#RomaFF12: incontro ravvicinato con Christoph Waltz

Christoph Waltz
Foto di Aurora Leone © Cinefilos.it

Nel primo giorno della dodicesima edizione della Festa del Cinema di Roma iniziano anche gli incontri con personaggi del mondo dello spettacolo e della cultura. Nella sezione denominata “Incontri Ravvicinati” si avvicenderanno attori, musicisti, registi, scrittori e stranamente anche uno sportivo.

 

Il primo ospite è stato l’austriaco Christoph Waltz

Con la sua faccia da irresistibile canaglia, incorniciata dal suo originale sorriso sardonico, divenuto, film dopo film, un vero e proprio inconfondibile stilema anatomico. Waltz è amatissimo dal pubblico e a dimostrazione di questo si è formata per i corridoi dell’Auditorium una fila interminabile e paziente, che per ore ha atteso di poter incontrare il protagonista di tanti personaggi memorabili, entrati prepotentemente e giustamente nel panorama del cinema contemporaneo.

Prima dell’incontro, come una sommessa, ma neanche troppo, benedizione tarantiniana, sono passate sul grande schermo le immagini della notissima scena della gara di ballo di Pulp Fiction, con John Travolta e Uma Thurman, quasi a voler sottolineare la paternità di una clamorosa scoperta attoriale.

Waltz nasce a Vienna nel 1956 da genitori scenografi e con i nonni attori. Dopo aver studiato recitazione al Max Reinhardt Seminar di Vienna e al Lee Strasberg Theatre and Film Institute di New York, negli anni Novanta inizia la sua carriera cinematografica lavorando con Krzysztof Zanussi in Vita per vita – Padre Kolbe e in Fratello del nostro Dio. Nel 2009, avviene la svolta fondamentale della sua carriera e Quentin Tarantino gli affida il ruolo che lo renderà celebre, ovvero quello dello spietato istrionico nazista Hans Landa in Bastardi senza gloria, che gli frutta numerosi premi dal Golden Globe al BAFTA, fino all’Oscar® come Miglior attore non protagonista. Da quel momento tutti i più grandi registi faranno a gara per averlo nei loro film: Michel Gondry, Roman Polanski, Terry Gilliam, Tim Burton, Sam Mendes.

Il suo personaggio è quasi sempre un cattivo, o meglio un antagonista caratterizzato da un sarcasmo tanto istrionico quanto crudele, che si bea nel giocare, con ardite disquisizioni, con le sue vittime di turno.

Durante l’incontro, condotto da Antonio Monda, si sono alternati spezzoni di film con momenti di puntuale chiacchierata, spigliata.

Si inizia chiaramente con Bastardi senza gloria. E Waltz ci tiene a sottolineare che non è solito improvvisare ma che segue in maniera ubbidiente tutte le indicazioni e i suggerimenti che provengono dal regista, in quel caso Tarantino. Racconta di come nei suoi film tutto sia scritto sul copione e come ogni particolare sia pensato e progettato in precedenza alle riprese, anche cose che potrebbero sembrare fortuite o frutto di fortunate intuizioni di set, come ad esempio la felice trovata della parola “Bingo!” . Waltz sostiene di essere un estimatore fedele dello script e di considerare importate ogni parola, ogni annotazione, ogni virgola. E nonostante per lui Tarantino sia un grande fabbricatore di immagini, dall’indiscusso talento visivo, è però prima di tutto un geniale e sapiente sceneggiatore.

E’ poi la volta di Carnage di Roman Polanski.

Waltz accenna alle differenze di due forti personalità autoriali come quella di Polanski e Tarantino, ribadendo per entrambi la totale mancanza di improvvisazione e di rispetto quasi religioso dello script.

Christoph Waltz e Antonio Monda
Christoph Waltz e Antonio Monda – Foto di Aurora Leone © Cinefilos.it

Dopo una sequenza di The legend of Tarzan di David Yates gli viene chiesto perché interpreti sempre il ruolo del cattivo. Lui risponde che nella sua carriera non è stato sempre cattivo, ma che il sistema hollywoodiano porta a ripetere fino all’eccesso quello che va bene, quindi dopo i primi ruoli azzeccati è risultato normale vederlo in situazioni similari, garanzia di successo al botteghino. E comunque fare il cattivo, o meglio l’antagonista, permette di divertirsi di più; ruoli del genere, a detta di Waltz, sono pieni di sfumature e offrono a un interprete la possibilità di costruire con vivacità e un’infinità di colori la propria interpretazione.

Non crede nell’immedesimazione, troppe volte mitizzata e sopravvalutata.

Dice che per fare un nazista non c’è bisogno di costruire un campo di concentramento e nemmeno essere internati in manicomio per interpretare un folle. L’importante è scatenare l’immaginazione, seguendo le indicazioni che lo script contiene.

Accenna poi ai suoi punti di riferimento, ammettendo però di non dargli troppo peso, perché le suggestioni e le infatuazioni variano nel tempo, in base alle proprie esperienze e agli stati d’animo. E poi sostiene che ogni attore, per quanto grande possa essere stato, ha fatto buoni film, ma anche film mediocri e a volte decisamente brutti. Cita come esempio Marlon Brando e Humprey Bogart.

Afferma con convinzione che l’ammirazione non deve mai diventare ideologia.

Scorrono altre sequenze, tratte da Downsizing di Alexander Payne, film di apertura alla recente Mostra di Venezia, poi Django di Quentin Tarantino e infine tre momenti tratti dai suoi film preferiti: Il Momento della Verità di Francesco Rosi, Vivere di Akira Kurosawa e I Vitelloni di Federico Fellini. Cita il suo scrittore preferito Jorge Louis Borges e Pierpaolo Pasolini. Racconta della sua infatuazione per l’opera lirica.

Conclude dicendo che la cosa fondamentale è vivere e non valutare.

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