Mi rifaccio Vivo: recensione del film di Sergio Rubini

Mi rifaccio Vivo

Chi può dire di non aver avuto un nemico nella vita? Biagio Bianchetti/Lillo Petrolo ne ha uno sin dai tempi delle elementari, Ottone Di Valerio/Neri Marcorè, pronto a oscurare sempre ogni suo pregio e sua capacità. In seguito all’ennesima sconfitta, Biagio decide di porre fine alle sue disgrazie e di togliersi la vita. Tuttavia, una volta trapassato, scopre che per una buona azione ha diritto a un bonus di una settimana da passare sulla Terra nei panni di chiunque desideri, per dimostrare di essere un uomo migliore.

 

A Biagio però non interessa riscattarsi, bensì vendicarsi del suo acerrimo rivale. Tornato in vita nei panni del noto manager Dennis Rufino/Emilio Solfrizzi, nel tentativo di far fallire l’azienda di Ottone, conoscerà meglio il suo nemico e capirà che non era affatto invincibile e sicuro di sé come pensava. Sergio Rubini ci propone una commedia che mira più all’esaltazione dei buoni sentimenti che alla risata, nonostante la presenza di un trio comico.

Mi rifaccio Vivo, il film

Da una parte troviamo un personaggio che nasce buono e che, sebbene incontri molte avversità e prenda la strada della vendetta, non smetterà mai di essere buono; dall’altra parte, invece, troviamo un personaggio che appare come il cattivo della storia, ma che se conosciuto meglio può essere compreso e aiutato a cambiare. A questo punto, ci chiediamo se anche la figura negativa dell’avvocato Mancuso/Gianmarco Tognazzi, ridotto a una macchietta e creato apposta per sostituire al giusto momento il falso nemico, non sia in fondo una persona buona che ne ha passate troppe.

La storia, di per sé ben costruita, intreccia coerentemente i diversi personaggi principali e i loro obiettivi all’interno della trama, ma manca di solidità nello sdoppiamento psico-fisico post-reincarnazione di Biagio, che sembra solo una scusa per aumentare le scene di Lillo con Solfrizzi. Infatti, questa svolta del racconto fornisce alcuni spunti comici, ma indebolisce la struttura dell’impianto fanstasmatico, che finora rispondeva a una certa originalità. L’aldilà che Rubini e i suoi co-sceneggiatori ci mostrano è un posto strano, simile alla realtà, soprattutto nell’aspetto burocratico, dove non ci sono angeli o demoni, ma piuttosto semplici impiegati, coordinati da un intransigente Karl Marx.

Le coppie Lillo/Solfrizzi e Solfrizzi/Marcorè producono una comicità equilibrata e spontanea, sebbene la sceneggiatura riservi del ridicolo per ciascuno dei loro ruoli.  I personaggi di Virginia/Margherita Buy e di Amanda/Valentina Cervi, rispettivamente moglie e amante di Ottone, caricano spesso in maniera negativa l’aspetto comico del film, mentre Sandra/Vanessa Incontrada, moglie di Biagio, è dei tre personaggi femminili l’unico scritto non per la risata, ma per la storia.

Mi rifaccio vivo è una commedia divertente che suggerisce una reazione pacifica e diplomatica di fronte a situazioni o persone negative, perché non tutto è come sembra. Troppo edulcorato forse come messaggio, ma si può sempre riderne sopra.

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