La-bas – educazione criminale: recensione del film

Là-bas - Educazione criminale

Il regista ne ha parlato come di un film suicida: girato in francese e inglese, con attori di colore non professionisti, parla di immigrati. Tutti ingredienti che si discostano dal cinema mainstream, e che fanno di Là-bas un’opera fresca e originale, capace di immortalare fedelmente e senza retorica una realtà difficile qual è quella dell’immigrazione clandestina. E non stupisce che Là-bas – Educazione criminale, il lungometraggio d’esordio del napoletano Guido Lombardi, classe 1975, abbia entusiasmato la giura veneziana portandosi a casa il Leone del Futuro – Premio Opera Prima Luigi De Laurentiis, oltre al Premio del pubblico Kino come Miglior Film.

 

Là-bas – Educazione criminale, il film

L’opera Là-bas – Educazione criminale si ispira alla strage di Castel Volturno, che nel settembre 2008 portò alla morte di 6 ragazzi ghanesi ad opera di un commando di camorristi. Ma l’episodio è abilmente inserito solo nel finale: i restanti 90 minuti o quasi raccontano il percorso di Yussouf (Kader Alassane), giovane africano arrivato in Italia in cerca di fortuna. Viene ospitato alla “Casa delle candele”, una villetta a 30 km da Napoli, così chiamata per la luce che salta di continuo. Stringe amicizia con Germain (l’ottimo “Billi” Serigne Faye): è in Italia da 6 anni e, per vivere, s’accontenta di vendere fazzoletti al semaforo.

Ma le ambizioni di Yussouf, abile disegnatore e scultore di statue in metallo, lo portano a farsi trascinare nello spaccio di droga gestito da suo zio Moses (Moussa Mone). Yussouf imparerà in fretta il prezzo della sua scelta, a prima vista la più razionale, unica alternativa ad un destino di sfruttamento. S’innamorerà di Suad (l’attrice professionista Esther Elisha), per poi scoprirla prostituta su una strada notturna del litorale campano. Quella di Yussouf, come recita il sottotitolo del film, è un’educazione criminale, obbligatorio tragitto d’iniziazione per far parte di un mondo immaginato come lontano e diverso: là-bas in francese significa appunto laggiù, termine usato dagli africani per designare l’Europa.

Dialoghi e sceneggiatura, ben accompagnati dalle musiche di Giordano Corapi, non sono mai banali, e l’affiatato gruppo di attori improvvisati è davvero una piacevole sorpresa. Una pellicola in cui verità storica e invenzione filmica si uniscono alla perfezione, e in cui il tutto è raccontato dall’ “interno”, ossia dal punto di vista degli stessi immigrati. Non una lezione d’umanità, e nemmeno uno slogan contro il razzismo, bensì lo sguardo asciutto di un regista-sociologo che mette a fuoco la drammaticità di situazioni spesso volutamente dimenticate. Suggestiva la scena finale, con Yussouf che torna alla Casa delle candele, semi-nudo dopo aver gettato nel bosco i costosi vestiti donati dallo zio: una rinascita simbolica del protagonista, pronto a ripartire da zero, scegliendo una vita diversa per re-inventare se stesso.

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Ilaria Tabet
Laureata alla specialistica Dams di RomaTre in "Studi storici, critici e teorici sul cinema e gli audiovisivi", ho frequentato il Master di giornalismo della Fondazione Internazionale Lelio Basso. Successivamente, ho svolto uno stage presso la redazione del quotidiano "Il Riformista" (con il quale collaboro saltuariamente), nel settore cultura e spettacolo. Scrivere è la mia passione, oltre al cinema, mi interesso soprattutto di letteratura, teatro e musica, di cui scrivo anche attraverso il mio blog:  www.proveculturali.wordpress.com. Alcuni dei miei film preferiti: "Hollywood party", "Schindler's list", "Non ci resta che piangere", "Il Postino", "Cyrano de Bergerac", "Amadeus"...ma l'elenco potrebbe andare avanti ancora per molto!