Roma nun fa la stupida

Eh, quanto tempo è passato da Venezia. C’era il sole, eravamo freschi di vacanze, mentre ora un gelido inverno batte alle porte e noi ripensiamo stringendoci nei nostri cappotti a quella lontana estate spensierata. Sento una vocina. Mi pare che scandisca le esatte parole: “Ma che cazzo stai addì che non era nemmeno un mese fa”. E in effetti…

 

5Fatto sta che ora c’è il Festival di Roma e noi siamo tornati. Che poi mi hanno redarguito dalla mia redazione (quella seria) che non si chiama più Festival ma Festa, che io poi vorrei sapè che cazzo c’avemo da festeggià ‘noi romani’ che sta città nemmeno c’ha il sindaco. Comunque, al di là di ciò, c’è una sottile sfumatura che differenzia i Festival estivi come Cannes e Venezia dalla maestosa kermesse capitolina, un non so che difficile da spiegare con termini razionali a chi non è dentro al nostro ambiente. Ci proverò con le parole più sincere che mi escono dar frìccico der core: il Festival di Roma è un inesauribile sfranticamento di cazzo. Anzi, no la Festa. Sentite, chiamiamola Sfranticamentodicazzo di Roma e non se ne parli più, eh? Così è più semplice per tutti.

E, per essere chiari, no, non dipende dalla qualità dei film e dalla scelta degli ospiti. Ci potrebbero pure essere Sam Raimi che presenta Spider-Man 4 con il ritorno di Tobey Maguire, Stanley Kubrick resuscitato grazie al potere di Cthulhu o Sasha Grey in performance multitasking live, per i romani lo Sfranticamentodicazzo è tale a prescindere. Tra parentesi, dopo le prime edizioni ricche di grandi star che sfilavano sul red-carpet, piano piano l’offerta s’è abbassata parecchio, come quell’anno che tutti erano convinti che dovesse arrivare Christian Bale e lo avvistavano come il mostro di Loch Ness nelle situazioni più improbabili (dalla proiezione per il pubblico ar cesso al chioschetto del kebab. Il che portò alla nascita del popolare hashtag #gentecheavvistachristianbale) mentre quello se ne stava in panciolle a casa sua ridendo della nostra provinciale ingenuità e pensando ‘questi ancora credono a Batman’.

6Che poi fu anche l’anno in cui il premio a Scarlett Johansson per la sua sexy prova vocale in Her lo ritirò Valerio De Paolis, che è un distributore di tutto rispetto, per carità, ma non ha esattamente lo stesso fascino sinuoso, diciamo. Che poi a Cannes e Venezia si fatica e pure parecchio – anche se le malelingue dicono che stamo sempre a festeggià. Il che è pure vero, ma lo facciamo la sera, dopo la fatica. E nessuno rompe le balle a chi lavora in banca se la sera dopo che s’è sparato una dieci ore di conti e servizi si va a fare una birra o quattro zompi in discoteca – però se non altro quasi sempre abbiamo una sistemazione agevole e vicina al luogo di lavoro. Oddio, agevole dipende dai casi. A casa di Vì nell’ultima Venezia la doccia era sostituita dal pozzo delle anime de I Predatori dell’arca perduta. Ma vabbè.

7A Roma no. L’Auditorium è infatti un luogo magico, simile al Monte Fato, che si trova chiaramente su un piano parallelo dell’Esistenza e ha la caratteristica di essere scomodo da raggiungere in qualsiasi parte della città si abiti, a meno che, naturalmente, non si abiti dentro l’Auditorium stesso. Leggenda narra che a ogni edizione alcune anime ne vengano risucchiate e non facciano più ritorno. Attorno, l’immenso “mare delle tenebre e tutto ciò che in esso vi è di esplorabile” (cit.). Ovvero il kebabbaro di cui sopra (che compare una volta l’anno come il paesino di Brigadoon), e il bar col sushi, che incredibilmente non mi ha ancora mai fatto vomitare. Quindi in sostanza sei impegnato come in un Festival ma con tutti gli svantaggi di lavorare nella tua città – nel senso che ti tocca comunque pensare alla spesa e a pagare le bollette, non se scappa, almeno in teoria – una trasferta senza trasferta, senza contare le ore di buco tra gli impegni mattinieri e quelli serali che, essendo improbabile tornare a casa e poi riuscire (da casa mia è un’ora ad andare e una a tornare, per dire), 1vengono di solito impiegate in atti vandalici come pisciare le tavolette dei bagni e tirare sassi all’omino della Hag vestito da tazzina di caffè, che funge anche da monito per i più lamentosi. C’è sempre chi fa un lavoro più demmerda del tuo.

