Silent Soul film

Quando muore la giovane e adorata moglie Tanya, Miron chiede all’amico Aist di accompagnarlo a compiere i rituali di addio secondo la tradizione dei Merja, antichissima tribù ugro-finnica dalla quale discendono entrambi. Li attendono, quindi, migliaia di chilometri tra le terre sconfinate della Russia, per giungere al luogo dove i due sposi avevano trascorso la luna di miele e congedarsi definitivamente dalla defunta. Insieme a loro, una coppia di zigoli, uccellini della famiglia dei passeri che avranno un inaspettato ruolo da protagonisti. Il lungo viaggio sarà l’occasione per Miron di condividere con Aist i momenti più intimi della sua vita coniugale. E forse lui non era l’unico ad amare Tanya…

 

Mai titolo fu più eloquente! Il che potrebbe suonare come un ossimoro, considerato che il film di Aleksei Fedorchenko si chiama Silent Souls, “anime silenziose”. Ed è appunto un film fatto di silenzi questo, di emozioni vissute intensamente dai protagonisti ma, allo stesso tempo, trattenute nel loro io più profondo. E non arrivano mai (o quasi) in superficie. È proprio Aist, la voce narrante, a metterci in guardia fin dall’inizio: i Merja sono un popolo che raramente si fa travolgere dalle emozioni. Forse per questo, nel suo complesso, l’opera risulta piuttosto fredda. Sarà colpa della latitudine? O è merito di quella luce pallida e nostalgica che caratterizza certe zone del mondo, e a cui la fotografia di Mikhail Krichman ha reso meravigliosamente giustizia? Per altro, guadagnandosi l’Osella per il Miglior Contributo alla Fotografia alla Mostra di Venezia 2010.

Non si può certo dire che il film sia brutto. Racchiude delle immagini assai suggestive, che ci restituiscono tutta l’immensità e la poesia dei paesaggi russi, con un sottofondo musicale potente e trascinante. Il tutto si scontra con il ‘minimalismo’ e l’‘aridità’ che invece caratterizzano i personaggi. Non che gli attori non siano bravi, tutt’altro. E la macchina da presa indugia sui quei corpi, coi loro gesti e i loro movimenti lenti, ponderati,  descrivendoli con assoluta semplicità e verosimiglianza. Ma non riesce mai a coinvolgere fino in fondo. È come se ci fosse un velo quasi impercettibile che separa irrimediabilmente lo spettatore da ciò che viene mostrato. Si assiste a una serie di rituali, più o meno fedeli alla tradizione Merja, con sguardo quasi ‘clinico’, come se avessimo davanti una sorta di documentario sugli usi e costumi di un popolo ormai scomparso. Manca il pathos. Di fronte a tutto il dolore e a tutta la tristezza evocati sullo schermo, noi non ci commuoviamo.

Forse Silent Souls è quel genere di film che ha bisogno di tempo per lasciare il segno: di quelli che non ti travolgono in presa diretta, ma s’insinuano silenziosamente dentro di te, per riemergere quando meno te lo aspetti. Ma per saperlo ci vorrà un po’.

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Giuditta Martelli
Giovane, carina e disoccupata (sta a voi trovare l'intruso). E' la prova vivente che conoscere a memoria Dirty Dancing non esclude conoscere a memoria Kill Bill, tutti e due i Volumi. Tanto che sulla vendetta di Tarantino ci ha scritto la tesi (110 e lode). Alla laurea in Scienze della Comunicazione seguono due master in traduzione per il cinema. Lettrice appassionata e spettatrice incallita: toglietele tutto ma non il cinematografo. E le serie tv. Fra le esperienze lavorative, 6 anni da assistente alla regia in fiction e serie per la televisione (avete presente la Guzzantina in Boris?). Sul set ha imparato che seguire gli attori è come fare la babysitter. Ma se le capita fra le mani Ryan Gosling...