Day Zero: La sfiga è un mostro dagli occhi verdi che dileggia la carne di cui si nutre

Venezia, the Day Zero. Ovvero come partire con la piega del parrucchiere, vestita carina, allegra e sorridente e arrivare con la scoliocifosi e i capelli attaccati al viso come se avessi fatto ore di jogging sulla spiaggia. I critici sanno che il momento di arrivo al lido non è mica una passeggiata per signorinelle. Devi sollevare una valigia (della quale vi abbiamo già parlato, n.d.a.) che rinnegherai come Pietro per ben tre volte (appena ti accingi a trascinarla: ‘ho fatto io questa zavorra per sommozzatori? Giuro no!’; durante lo sbarco ‘non può essere mia, ma diamine avevo messo due cosette!, aiutatemi per favore!’; prima del ritorno ‘l’anno prossimo non esiste uno schifo del genere, piuttosto due jeans e un paio di scarpe!’); arrivare a casa, e se non sei habitué o hai dovuto cambiarla per qualche motivo anche quelle son prove dure da affrontare. Perché spesso i critici prendono le case a scatola chiusa, fidandosi di qualche fotina messa sui siti, dalle quali devi ricostruì tipo ‘na scena del crimine (ma avete notato anche voi che per gli annunci ogni volta pare che chi scatta c’ha l’Alzheimer o qualcuno gli ha tirato un calcio nel sedere che la foto è mossa, fuori fuoco oppure ha un angolazione tipo arte moderna?).

 

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Insomma, oltre alla valigia, il gioco si fa duro quando apri la porta di casa. Che poi di solito sono case vecchie, arrangiate alla meno peggio, per vacanze al mare che definirle spartane è un signor complimento. Per carità alcune sono anche graziose, ma se ti dice male puoi finire in case agghiaccianti. Noi l’anno scorso abbiamo avuto la casa dei sette nani (che giuro abbiamo amato), e lo dovevamo sospettà visto che stava dietro a via Dandolo che non molti sanno ma esiste una variante della storia di Biancaneve, girata al lido, in cui Dandolo era il nano maligno che, geloso di Biancaneve, cucinava solo sarde in saor perché lei era allergica al pesce.

Vabbè mo’ smettetela di fare i soliti maliziosi.

Dicevamo, le case, insomma questa era una mansarda che si abbassava in altezza, per cui in certi punti o giravi in ginocchio, tipo in punizione, oppure non ci potevi entra’.

Questo per farvi capire quanto dure siano le prove che il povero critico deve sopportare per potè lavorà, o semplicemente per l’amore che prova per i film.

Per cui, trattateci bene. Che rischiamo l’estinzione a ogni Festival.

(Vì)

SPECIALE VENEZIA 72

Che prima di fare questo mestiere pure io l’arrivo a Venezia lo immaginavo come voi. Elegantemente su una Lancia, salutando gli astanti anche se nessuno ha la minima idea di chi cazzo sei. E loro che scattano foto, comunque, che non si sa mai: potresti essere uno famoso. E ogni anno mi ci frega. Mi torna in mente questa scena e mi dimentico che la realtà è ben diversa. Vaporetti affollati che nemmeno i pullman diretti ai campi di Skynet, umidità del cazzo e subito la corsa alla conquista dell’accredito e delle chiavi di casa, che spesso non funzionano e – come nel caso mio quest’anno – quasi si spezzano nella serratura. E andiamo avanti. Entri e ti rendi conto che in frigo non c’è nemmeno Zuul. Purtroppo non c’è nemmeno Dana e a guardare bene proprio non c’è un cazzo, che uno, alle perse, si accontenterebbe pure di quello. Quindi assalto al supermercato, senze nemmeno poter contare sul leggendario Billa che è stato soppresso (una prece) a favore di un banale e globalizzatissimo Conad. Per senso di rispetto nei confronti del defunto Billa non posso cedere, dunque mi rivolgo a empori e negozietti sparsi: un’insalata di qua, un etto di crudo di là, un sapone di su, una bottiglia d’olio di giù, arrivando a casa più carico della Magnum dell’Ispettore Callaghan. A proposito del sapone: è un pezzo di Marsiglia, mi serve per tentare di pulire una camicia bianchissima che durante il viaggio in valigia (quella bestiale del post precedente) si è intrisa misteriosamente di una sostanza rosa e non meglio identificata che ricorda proprio – tanto per rimarcare la citazione – la melma empatica dei Ghostbusters. Visto che è empatica, chissà che succede se bestemmio. A proposito dell’olio. Proprio davanti alla porta di casa mi scivola la busta che ne contiene la bottiglia, che pensa bene di deflagrare in mille pezzi intingendo ben bene pavimento e resto della spesa, compreso il sapone di Marsiglia. Me sa che non è il caso che ce lavo la camicia. Nel tentativo di asciugare mi rendo conto che l’appartamento manca anche di una qualsivoglia forma di materiale igienico, sia in bagno che in cucina. Sconsolato da questa serie di orrende esperienze e rivelazioni lascio casa bisunta e corro a tentare di vedere la serata di pre-apertura, dedicata a Orson Welles. Una versione lunga e restaurata di Otello più la ricostruzione dell’incompiuto Il mercante di Venezia, con tanto di esecuzione del commento sonoro dal vivo. Bella roba insomma, che alla fine qui ci veniamo per il cinema no? Faccio la prima chilometrica fila del festival. Entro sgargiulo e il tipo mi dice: ‘no, è solo su invito’. Mi metto da un lato. Arriva Tatti Sanguineti, senza invito. Fa un po’ di bagarre e lo lasciano passare. Mi infilo dietro. Il tipo prova a bloccarmi e lo guardo (pensando alla camicia da gettare e all’olio del frantoio fin troppo frantumato) con gli occhi da Lupo Mannaro romano a Venezia, ringhiando ‘hai fatto entrare un accreditato‘. Molla la presa e mi lascia entrare immantinente. Basta poco, che ce vò.

Per la cronaca, sono arrivato veramente su una Lancia, ma è un’altra storia

(Ang)

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