In compenso, ci sono cartelli con la scritta ‘Auditorium’ in ogni parte della città, anche le più lontane e marginali, con delle frecce che indicano direzioni a cazzo. Tanto vi si accede solo in quel periodo dell’anno (dai, non me dite che c’andate a vedè i concerti a dicembre che non è credibile) e solo tramite un binario fatato nascosto tra le fermate di Colli Albani e Furio Camillo, un po’ come il treno che porta Harry Potter a Hogwarts a inizio anno scolastico. E nonostante tutto, lo Sfranticamento di cazzo Internazionale del Film di Roma diventa bello, come tutte le cose, quando lo condividi con la gente giusta. E quindi è bello ritrovarvi tutti qui, io, voi e Vì, sulle pagine virtuali di questi blogghettino che durante Venezia ha fatto faville. Il nome non lo cambiamo, Sticazzi al sugo (sì, mi rigioco le battute, come nella miglior tradizione dei sequel), anche perché tutti lo conoscete così e in fondo continua a essere vero che a Venezia non ci vivremmo, pure se stàmo a Roma. E se la vita se fa amara, se compràmo na chitàra. Cantate con noi?

(Ang)

Ben trovati gioiosi lettori, felice di essere di nuovo qui a rallegrarvi la kermesse con il mio compare Ang, e ringrazio anche lui perché mi ha ricordato l’esperienza della doccia veneziana, l’esperienza più traumatica della mia vita dopo aver visto Johnny Depp che s’è magnato Geronimo Stilton (ringraziamo sempre Marco Lucio Papaleo per quest’associazione che ha fatto giustamente il giro della rete).

Ma che ce frega, adesso siamo nella città Eterna, dove sicuramente ‘na doccia per bene me la farò: se non altro per queste previsioni allarmistiche, che ipotizzano scrosci tempestosi che ci risucchieranno tutti in vortici acquitrinosi direttamente dentro i tombini, io ho già preso un vestito da2 Tartaruga Ninja, ‘nsia mai che per una volta hanno ragione e me trovo direttamente a fa salotto co’ Splinter.

Detto questo, indovinate da dove scrive la vostra eroina? Ma da un treno! Essì, anche quest’anno torno si a un festival casalingo, ma siccome sono la donna con la valigia ho pensato di venire anche qui da una stazione per non perdere l’abitudine. Che poi se stai comodo sono cazzi. Ma quale comodità, detto tra noi? Ve lo ha già anticipato Ang, se Venezia è il periodo demmerda del cambio stagione, la Festa di Roma è quella della stagione che è cambiata o non è cambiata è uguale, tanto viviamo un posto irreale che cambia latitudine e longitudine da un giorno all’altro, come sottolineano appunto i precisi cartelli posti in ogni dove, dei quali vi parlava Ang. La cosa più agghiacciante è che questo festival è capitolino in tutto è per tutto, con quella romanità caciarona, con quel ‘famose un giro e fingiamo che abbiamo firmato lo script di un qualsiasi filmetto che presentano in una sottosezione di una sezione’, ‘imbucamose a qualche prima’, per cui è impossibile preventivare l’affluenza, pianificarti delle proiezioni, capire se magnerai o i tavoli del Red – uno dei pochi altri posti che dispensano cibo passabile – saranno sempre pieni della stessa gente che tu hai visto qualche settimana prima nella fila per comprare i biglietti del concerto dei Modà. Allo stesso modo, imprevedibile la gestione dell’accesso alle sale. Che non basta l’accredito, maccheseimatto? Spesso se perdi una proiezione stampa e vuoi recuperare un film perché, no ma giustamente, dovresti pure recensirlo, se non hai preso i biglietti la mattina all’alba non puoi minimamente entrare in alcune sale dove è presente anche il pubblico. Madonna quanto non fa una piega questo ragionamento! Infatti fa ‘na piaga. La mia, che ogni volta devo correre e implorare qualcuno della biglietteria a darmi biglietti che altri magari prendono a cazzo perché tanto li danno e poi cestinano accuratamente, anche con un senso di perverso piacere. Spero tantissimo che quest’anno si siano passati ‘na mano sulla coscienza e abbiano cambiato prassi. Spero eh.

3Comunque ma quanto è bello tornare da mamma Festa di Roma, a passeggiare amenamente tra gli stand dove non regalano una mazza, a cercare un posto dove anche solo sniffare del cibo, a pregare per un pc libero nell’acquario della sala stampa dove se ti va bene puoi persino trovare i Rocher, ma sul computer ehh non garantisco eh! Sugli ospiti, sulla programmazione, non mi esprimo, ne ha già parlato Ang, per cui vi dico solo che c’è Alaska, perché dopo Everest le freddure ce devono stà. E infatti sono già pronta con plaid e borsa dell’acqua calda per seguire il film Lo chiamavano Jeeg Robot con Santamaria (non è un attore, è un’esclamazione), diretto da Gabriele Mainetti, anche questa opera prima. Te pare? ‘Tutto brulica di opere prime’, è una congiura! Mi sto attrezzando a regalarvi anche la mia, di opera prima, l’opera prima o poi faccio una strage.

Ah poi ho già intravisto la borsa del Festival di quest’anno: per chi non lo sapesse è un gadget che regalano agli accreditati, e che si caratterizza per la gara delle organizzazioni del festival a chi la fa più brutta. Quella 2015 è fantastica: pare la borsa della spesa che te danno alla Coop, spero almeno dentro ci sia qualcosa da magnà a km zero, tipo er kebab der kebabbaro (tutto torna), che più km zero di quello c’è l’erba attorno al red carpet.

Va bene, corro in stazione a prendere il treno. Ovviamente il binario è l’8/9.

(Vì)

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