th Century Fox.

 

Uno zombie-movie atipico che riscrive, aggiornandola, la “genealogia” dei morti che ritornano, restituendone un immagine ben lontana dallo stereotipo americano (creato da Romero nel ’68) che li vuole lenti, inesorabili e affamati; in questo horror moderno i non – morti sono vittime di un contagio (partito da un senzatetto di Seoul), elemento che si ricollega ad una mitologia più contemporanea (sospesa sempre tra Romero e Resident Evil) dove la morte è una malattia, un male che mangia dall’interno e che spinge ad una insaziabile avidità di carne umana.

Train to BusanÈ comunque possibile interpretare Train to Busan attraverso una chiave di lettura alternativa che superi la brillante patina di suspense, action e orrore creata da  Yeon Sang-Ho: l’horror potrebbe semplicemente costituire una macabra allegoria della nostra società, divisa dall’eterna lotta di classe (tema presente anche in altri film asiatici di genere sci – fi, come Snowpiercer), dal consumismo dilagante, dall’alienazione e dall’egoismo pronti a diffondersi come una pandemia e a dividere le persone, allontanandole. Il treno è la vita stessa, scorre lungo i propri binari, è diviso in scompartimenti e i viaggiatori non si conoscono tra loro, evitando qualunque tipo di contatto durante il viaggio. Sottoporre questo ampio campionario d’umanità ad una causa esterna estrema (l’arrivo di un’apocalisse zombie) sovverte lo status quo di partenza e lo costringe a prendere delle decisioni drastiche, che spesso mettono in luce aspetti nascosti – positivi o negativi – delle svariate personalità.

Train to Busan si “nutre” della tensione, dell’adrenalina e dell’ansia che riesce a creare mentre sinuosamente fa scivolare lo spettatore in un orribile incubo che sarà costretto ad ammirare, con stupore sempre più crescente, ad occhi aperti seduto sulla propria poltroncina.

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Ludovica Ottaviani
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Ludovica Ottaviani
Ex bambina prodigio come Shirley Temple, col tempo si è guastata con la crescita e ha perso i boccoli biondi, sostituiti dall'immancabile pixie/ bob alternativo castano rossiccio. Ventiquattro anni, di cui una decina abbondanti passati a scrivere e ad imbrattare sudate carte. Collabora felicemente con Cinefilos.it dal 2011, facendo ciò che ama di più: parlare di cinema e assistere ai buffet delle anteprime. Passa senza sosta dal cinema, al teatro, alla narrativa. Logorroica, cinica ed ironica, continuerà a fare danni, almeno finché non si ritirerà su uno sperduto atollo della Florida a pescare aragoste, bere rum e fumare sigari come Hemingway, magari in compagnia di Michael Fassbender e Jake Gyllenhaal.
train-to-busan-recensioneÈ comunque possibile interpretare Train to Busan attraverso una chiave di lettura alternativa che superi la brillante patina di suspense, action e orrore creata da Yeon Sang-Ho.