La Trilogia del
Paradiso ideata da Ulrich Seidl sta dando ora i suoi
frutti. Dopo Paradise: Love dello scorso anno, che narrava
la storia di una giovane austriaca che si reca in Kenia in cerca di uomini disposti a fare sesso in
cambio di denaro, ieri è stata la volta di Paradise:
Faith, pellicola sull’esasperazione della religione che si
è trasformata nel suo opposto: la blasfemia. Oltre all’orgia
ripresa nei minimi dettagli o le flagellazioni della protagonista,
a suscitare scandalo è stata soprattutto la scena in cui si
masturba davanti a un crocefisso.
La parola Paradiso che il regista ha attribuito alla trilogia, non
è che una cinica canzonatura. Tuttavia c’era quasi da aspettarselo
dato i precedenti di Seidl: Amore animale, grottesco
documentario premiato a Postdam nel 1996 che portava in scena la
solitudine dell’uomo moderno che sceglieva di cercare e ottenere
affetto dagli animali; il successo è arrivato con
Canicola, Gran premio della giuria a Venezia 2001, che
mostrava gli strani comportamenti di alcuni abitanti dei pressi di
Vienna durante i giorni più caldi; o ancora Modelle
(1998), ritratto del grigio mondo delle protagoniste della moda;
altrettanto importanti sono Jesus, tu sai (2003) e
Import Export (2007).
Paradise: Faith è di certo una provocazione per il Vaticano, ma non
possiamo affermare che sia stato fatto appositamente per questo
dato lo stile del regista. Seidl è abile nel disporre le luci e fa
in modo che la fotografia esprima tutta l’amara realtà, senza
trucchi, che cozza contro il mondo di finzione che si aspetta dai
film.
Lo scandalo di Paradise: Faith
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