Bestie senza n’azione

La èancorailsecondogiorno production è lieta di raccontarvi la versione ‘true life’ di Beasts of no nations, il filmone che ieri sera ha tirato un calcio nelle palle alla critica. Il film parla di un ristoratore del Lido, ma attenzione, non è Il giovane favoloso dell’anno scorso, che ci ha commossi con il suo cuore d’oro. (Vedi qui).

 

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Questo, di ristoratore, è abbrutito dalla gente festivaliera, ormai ha perso quella spensieratezza che lo rendeva felice di spadellare sarde, servire pescetti, impiattare tagliolini. La pellicola racconta il percorso di dura lotta contro gli avventori del suo locale, lotta alla quale ha iniziato anche il personale di sala che ignora qualsiasi richiesta della clientela e nega con sadismo l’esistenza di vivande presenti nel menu. Il ristoratore è ormai un uomo distrutto: sa benissimo di essere diventato un mostro della laguna e non ne fa mistero. Per cui esercita il suo potere dispotico sugli ignari clienti, ritardando la consegna dei piatti, accendendo ventilatori all’improvviso per stecchirne un paio di broncopolmonite, facendo mangiare allo stesso tavolo due sì e due no, chiudendo i conti, inventando nomi inesistenti dei piatti, ma soprattutto servendo un vino terrificante, probabilmente sangue delle sue vittime precedenti.

Insomma il film finisce con un gruppo di ribelli che decidono di porre fine a questo scempio e si incazzano alla cassa: degna di nota la performance di Marilena Vinci che, esausta da ste pale del ventilatore che continuavano a roteare come le nostre palle, si alza e con un cazziatone delizioso convince il ristoratore a fare come dice.

Il tormentone di ieri è stato poi #affittanza, affittanza se non lo sapete è un’opzione di soggiorno veneziana, fatta in co-branding con la Ryanair: per dire, se voi siete in 4 e volete fare tutti la doccia dovete prima di prendere casa flaggare questa preferenza, eccheccazzo. Mica la potete fare tutti, se paga il supplemento, ma che davero? Siete in 4 e volete bere? Dovete crociare la casellina, sennò col cazzo che trovi il bicchiere, t’adatti a bere a canna dalla fontanella.

Insomma, tenetela a mente, che se poi ce venite tocca stare attenti sennò tocca cenare tutte le sere dal ristoratore bestiale.

Va bene, vado a scrivere cose serissime sul film di oggi, Looking for Grace, ovvero come costruire dei personaggi in maniera impeccabile e fargli fare cose inutili, attraverso una tecnica nuovissima di messa in scena: il riavvolgimento della pellicola per mostrare la stessa storia dal punti di vista di tutti i protagonisti.

(Vì)

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Fosse stato per me, a quel ristoratore bestia, j’avrei fatto ‘er vento’, ovvero fuggire ignominiosamente senza pagare, dato sì che – è vero – alla fine ha ceduto a concedere i conti separati, ma si è rifiutato di rilasciare le ricevute singole indispensabili per i rimborsi. Tecnicismi a parte, il succo è che i ristoratori del Lido sono simpatici come lo scherzo del calcio nelle palle, e poi non potevo costringere a un fugone scoordinato e rocambolesco le mie compagne d’avventura, tra cui Vì che – è risaputo – porta il tacco 12 pure sotto il pigiama. Con stile, per giunta. Quindi ho abbozzato, per puro spirito di cavalleria. A fine Festival a quel locale je dò foco, come gesto catartico.

Dite che sono violento? Saranno i film: facendo due calcoli, per ora abbiamo visto una pellicola di morti male e due su bambini violentati e maltrattati. Se avete intenzione di proiettare anche degli snuff-movies fatemelo sapè che torno a Roma a provocarmi dei tagli tra le dita dei piedi con dei fogli di carta, che è più divertente. Oggi comunque pausa: stamattina ho presentato un libro serissimo <(parentesi spot)> ‘Il metacinema nelle opere di Lynch, Cronenberg e De Palma’, di Chiara Nucera, leggetelo. </(parentesi spot)> inaugurando gli eventi dell’Italian Pavilion (mica cazzi). So che questo alternare tra occasioni serie e istituzionali e cazzeggio senza remore mi ucciderà, un giorno.

Ma non oggi.

Poi, intervista a Cary Fukunaga, quello di True Detective, che io conosco poco e niente dato che la tv ormai la uso solo come suppellettile. È un bel ragazzone dai tratti occidentali, mamma svedese e padre giapponese. Avrà tipo la mia età. Faccio lo splendido e riesco a fargli credere che fino a dieci minuti fa non lo immaginassi come il cinesino del Bimbomix (quel cacatore giallo che negli anni ’80 irrompeva dalla tivvù nelle nostre case urlando ‘Schelzo Cinese!’) lodando anche le sue – peraltro presenti – doti registiche. So’ poco trendy, lo so.

(Ang) 

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