Il Viaggio di Arlo: quando la Pixar mi ha deluso

Non mi era mai capitato di ritrovarmi a pensare “ma sto davvero guardando un film della Pixar?” dopo neanche mezz’ora di visione. Mai. Vidi Cars 2 al cinema e non mi fece questo effetto. Non lo trovo un bel film, ma non lo trovo neanche pessimo come dicono tutti. È un film con dei dialoghi banali e dei (bei) personaggi usati male, che probabilmente puntava a recuperare il pubblico dei più piccoli. Vidi anche Brave e Monsters University al cinema, e nemmeno loro mi fecero quell’effetto, anche se sono considerati i Pixar “minori”. Di entrambi ho adorato soprattutto le bellissime tematiche e i messaggi forti, potenti, straordinariamente attuali, forse espressi in maniera un po’ confusionaria ma comunque incisivi. Il Viaggio di Arlo, invece, è stato il primo film Pixar in cui non ho trovato niente.

 

Ho passato buona parte della proiezione ad aspettare che la storia ingranasse. Ci sono delle singole scene molto belle, emozionanti, dirette bene, che dimostrano la sensibilità e la cura che la Pixar mette in tutto ciò che fa. Ma sono singole scene e a me non sono bastate. Ho cercato anche di affezionarmi ad Arlo e Spot, ma questi due personaggi non mi hanno detto proprio niente. E dire che io e il piccolo dinosauro condividiamo l’ansia verso tutto ciò che ci circonda…

Il Viaggio di Arlo è anche una lunga serie di incontri, purtroppo poco incisivi. Ci sono film Pixar che tratteggiano dei personaggi straordinari in pochi minuti di screentime. Qualche nome? Edna Mode in Gli Incredibili, Bruto e gli squali di Alla ricerca di Nemo, Roz in Monsters & Co. Non ho trovato nulla di tutto ciò nella storia di Arlo, in cui i personaggi che i due protagonisti incontrano nel corso del loro viaggio semplicemente non mi sono rimasti impressi in mente, non aggiungono niente alla storia e non sono neanche esteticamente interessanti.

Gli incontri con altre specie di dinosauri sarebbero risultati più interessanti se fossero serviti a spiegarci come funziona il mondo di Arlo. Il worldbuilding è infatti forse il difetto più grande dell’intera pellicola, e quello che a mio parere rende il film poco pixariano. La casa di Luxo è famosa per l’abilità e il genio con cui immagina e descrive nei minimi particolari i suoi mondi immaginari, rovesciando, parodizzando o estremizzando le regole della nostra realtà. È importante che queste nuove regole ci vengano descritte o quantomeno ci vengano fatte capire affinché il mondo in cui ci troviamo sia credibile e affinché si attivi la sospensione dell’incredulità. Invece, qui vediamo soltanto la famiglia di Arlo (ma non altri brontosauri) intenta a coltivare la terra, mentre i tirannosauri sono allevatori di bestiame e gli pterodattili sembrano una sorta di parassiti che vivono a spese del lavoro degli altri. Ma non sappiamo nient’altro del mondo dei dinosauri, e di fatto la grande domanda che ci si pone nel trailer (“come sarebbe il mondo se l’asteroide non avesse mai colpito la Terra?”) non trova una vera risposta. Certo, la cosa è assolutamente scusabile, considerato che il focus dell’attenzione è il viaggio di maturazione di Arlo e quindi tutto ruota attorno a lui e, al massimo, al suo compagno Spot. Tuttavia ho avvertito molto questa mancanza e sono uscita dalla sala con mille curiosità riguardo la società dei dinosauri.

Sicuramente le sequenze più interessanti sono quelle con protagonisti i t-rex. La vera genialità della Pixar si vede nelle piccole cose, come il fare un film con i dinosauri e inserirlo nel genere western. A tal proposito, la versione di Peterson, prima che il film fosse riscritto da capo nel 2014, doveva essere una vera e propria parodia del western, con un taglio più comico (nel risultato finale invece si ride pochissimo, e il tono generale rimane maliconico e molto raccolto, intimo). Al cinema mi sono chiesta più volte se quella versione avrebbe forse incontrato maggiormente i miei gusti. L’impressione che mi è rimasta, infatti, è che il western vero e proprio sia stato soltanto accennato, come se fosse un’idea rimasta dalla prima stesura della trama che non si voleva eliminare del tutto, ma su cui allo stesso tempo non bisognava soffermarsi troppo, per non togliere spazio ad Arlo. Si poteva forse osare di più e caratterizzare l’intero film sul genere.

In ultimo, credo che il mio giudizio generale e la mia completa incapacità di connettere con i personaggi e con la vicenda siano stati influenzati in negativo in parte anche dalla componente estetica. Lo stile adottato per questa pellicola è quello già visto in Brave e The Blue Umbrella: personaggi stilizzati e cartoon che si muovono in ambienti incredibilmente fotorealistici. Sicuramente la resa dei paesaggi è straordinaria, tanto che possiamo spingerci fino all’affermare che la natura stessa sia quasi una co-protagonista. La cura del dettaglio è maniacale, ma ciò che davvero stupisce sono i campi lunghi, mozzafiato. Purtroppo ho avuto la reazione opposta osservando i personaggi, che ho trovato davvero brutti. L’effetto “pupazzone gommoso” mi ha infastidito, specialmente nei primi piani dei brontosauri. Temo che, stavolta, questo palese voler creare personaggi che sono di fatto action figures e pupazzi per bambini mi abbia impedito di godere della storia.

Non mi aspettavo molto da Il Viaggio di Arlo; la visione di alcune clip mi aveva già lasciato poco convinta. Ma ero pronta a farmi sorprendere, perché solitamente è questo che gli studi di Emeryville fanno. Invece, ho avuto ancora meno di quello che mi aspettassi: ho avuto un film Pixar che, per la prima volta, mi ha davvero annoiata. E un po’ mi dispiace.

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