Roar: recensione della serie antologica Apple Tv+

Roar recensione serie tv

Ispirata dall’omonimo libro di racconti scritto da Cecelia Ahern – conosciuta soprattutto per P.S. I Love You – la serie antologica Roar racconta in otto episodi la condizione della donna nella nostra contemporaneità, sfruttando toni e generi differenti rivisitati spesso attraverso la lente del fantastico. Temi sempre più importanti con cui il nostro presente deve necessariamente fare i conti vengono presentati nei vari capitoli anche grazie al contributo di protagoniste di spessore quali Nicole Kidman, Cynthia Erivo, Merritt Wever, Issa Rae, Betty Gilpin e altre star del grande e piccolo schermo. Dal rapporto uomo-donna declinato in varie forme al razzismo, dalla misoginia al dover fronteggiare maternità e carriera: Roar affronta con un approccio diverso molti degli aspetti che compongono oggi la vita più o meno quotidiana della donna moderna. 

 

Roar, una serie antologica ondivaga

Dobbiamo necessariamente partire con il nostro commento scrivendo che non abbiamo (ancora) letto i racconti da cui i differenti capitoli di Roar sono tratti, e di conseguenza ci è quindi impossibile analizzare l’efficacia della trasposizione in una storia di trenta minuti. Rimane comunque il fatto che si tratta di una serie evidentemente ondivaga, in cui non molti episodi davvero efficaci si distinguono tra una maggioranza che invece non raggiunge il proprio obiettivo, o se ci riesce lo fa in maniera eccessivamente blanda.

Senza voler entrare più di tanto nello specifico delle parti di Roar che non funzionano, principalmente per non voler precludere agli spettatori le sorprese di trama e messa in scena contenute, dobbiamo però constatare quanto l’incisività nel “denunciare” quello a cui una donna qualunque deve andare incontro al giorno d’oggi troppo spesso si disperde in trame fragili, che non costituiscono né un adeguato sviluppo narrativo né un’estetica in grado di rendere la metafora realmente ficcante.

Non tutti gli episodi sono a fuoco

Degli otto episodi visionati per questa recensione soltanto tre – di cui parleremo più avanti – a nostro avviso centrano in maniera più o meno efficace l’obiettivo di restituirci la pressione emotiva e la profondità psicologica delle loro protagoniste. Per il resto Roar purtroppo non sviluppa alcun discorso realmente efficace a sostegno della condizione della donna contemporanea, anzi in un paio di casi ottiene l’effetto opposto di reiterare stereotipi che a nostro avviso non aiutano di certo la causa.

Spesso non si capisce fino in fondo se l’intento era quello di presentare situazioni anche contraddittorie oppure si tratta, più banalmente, di mancanza di forza propositiva. Per alcuni episodi si intuisce la metafora su cui sono costruiti, ma non si riesce poi veramente ad apprezzarla a causa di una narrazione e una messa in scena fin troppo “contenute”, le quali vorrebbero magari esaltare il tocco femminile nell’approccio al tema trattato mostrando invece la fragilità su cui gli episodi stessi sono stati costruiti. 

L’episodio diretto da Rashida Jones

Passiamo però adesso alle note liete di Roar, primo tra tutti il capitolo che vede protagonisti Cynthia Erivo e Jake Johnson intitolato The Woman Who Found Bite Marks on Her Skin. Sfruttando una progressione narrativa solida, il segmento diretto da Rashida Jones parte mettendo in scena con la giusta verità una situazione matrimoniale in cui il marito rimane a casa a badare ai due figli piccoli mentre la moglie con una carriera di successo torna in ufficio dopo la seconda maternità. Pian piano, in maniera coerente e precisa, l’episodio scivola dentro il classico incubo del thriller/horror psicologico, non risparmiando momenti di forte impatto emotivo. Il resto lo fanno i due protagonisti, molto efficaci nel tratteggiare la psicologia e l’arco narrativo dei rispettivi personaggi. 

Discretamente ben orchestrato si rivela anche The Woman Who Ate Photograph, che vede protagoniste Nicole Kidman e Judy Davis.  Anche se l’elemento fantastico rimane piuttosto aleatorio il rapporto tra le due donne che regge l’impalcatura narrativa funziona a livello emotivo, riuscendo a raccontare una malattia tremenda come la demenza in maniera non scontata, soprattutto per quanto riguarda la situazione psicologica di una donna che da figlia deve trasformarsi in madre per accudire l’altra. Il monologo finale affidato a una Kidman inedita e preziosa eleva notevolmente il risultato complessivo del segmento.

Tutto sommato divertente, anche se decisamente più lieve pur nel suo macabro assunto di partenza, risulta The Woman Who Solved Her Own Murder. Alison Brie è come sempre all’altezza quando si tratta di sostenere il tono dell’episodio con il suo brio comico. Alcuni momenti sono indubbiamente divertenti e un finale “telefonato” non inficia più di tanto il risultato complessivo. All’episodio partecipa anche il sempre apprezzabile Hugh Dancy.  Roar andrà in onda su Apple TV+ a partire dal prossimo 15 aprile.   

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