Quanto vorrei che la vita
fosse un musical. E in particolare, la vita qui, alla Mostra del
Cinema, con Baratta e Barbera che intonano un duetto giocando sulle
assonanze dei loro nomi e la loro vicinanza al campo semantico dei
vini e dei posti dive ci si ubriaca di brutto. Con gli addetti alla
sicurezza che ti controllano le borse in movimenti coordinati come
se fosse nuoto sincronizzato cavalcando le note di ‘Isis
cos I’m cool’, con i colleghi che in conferenza stampa
pongono le classiche domande in rima baciata, del tipo ‘qual
facezia essere a Venezia’, e gli intervistati che rispondono in
contrappunto con entusiasmo fuori dal comune anche di fronte alle
più imbarazzanti delle questioni. E come vorrei essere il
protagonista di un musical io, in grado di far fronte alle
scempiezze della vita danzando e cantando come uno stronzo anche
quando per correre all’appuntamento di turno, per il quale sono
incontrovertibilmente in ritardo, mi incaglio lo scroto nella zip
dei pantaloni. Invece di un lacerante urlo di dolore, come per
magia uscirebbe dalle mie labbra un soave ritornello che recita
‘This is the wonderful Land of Sticazzi – oh! oh! –
Sticazzi! – Let’s do the Sticazzi agaiiiin!’, e mi
metterei a sgambettare con eleganza con lo sfondo dei pianeti o di
qualsiasi altra cazzata vi venga in mente dopo una gita sotto
acido.
Ecco, La-La-Land, il film d’apertura di quest’anno, è un po’ così. Però è bello. Perché in finale il cinema consiste anche nel riuscire a emozionare lo spettatore anche a seguito delle peggiori cazzate. Non deve essere realistico, basta che sia presente a sé stesso e a me, che sono un tipo semplice, mi basta e mi avanza. So che ‘a me mi’ non si dice ma provateci voi a stare attenti all’ortografia e alla grammatica con lo scroto incagliato nei pantaloni.
Applausi a scena aperta, da
parte di tutta la sala. Dopo Whiplash è
stato deciso che in ogni film in cui compaia anche alla lontana un
pezzo jazz, fosse anche la suoneria d’attesa del Radio Taxi, ci
deve stare J.K. Simmons, per cui aspettatevi interminabili
improvvisazioni ‘à-la-bite-de-chien’ anche nel
prossimo film di Batman, se tanto mi dà tanto.
(Ang)
E in effetti… ‘This is the Isis of the night, the night oh yeahh!’ Ti canterebbe Corona – non Fabrizio, ci riferiamo alla gnoccolona anni ’90 che quando s’è scoperto che non cantava con la voce sua ci ha provocati certi traumi che manco la scena della mamma di Bambi – mentre fai dribbling tra i macigni messi per evitare camion omicidi. Perché qui al Lido, come s’è più volte detto e come hanno ribadito nella conferenza d’apertura, quest’anno con la sicurezza si fa sul serio. Ti pigliano il badge, te lo osservano con cura. Stringono gli occhietti tre quattro volte per capire se sei davvero tu. Insomma, ci dedicano il tempo. Anche perché metà della gente ha la foto del tesserino che assomiglia al massimo a suo figlio ora, se solo ne avesse uno, quindi vabbè… alla fine famo a fidasse e tanti saluti. Ho visto anche io La La Land, e mi sono immaginata noi romani sul GRA – che qui sono abituati a chiamarlo ‘Sacro’ per via del Leone d’oro di qualche anno fa, ma per noi è profanissimo – sotto al sole, imbottigliati come criceti in una ruota, a cantare tutti insieme ‘It’s another sunny day!’, ballando fuori dalla macchina sorridenti e gioiosi. Ma sul film si è già espresso Ang, quindi andiamo avanti e cambiamo argomento:
Secondo il modello di sviluppo a fasi di Freud, la fase anale è il secondo periodo di sviluppo del bambino: essa succede alla fase orale e precede la fase fallica. Si colloca a un’età compresa fra i 18 e i 36 mesi circa. Per bimbo Gabriele Muccino questo passaggio si manifesta eccezionalmente alla soglia dei cinquanta. Avete presente quando da bambini vi fissate con una parolaccia e continuate a ripeterla compulsivamente con delle varianti? Facciamo un esempio a tema. Diciamo che scoprite la parola ‘culo’. Per giorni e giorni, e la felicità dei vostri parenti e di chi vi sta attorno, o per mesi, o addirittura anni, è tutto un susseguirsi di ‘culone, culetto, culaccio, culino, inculata, culacchione, culatello, culinaria’ (……….. aggiungere ad libitum). Ecco, tutti sanno che nei film di Muccino ci sono sempre scene in cui la gente grida parolacce in maniera concitata, peraltro, di solito, termini mai usati durante un’autentica litigata (tipo in Baciami ancora, che era tutto un ‘fottiti’ e ‘fottutissimo’. Ma chi cazzo dice ‘fottiti’ e ‘fottutissimo’ quando bisticcia in Italia?). Ecco, ne L’Estate addosso è uguale, ma tutto declinato in chiave gay. Che sostanzialmente è una storia di gente che scopre che esistono gli omosessuali e, dapprima intimorita, poi gli si apre un mondo, che viene accolto con un entusiasmo affannato e contagioso. La ragazzetta protagonista, dapprima suorina virginale e introversa, si trasforma nel giro di tipo dieci secondi in una specie di degustatrice ufficiale di orge, saltando da una strusciata lesbo in discoteca a un convegno di rappresentanze falliche come se si trovasse su un trampolino elastico. Aiutano i dialoghi, col protagonista maschile che vive al centro di Roma ma parla come er peggio trucido de Torpigna, ed è commovente quando elemosina l’amore della bella – che, come facilmente intuibile, la dà a qualsiasi composto contenente azoto sulla faccia del pianeta tranne che a lui, compreso un barattolo di varecchina – aggrottando le ciglia come se stesse per aggredirla, stravolto da cotanto desiderio, e finendo invece pè fasse na pippa al bagno come il peggiore dei disperati. Un film generazioanale, oserei dire. E, no, non è un refuso. Noi a bimbo Gabriele gli vogliamo bene, e speriamo che superi questa difficile fase di crescita quanto prima. Intanto però, oltre all’Estate, guardando il film addosso se semo fatti pure altro.
Chiudiamo anche noi con una foto di
euforia paradossa, scattata dopo la proiezione al baretto che c’ha
servito il necessario caffè. E stiamo solo al primo giorno. Chissà
quali altre meraviglie ci attendono.
(Vì)