Tekken: recensione del film di Dwight H. Little

Tekken

Dopo i tanti franchise digitali portati sul grande schermo con scarso successo (vedi Super Mario, Street Fighter), ora a è toccato a Dwight H. Little portare al cinema Tekken, uno dei picchiaduro più amati dai videogiocatori. Le vicende sono ambientate nel 2036, in un mondo devastato dalla guerra nucleare dove la popolazione, ridotta in povertà, è dominata dalle multinazionali: tra queste spicca la Tekken, la più potente delle corporazioni, che ogni anno bandisce il torneo dell’Iron First, dove, a fronte di una cospicua somma di denaro, esperti di arti marziali si affrontano per giungere alla vittoria finale.

 

A scalare le vette della gloria ci prova Jin Kazama (Jon Foo), che in realtà partecipa al torneo con uno scopo preciso: vendicarsi di Heihachi Mishima, responsabile della recente morte di sua madre, Jun Kazama (Tamlyn Tomita). Nel film compaiono altri personaggi ben noti agli amanti dalla saga: Bryan Fury (Gary Daniels), Eddie Gordon (Lateef Crowder), Christie Monteiro (Kelly Overton), Steve Fox (Luke Goss), Kazuya Mishima (Ian Anthony Dale) e suo padre Heihachi Mishima(Cary-Hiroyuki Tagawa) le sorelle Williams (Candice Hillebrand e Marian Zapico), nonché il mitico Yoshimitsu (Gary Ray Stearns ).

Sfortunatamente l’ansia di vedere i propri beniamini in carne e ossa cede subito il posto alla  disarmante delusione nel vedere come i caratteri originali dei personaggi siano stati stravolti, se non del tutto annullati: Nina e Anna Williams, vere e proprie femmes fatale nel videogioco, costituiscono delle mere comparse voyeristiche senza alcuna abilità tecnica al servizio di Kazuya (cosa impossibile nell’originale), mentre Christie Monteiro appare più impegnata a sfoderare le arti seduttive su Jin anziché quelle marziali. Gli altri guerrieri non se la cavano meglio, penalizzati da interpretazioni anonime e senza alcun sprazzo di carisma. Heihachi Mishima, pilastro della serie, rappresenta il personaggio meno riuscito, a partire dalla fragile personalità fino al ridicolo make-up.

La pellicola fallisce in pieno anche nel lato action: i combattimenti sono privi di adrenalina a causa delle scarse capacità tecniche dei lottatori, e il lavoro degli stuntman sembra sia stato del tutto inutile. L’eccezione resta Jon Foo, un vero praticante di arti marziali che appare l’unico personaggio degno di nota, sia a livello interpretativo che di make up, ma che non regge da solo il peso di una produzione fallimentare.

Certo, ci sarebbero alcuni alibi che giustificherebbero l’infima qualità della pellicola (il budget esiguo, volti sconosciuti e un regista proveniente dalla televisione), ma vedere un brand così importante strapazzato in questo modo non può non avere un effetto devastante.

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