Ma come Leone? Non era Del Toro? Considerazioni finali, premi, saluti

Quest’anno una rivoluzione nel colpo di coda finale. Non solo ha vinto il Leone d’oro un film di genere – il bellissimo The Shape of Water di Guillermo Del Toro – ma noi lo abbiamo visto. Fino a ieri, era tradizione conclamata che i film vincitori noi li mancassimo sempre. Ma ora niente sarà più lo stesso.

 

Sarà per quello che oggi piove di nuovo a dirotto e questo rende difficoltoso il rientro e manda inoltre a meretrici tutti i piani che avevamo fatto di regalarci un sereno day off in giro per la Venezia vera, magari con un occhio ai giardini della Biennale arte, che poi torniamo e ci dicono con schifo ‘ma come? Vai a Venezia e non vedi la Biennale?’, lasciando a intendere che siamo du cojoni ancora appresso ai filmetti e non a seguito e servizio dell’arte vera con la A maiuscola. Intendiamoci, ce lo dice gente che il massimo dell’Arte con la A maiuscola che ha visto è un porno con i gorilla, quindi nemmeno ce la prendiamo tanto, ma tant’è. Per cui, dato che il treno l’abbiamo preso comunque alle quattro e mezza di pomeriggio eccoci qui a scrivervi, per le considerazioni finali e soprattutto la nostra attesissima classifica di premi collaterali.

Da segnalare durante la cerimonia il costume da Actarus del madrino Alessandro Borghi, un simpatico tocco vintage recuperato probabilmente da qualche scatolone di Carnevale della terza media.

Notevole anche il taglio di barba alla coda di gatto (alla cazzo di cane non fa più trend). Pare che ieri il barbiere lo abbiamo arrestato quindi pari e patta, giustizia è fatta. Per il resto Borghi è bravissimo, conduce con maestria e fa anche finta di ridere alle battute di Giuseppe Piccioni – presidente di qualche giuria che al momento ci sfugge – su La La Land, che per il resto generano un gelo siderale. Si parte come sempre con i premi minori, che si distinguono per la loro fattura orripilante, buoni, come afferma giustamente il collega Antonio Capellupo, ‘manco per tenerci ferma la porta‘: i Leoni di pongo, di fango e di cerume vanno tutti ai cinesi che hanno fatto i film con la realtà virtuale, il nuovo ‘futuro del cinema’ che diventerà passato tra quindici minuti battendo il 3D e l’Imax, che sono durati rispettivamente mezz’ora e venti minuti.

Li consegna John Landis ubriaco marcio, prima di sboccare. Ben ti sta. Non hai voluto farti il selfie con noi ora vomiti. Vedi la cattiveria a cosa porta. Giusto il tempo di rendersi conto che tutti gli Xavier (da Dolan a Legrand, qui premiato per Jusqu’ à la garde) quando chiamati sul palco frignano come ninfomani a cui viene tolto il dildo, che i registi del film Caniba – presenti con un videomessaggio dove si mostrano attorniati di cuoricini virtuali – sono più psicopatici del killer antropofago di cui parla il film, e che il regista di Sweet Country Warwick Thornton è una versione ipertrofica di Lillo del duo comico Lillo & Greg, e la serata vola via in un attimo come del resto ha fatto questo festival.

Ma spazio per la malinconia non ce ne sta, perché è già tempo di assegnare i nostri premi, a cui si aggiungono quest’anno delle importanti novità.

(rullo di tamburi)

Il premio GCCMNF (Gran Cazzo Che Me Ne Frega), assegnato ad autori di film di portata impegnativa e dai temi profondi e particolarmente lontani dalla praticità del quotidiano vivere, vinto lo scorso anno da Lav Diaz, viene assegnato quest’anno a Darren Aronofsky per il film mother!, che tra deliri, incubi, gente che te piomba a casa, pestaggi e cannibalismo è proprio un film da Gran Cazzo che glie Ne Frega. Famo un po’ quello che ce pare e se piace bene, se no sti cazzi, se semo tajati tanto i soldi ce li avemo. Concetto rafforzato dall’atteggiamento di Jennifer Lawrence in conferenza stampa e nelle occasioni pubbliche che se ne sbatte il cazzo di giornalisti e fan e fugge via per andare a scattarsi foto porno private che poi finiscono ne cloud per la gioia di tutti i Gran Cazzi del mondo.

