Non aprite quella borsa

I Festival non iniziano con il primo film proiettato. Non iniziano nemmeno con il ritiro dell’accredito. Non iniziano nemmeno quando per la prima volta metti piede sul luogo. Iniziano molto prima, con la valigia. Proprio sul letto, quella di un lungo viaggio. Un mostro orrendo che ogni operatore del settore costretto ad almeno dodici giorni di tempo imprevedibile – che i bollettini meteo sono meno chiari della Pizia delfica, in certe occasioni – e presumibilmente variabile, deve affrontare, e che farebbe scappare a gambe levate Frankenstein, Dracula e il mostro della Laguna Nera – tanto per restare in tema – che rispetto alla laguna veneziana e alle sue zanzare laureate in Antropologia Culturale è un’accogliente piscina per famiglie.

 

Per le signorine il problema è veramente rilevante, dato che sono solitamente propense a portarsi dietro dei container ricolmi di scarpe d’ogni tipo, e dunque si debbono ingegnare: chi le manda in anticipo con uno spedizioniere, chi le incastra ‘modello Tetris’ in una valigia con triplo fondo, che ha inventato appositamente un mezzo di teletrasporto per proiettarle direttamente da casa propria al Lido. Una volta un’amica mia è entrata erroneamente in una capsula con un paio di decolleté in pelle scamosciata e si è fusa geneticamente con esse, ora non può più portare nessun altro modello e potete capire la sofferenza.

Per noi maschietti è tutto più facile. Apriamo la valigia, ci buttiamo dentro tutto quello che abbiamo nell’armadio seguendo il testatissimo metodo ‘alla cazzo di cane’, ci aggiungiamo il rasoio, la schiuma da barba, il pc e per chi ha qualche speranza i preservativi, e stamo apposto. O almeno così crediamo, perché poi il problema è che la borsa non si chiude nemmeno con un miracolo.

E allora è il momento di applicare l’antica arte dalla ‘Bagagliomachia’, l’eterna lotta tra l’uomo e il fagotto. Una leggenda metropolitana nota nell’ambiente vuole che molti wrestler professionisti siano nati giornalisti di cinema e abbiano imparato le prese nel tentativo di domare i loro fardelli rigurgitanti mutande, calzini e K-Way dalle improponibili tinte in caso di pioggia. Nel 2008 Darren Aronofsky volle omaggiare la categoria con un celebre film che venne selezionato per il concorso, per il quale Mickey Rourke ormai ridotto a un sosia di ‘Faccia di cuoio’ (quello di Non aprite quella porta, anche il carattere era più o meno lo stesso) costrinse un povero addetto stampa a prendersi cura tutto il tempo del suo cane, che aveva un nome ridondante (tipo Heimdall, Faramir o Flegetonte, adesso non ricordiamo bene) ma era un Chihuahua, per giunta vecchio e cacacazzi, e pisciava in ogni dove.

Il film vinse il Leone d’oro. Il cane è morto un mese dopo. Alla memoria.

(Ang)

Non aprite quella borsa

Secondo un recente studio della Nonmifacciomaiicazzimiei School of Management pare che l’espressione più pronunciata dalle critiche cinematografiche alla vigilia di un festival sia ‘…e mo’?’.

L’ ‘…e mo’?’ in questione, in tutte le varianti dialettali, si manifesta in preda a una sensazione di sconforto e sdegno qualche giorno prima della partenza. Le giovani critiche lo sanno da tempo che arriverà quell’espressione lì, ma ogni anno sperano di sfangarla.

Per chi non lo sapesse il vero problema festivaliero è la valigia. I preparativi della partenza sono un qualcosa che ma ciao Bree Van de Kamp e tutta Desperate Housewives. La stanza inizia a riempirsi di vestiti, appesi in ogni dove, l’asse da stiro diventa parte dell’arredamento e il ferro sempre acceso, con conseguenze devastanti sulla messa in piega.

Il nemico n 1 della critica cinematografica è il meteo,  preciso come le taglie di Zara. Non aiutano le colleghe sui social che iniziano a postare di sciagure, trombe d’aria e cataclismi di ogni sorta. Il vero problema è che Venezia cade in quel meraviglioso periodo che oscilla tra ‘Moda mare Positano’ e le piogge dei monsoni del Nepal, per cui amen, t’adadattà. Così la valigia diventa un armadio 4 stagioni, top striminziti accanto a giacche di pelle, stivali, colbacchi. Alla fine pare Portaportese, ma tu ti senti previdente e non ci pensi più.

Il nemico n 2 della critica cinematografica è il problema capelli: voi uomini, fatela finita, cosa ne potete sapere che non ne avete. Spazzole, asciugacapelli, anticrespo che a Venezia c’è un umido che diventi mutante, piastra. Capite bene che ficcare tutto in una sola, misera valigia inizia a diventà un attimo difficile. Ecco l’idea: chiamo il proprietario di casa. ‘Mi scusi, ma non è che, per caso, in casa c’è almeno un asciugacapelli?’ ‘Cara ma che credi che a quella modica cifra io ti metto a disposizione un salone di Jean Louis David?’. E niente, t’adadattà. Vabbè che al lido ce stanno i parrucchieri, ma poi piove, che me frega, me li lego. E metti dentro direttamente Aldo Coppola.

In nemico n 3 della critica cinematografica è il viaggio stesso: se molte non hanno la fortuna di avere maritififdanzatiamantiamicicolleghi che prendono gli stessi mezzi il problema diventa di proporzioni bibliche. Per le più fortunate è solo un treno più il vaporetto. Per le sfigate, like me, i treni so’ due. Io non lo so perché mi ostino fastidiosamente a pagare la palestra quando potrei tenere tutorial su youtube su come fare squat sollevando la valigia sui binari.  Sarei ricchissima, lo so. E insomma t’adadattà. Per cui, niente, devi distribuire bene il peso sennò rischi di pompare solo una parte del corpo con nefaste conseguenze estetiche.

Insomma, potrei continuare all’infinito, ma questi i principali nemici pre-partenza. Per cui sai già che disferai 16mille volte la valigia, che le proverai tutte. ‘Ah tolgo il golfino!’ ‘Semmai lo compro!’ Come se quei due grammi fossero più risolutori rispetto alle 50 zeppe che pesano quanto Giove. Gli omini delle emozioni alla consolle della tua vita ti fanno attraversare tutte le sfumature di stati d’animo. Sadness si impossessa di te. La valigia è un ricordo di base, ormai blu*.

Alla fine, stanca dalla dura lotta tra il (vestire) bene e il male, opti per il solito, rincuorante ‘acazzodicane’.

Quel che c’è c’è. D’altronde: t’adadattà.

(Vì)

*per chi non lo sapesse la citazione è da Inside Out (2015)

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