They Call Me Magic: recensione della serie dedicata a “Magic” Johnson

La serie Apple tv può definirsi una risposta a The Last Dance, e segue il grandissimo successo della serie Netflix.

They Call Me Magic recensione

Dopo l’enorme e meritato successo della docuserie The Last Dance dedicata a Michael Jordan e al suo ultimo titolo con i Chicago Bulls nel 1998, Apple TV “risponde” mettendo sul piatto un’altra leggenda del basket americano, ovvero Earvin “Magic” Johnson. Divisa in quattro capitoli, They Call Me Magic racconta la carriera, la vita privata e le vicissitudini della stella che negli anni ‘80 ha condotto i Los Angeles lakers a vincere cinque titoli NBA, in quella che è stata definita l’era dello “Showtime”, ovvero il gioco spettacolare e spumeggiante della squadra. 

 

They Call Me Magic è la “risposta” Apple a The Last Dance

Impossibile dunque evitare il paragone con The Last Dance, in quanto si tratta di un prodotto che ha realmente settato (e molto in alto) dei nuovi parametri per quanto riguarda l’estetica e la narrazione del documentario sportivo. Scriviamo immediatamente che They Call Me Magic possiede qualcosa in meno e qualcosa in più rispetto a questo punto di riferimento: quando tenta infatti più o meno volontariamente di misurarsi col prodotto dedicati ai Bulls mostra evidenti pecche, purtroppo anche per coloro che magari non hanno visto The Last Dance ma che sono comunque minimamente appassionati ed  esperti di basket NBA (lo sappiamo, una contraddizione in termini…).

Magic Johnson non è Michael Jordan

Partiamo dunque dalle note dolenti: They Call Me Magic non possiede né la tensione narrativa né la forza propositiva di The Last Dance. Il motivo principale è che Magic Johnson non è Michael Jordan, ma non si tratta soltanto di questo. Il regista Rick Famuyiwa sceglie giustamente di adeguare il ritmo della sua docuserie sull’indole e la natura di Johnson. L’atmosfera dunque della narrazione è decisamente più rilassata, il tono giocoso, nel tentativo di riprodurre almeno in parte il mood che aveva caratterizzato i lakers degli anni ‘80. Dove Jordan era un atleta pronto ad azzannare chiunque si mettesse tra lui e la vittoria, Johnson al contrario pur possedendo un agonismo enorme sapeva concedere ai “rivali” l’onore delle armi, come dimostra il bel tributo concesso a Larry Bird nel primo episodio A livello di reperti filmati, di tensione del montaggio e costruzione del crescendo narrativo, They Call Me Magic si rivela piuttosto deludente, non proponendo nulla di veramente nuovo e non riuscendo ad amalgamare quanto già visto in maniera realmente efficace.

They Call Me Magic non rende giustizia all’atleta ma all’uomo

Ci sono poi un paio di colpevoli e premeditati “buchi” di sceneggiatura come nel racconto della rivalità con i Detroit Pistons, che affrontarono il Lakers nelle Finals del 1988 e 1989, oppure nel rapporto tra Magic Johnson e il suo miglior amico dell’epoca, il playmaker dei “Bad Boys” Isiah Thomas. Non vogliamo rivelare troppo per evitare spoiler ma possiamo tranquillamente scrivere che, per chi come noi quegli anni e quelle partite li ha visti e vissuti da tifoso sulla propria pelle, molti fatti fondamentali sono stati omessi. Insomma, They Call Me Magic non rende veramente giustizia al Magic Johnson straordinario giocatore quale è stato.

Dove They Call Me Magic invece si rivela migliore, e nettamente, di The Last Dance, è nel raccontare con sincerità l’uomo dietro l’atleta, dietro la stella. Johnson non viene di certo incensato dalla docuserie a lui dedicata, tutt’altro. Le sue mancanze come uomo, soprattutto nei confronti di colei che dopo fin troppe vicissitudini diventerà sua moglie Cookie, sono esposte con (quasi) totale trasparenza. E questo diventa un fattore ancor più importante per capire, quasi per contrappasso, l’importanza di Earvin Johnson una volta smessa definitivamente la casacca dei Lakers.

A partire dalla metà della terza puntata infatti They Call Me Magic testimonia l’importanza fondamentale di un uomo che ha adoperato il proprio potere mediatico ed economico per metterlo al servizio della comunità. Temi fondamentali che riguardano alcune piaghe (ancora) aperte della società americana – dall’HIV al razzismo, dall’omofobia al disequilibrio economico, tanto per citare quelli maggiormente espliciti – vengono messi in scena senza fronzoli, dimostrando quanto Johnson si sia adoperato per affrontarli, spesso vivendoli in prima persona. They Call Me Magic, oltre ad acquistare lo spessore emotivo che mancava nella prima parte, diventa un manifesto sincero e non scontato che mostra come si dovrebbe percepire e gestire la responsabilità del proprio potere. E se Earvin “Magic” Johnson ha rapito il nostro cuore sul parquet di un campo di basket, ha poi rapito anche l’anima una volta che ne è uscito.

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