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Dalla storia (vera) di una banda criminale di Roma negli anni 70 a un best seller scritto da un magistrato con l’hobby della letteratura arriva Romanzo Criminale. Da un best seller a un film campione di incassi e di premi. Da un film della durata epocale di tre ore a una serie tv prodotta da Sky che ha rivoluzionato il modo di fare fiction in Italia.

 
 

Si tratta di Romanzo criminale – La serie, diretta da Stefano Sollima, con la supervisione artistica di De Cataldo e Placido, che, nonostante i vari rimaneggiamenti, esce fuori con nuova linfa vitale per imporsi nello scarso e stagnante panorama televisivo italiano. Per una volta il poliziesco in Italia si fa dalla parte dei criminali, come già da qualche tempo ci hanno insegnato gli americani (vedi su tutti le tre stagioni di Dexter), lasciando da parte la morale buonista e tifare, senza vergognarsene, per i cattivi che spacciano e ammazzano in giro per Roma tra gli anni 70 e 80.

Romanzo criminale – La serie

Il Libanese, il Freddo e il Dandy sono a capo di una delle bande criminali più sanguinose d’Italia, ma nonostante questo sono in grado di trasmettere valori come l’amicizia, l’onore e il rispetto, andando più in là del concetto di famiglia di stampo mafioso. Attraverso alleanze, complotti di stato, intrecciando vicende personali con eventi storici, patrimonio comune di tutta l’Italia, si segue l’ascesa, l’apice e il conseguente declino dell’ottavo re di Roma, Libano, e dei suoi fedeli. La ricostruzione storica è perfetta: la fotografia dai toni plumbei rende al meglio l’atmosfera degli anni di piombo, così come le fumose riunioni della banda nella vecchia sala giochi, o i barocchi incontri nel bordello di Patrizia.

Ma la vera sfida l’hanno dovuta affrontare gli attori protagonisti: non era facile entrare nell’immaginario collettivo con quei ruoli che erano stati calzati (alla perfezione) da Claudio Santamaria, Pierfrancesco Favino, Kim Rossi Stuart e Stefano Accorsi. Eppure, questi giovani esordienti sono stati capaci di reinventare i personaggi adattandoli ai propri corpi, alle proprie movenze, facendo del Freddo, del Libano, del Dandy e del commissario Scialoja dei personaggi mai visti sullo schermo. In particolare, è da sottolineare l’incredibile interpretazione di Vinicio Marchioni, che, nonostante la mancanza dei gelidi occhi azzurri di Kim Rossi Stuart, ha saputo trovare le corde giuste per fare del Freddo un personaggio tutto suo, staccandosi completamente dal suo predecessore cinematografico.

Inoltre, come il modello americano insegna, non poteva mancare una colonna sonora da urlo, diventata già un must tra gli appassionati, che mescola sapientemente pezzi della tradizione pop italiana, come Franco Califano, alla dance anni 70. Ma la novità rispetto alle consuete fiction italiane si riconosce non solo nella struttura narrativa, ma anche nella tecnica registica: inquadrature a schiaffo degne di un film di spionaggio americano, o un montaggio che tiene alta la tensione senza eccedere mai. Un po’ di personalità in televisione può solo che fare bene.

Da ricordare: La sigla. Soldi, sesso, cocaina e sangue non sono brutti, sporchi e cattivi se vengono presentati con classe.

Da dimentricare: Il grugno sulla faccia del libanese. Un po’ troppo forzato.

 

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