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Burlesque: recensione del film con Nicole Kidman

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Burlesque: recensione del film con Nicole Kidman

Arriva a cinema distribuito da Sony Pictures Releasing Italia Burlesque, il nuovo musical diretto da Steve Antin con Kristen Bell, Cher, Stanley Tucci, Eric Dane, Cam Gigandet, Alan Cumming, Julianne Hough, Peter Gallagher, David Walton, Wendy Benson-Landes, