Winning Time: L’ascesa della dinastia dei Lakers, la recensione

Debutta il 2 giugno, in concomitanza con l’inizio delle NBA Finals Winning Time: L’ascesa della dinastia dei Lakers, la serie firmata Adam McKay.

Winning Time: L'ascesa della dinastia dei Lakers

Dal 2 giugno su Sky, arriva Winning Time: L’ascesa della dinastia dei Lakers. Il basket è probabilmente, tra gli sport maggiormente seguiti in tutto il mondo, quello che ha avuto più difficoltà a essere “trasportato” sul grande o piccolo schermo. A pensarci bene soltanto He Got Game di Spike Lee è un film sul basket totalmente riuscito, e anche questo adopera la palla a spicchi e i canestri per mettere al centro della storia non la competizione ma il rapporto conflittuale tra un padre e suo figlio.

 

Winning Time, come nasce un mito

Winning Time: L’ascesa della dinastia dei Lakers, la serie sulla nascita della grande dinastia cestistica dei Los Angeles Lakers degli anni ‘80, ha imparato talmente bene la lezione che di parquet e di basket giocato lo spettatore ne vede davvero poco, almeno nelle prime puntate. Lo show capitanato da Adam McKay sceglie infatti di raccontare lo stile di vita, le idee e le decisioni che portarono alla creazione di una squadra senza eguali. Insomma, lo show targato HBO nella prima parte tende maggiormente a restituire il ritratto sfolgorante di un’epoca che raccontare una storia sportiva.

E questo in fondo va anche bene, perché McKay e tutti quelli che hanno partecipato al progetto lo fanno con enorme lucidità e più di un pizzico di astuzia. L’assunto principale su cui Winning Time si poggia – giustamente, aggiungiamo noi – è che dietro quel fenomeno chiamato Los Angeles Lakers c’erano uomini con il loro genio ma anche con i propri difetti, debolezze e demoni personali. E così l’artefice primario Jerry Buzz (John C. Reilly) viene rappresentato nel pilot come un playboy incallito che non esita a tradire, mentire, rigirare le carte in tavola seguendo sempre il suo istinto geniale. Il solito ritratto del giocatore d’azzardo che dovresti odiare ma che alla fine non puoi non amare. McKay adopera il suo solito stile comico-documentaristico (personaggi che parlano in camera, didascalie sfrontate, montaggio sincopato) per confezionare un primo episodio frizzante e ottimamente orchestrato, impregnato di quella frivola gioiosa libertà che era alla base del progetto Lakers di Buzz.

A livello emotivo la serie entra però nel vivo grazie al secondo episodio in cui protagonista è il coach ed ex-leggenda del parquet Jerry West (Jason Clarke), un uomo ossessionato dall’idea della sconfitta, dal terrore di non essere all’altezza del compito più importante, ovvero quello della vittoria dell’anello. Un personaggio tragico nella grandezza del suo carattere autodistruttivo, che rende la seconda puntata di un livello emotivo superiore alla precedente. Lo stesso vale quando nella quarta puntata la scena è dominata da Jack McKinney (Tracy Letts), nuovo allenatore della squadra che, dopo essere stato assistente per fin troppi anni, vede finalmente avverarsi la possibilità di sviluppare i suoi schemi di gioco innovativi. Insomma, Winning Time nei suoi primi episodi è un alternarsi di personaggi quasi comici con altri decisamente più corposi, il cui tono leggero ad essere onesti non sempre rende giustizia. Rimangono infatti troppo in superficie, se non addirittura vagamente parodiate, le figure di Magic Johnson (Quincy Isaiah) e in particolar modo Pat Riley (Adrien Brody), le quali speriamo trovino la loro dimensione nelle puntate successive.

Winning Time è uno spaccato d’epoca

Tratto dal libro Showtime di Jeff Pearlman, Winning Time in realtà lo adopera soltanto come base per mettere in scena alcune vicende, stravolgendone in larga parte il tono della narrazione. I creator Max Borenstein e Jim Hetch drammatizzano le vicende dei vari personaggi con sottotrame proprio non presenti nel testo originale, e viene lecito chiedersi se la fonte primaria per tali avvenimenti non sia stata proprio Jeannie Buzz, figlia di Jerry e attuale proprietario dei Los Angeles Lakers. Poco importa, in quanto il risultato non cambia poi di molto: Winning Time è molto divertente da gustare come spaccato d’epoca, una commedia do costume che mostra come un grande miracolo sportivo come quella strada sia nato per mano di una serie di figure contraddittorie e tra loro difficilmente amalgamabili: ma lo sport spesso fa miracoli, si sa…

Vedendo le varie puntate si ha l’impressione che se non proprio tutti, sicuramente la maggior parte degli artisti che hanno partecipato al progetto Winning Time siano tifosi dei Lakers, e questo non davvero non guasta. Lo è di sicuro Jonah Hill, che ha diretto il secondo episodio. Tra gli altri nomi famosi che vedrete nello show meritano citazione anche la due volte premio Oscar Sally Field, Jason Segel, Gaby Hoffman, Rob Morgan.

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