Il premio ICEFAC (prestigioso riconoscimento la cui sigla sta per In Culo e Fòco ai Capelli), concepito assieme a Cristiana Paternò e tradizionalmente assegnato a individui dalle capigliature particolarmente significative, viene consegnato a parimerito a Helen Mirren per la sua magnifica prestazione con parrucca in The Leisure Seeker di Paolo Virzì e a Claudio Santamaria per la sua pelata con orrendo riporto in Brutti e Cattivi di Cosimo Gomez. Negli anni passati l’ICEFAC è stato consegnato tra le varie edizioni di Mostra di Venezia, Festival di Cannes e Berlinale a: Sean Penn (il primo ICEFAC, per This Must Be The Place), Monica Bellucci (per Irreversible), Tilda Swinton/Tom Hiddleston/Jim Jarmush (presentatisi alla conferenza del film Only Lovers Left Alive con medesimo taglio di capelli), Lav Diaz/Gianfranco Rosi (Berlinale 66, come rappresentanti di due estremi), all’intero cast del film Jackie (Venezia 73, per le acconciature d’epoca).

Il premio Tardo d’oro per il più rincoglionito o semplicemente in età avanzata va alla coppia Robert Redford/Jane Fonda per le smielate effusioni ta vecchi nel film Our souls at night.

Il premio Colloammare, riconoscimento assegnato a registi, sceneggiatori, artisti vari – ma anche semplici astanti – che si distinguono per le particolari fattezze del collo, va quest’anno al vincitore del concorso ufficiale, l’impareggiabile, dolcissimo e incontrovertibilmente privo di collo visibile Guillermo Del Toro. La storia del premio risale alla Berlinale 2016, la leggenda narra che durante la lunghissima e noiosissima conferenza stampa di Berlino, durante premiazione del regista Rosi per il magnifico Fuocoammare, qualcuno si chiedesse ‘ma il collo di Rosi dov’è?’. Nel silenzio, una voce rispose ‘l’ha perduto a Lampedusa’. Da allora, in omaggio a questo grandissimo artista e al suo non collo, si è deciso di istituire un premio che celebrasse l’unico momento di ilarità durante una conferenza stampa di 14 ore e mezzo (ci addestravano a sopportare Lav Diaz). Il primo Colloammare è stato appunto assegnato a Gianfranco Rosi. La celebre statuetta, che riporta le fattezze del primo premiato, è stata attribuita durante la Mostra di Venezia dello scorso anno al collo di Gabriele Muccino.

Quest’anno si aggiunge in oltre una menzione speciale Culammare, in collaborazione con la collega Serena Catalano, che assegna il premio a Abdellatif Kechiche per la ridondante presenza di bei culi femminili nel suo film Mektoub: My love, canto uno.

La Coppa Polpi assegnata a maialoni, provoloni e polpi veri e propri (l’anno scorso la vinse il polpo lovecraftiano di un horror demmerda di cui abbiamo dimenticato il titolo) viene quest’anno conferita agli addetti alla sicurezza che, oltre a svolgere con perizia le loro mansioni, spesso e volentieri approfittavano per allungare il tentacolo o provacce a parole e fatti come disperati con le donzelle presenti, tipo che a Chiara Guida capo nostro supremo le dicevano ‘Grazie per il suo tempo, e per la sua presenza’. Roba che manco in discoteca negli anni novanta con ‘Ti sei fatta male quando sei caduta dal cielo’.

Gatta CenerentolaE passiamo ai premi nuovi: il premio Da un’idea di Stefano Accorsi è assegnato alle opere che sono un rifacimento di un rifacimento di un remake di un libro/romanzo/show tv/recita parrocchiale. La statuetta, che ha le fattezza dei piacionissimo attore italiano, viene consegnata a Gatta Cenerentola, film d’animazione della sezione Orizzonti – rifacimento futuristico di un’opera teatrale a sua volta ispirata a un racconto di Basile a sua volta ispirato a una fiaba della tradizione orale napoletana) che fa impallidire gli uccellini della versione disneyana. Il premio si chiama così solo perché suona bene, dopo 1992. E perché pensare a 1992 e a Tea Falco, in automatico, fa ride. Il premio Mainetti, intitolato al famoso regista con una onorata carriera alle spalle (tre corti e un film, basta e avanza), va ai fratelli Manetti, solo per assonanza, così ci si confonde tra premio e premiato e fa ride.

Infine il fiammante premio Palla d’oro, semi intitolato al regista di Hannah Andrea Pallaoro, che va in giro a dire che si pronuncia Pallàoro con l’accento sulla a ma non ce crede nessuno, incredibilmente non va a Pallaoro ma alla creatura del film The Shape of Water (doppia vittoria per Guillermone Del Toro) perché:

SPOILER VERO

 alla fine tromba.

E per questa Venezia 74, è un lieto fine. Da qui è tutto.Water

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