The Orphanage

The Orphanage è il film del 2007 diretto da J.A. Bayona e con protagonisti Belén Rueda (Laura), Fernando Cayo (Carlos), Roger Princep (Simòn), Montserrat Carulla (Benigna), Geraldine Chaplin (Aurora).

 

 

The Orphanage Trama

Laura e Carlos, moglie e marito poco meno che quarantenni, vanno a vivere in una grande casa, un tempo sede dell’orfanotrofio in cui Laura ha vissuto parte dell’infanzia, con l’intenzione di aprirvi un centro per bambini. Con i due c’è il piccolo Simòn, figlio adottivo e affetto da HIV.

Il bambino comincia ben presto a parlare di giochi con amici immaginari, ma sembra che lo faccia solo per ovviare alla solitudine. Il giorno dell’inaugurazione della struttura, Simòn, dopo aver fatto arrabbiare la madre proprio a causa di Tomas, uno dei suoi amici immaginari, scompare.

Passano dei mesi: le ricerche della polizia sono sterili e Laura crede sempre di più che gli amici immaginari di Simòn c’entrino con la sua scomparsa. Infine, passando per la regressione di una medium Laura scopre la dura verità.

The Orphanage Analisi 

È un film horror, The Orphanage? A suo modo, sì. Il primo lungometraggio di J. A. Bayona segue una certa recente tendenza del genere (si pensi a The Others di Amenabar, non a caso prodotto sempre da Guillermo del Toro) a organizzarsi e svilupparsi sui binari dell’inquietudine, del dubbio, lasciando da parte (del tutto o quasi) truculenze, sbalzi di volume e mannaie. La paura e il mistero in The Orphanage si presentano sotto forma di un passato che ritorna; ritorna perché Laura, personaggio-porta che permette il contatto tra ora ed allora, tornando al vecchio orfanotrofio, ne va a sfiorare e pungolare il sonno leggero.

Il punto di forza del film sta nella sfida che propone allo spettatore: credere ai fantasmi e alla natura soprannaturale dell’enigma del film, o restare incollati alla razionalità, pensando che ogni apparente manifestazione dell’irrazionale, dell’aldilà, per quanto forte, sia solo una suggestione? Ovvero, stare con Laura, madre disperata che sceglie di cedere e credere alle presenze, o con il marito medico Carlos, per il quale la medium è una fattucchiera, le voci intercettate dei bambini fantasma una bieca impostura, e l’unica soluzione – un po’ codarda, testimone forse d’una paura che giocoforza dà credito all’irrazionale – è lasciare la casa e cambiare vita? Non è facile, per chi guarda, decidere da che parte stare, ed è un bene, una strategia efficace, che rende spesso ambiguo lo statuto di ciò che viene mostrato: relazione oggettiva della horror-cinepresa o esplorazione e proiezione dei pensieri, delle paure e delle suggestioni di Laura?

La storia è costellata di indizi, ora forniti dai fantasmini per dar vita a cacce al tesoro dagli esiti decisivi, ora, più globalmente, dal racconto audiovisivo, per invitare lo spettatore a costruire la propria versione dei fatti, a farsi un’idea circa la fine di Simòn. A volte – non che sia un male – la sceneggiatura sembra desunta da un videogame pieno di indovinelli e prove. Bayona ricorre ad alcuni mezzi, forse con un po’ di pesantezza, per chiarire un intreccio a tratti complicato: le chiarificazioni fornite dai personaggi, in particolare una spiegazione data da Laura nella seconda parte del film circa le intenzioni e la natura delle presenze, e i super 8 di Benigna Escovedo, ex dipendente dell’orfanotrofio e madre dello sfigurato Tomas, morto tragicamente per uno scherzo degli orfanelli ospiti del ricovero.

Da sottolineare un uso sapiente della colonna sonora, in particolare dei rumori, che entrano nel gioco di decifrazione e interpretazione caratterizzante l’intera storia. Ben studiata anche la gestione luministica della messa in scena, che rifugge le banali coppie luce/bene e buio/male, preferendo insinuare il mistero, diffuso e strisciante, sia nel buio, nei diversi bui della grande indomabile dimora, sia nella luce, e in quella quasi abbagliante dei lontani giochi dell’orfanotrofio, e in quella più tenue del giardino in cui si svolge la festicciola in maschera che dovrebbe inaugurare il centro d’assistenza per bambini.

Un ultimo punto: il film è arrivato in Italia con l’ammiccante titolo The Orphanage (L’originale è El Orfanato, cioè L’orfanotrofio), che rinvia a oggetti diversi, del tipo che, legittimamente e serialmente, arrivano in Europa attraversando l’Atlantico. Un rinforzo in questo senso viene da una delle due locandine ufficiali, che presenta Tomas con la sua maschera da coniglio disgraziato, anti-Bianconiglio parente del pupazzo di Issues dei Korn, alla stregua di un novello Chucky pronto a far macelleria.

Con The Orphanage non si salta sulla sedia, né si esita a spegnere l’abatjour per dormire. Ma le emozioni forti, e durature, non mancano, perché l’opera prima di Bayona ci parla, prendendola sul serio, della morte: enorme, casuale, irreparabile.

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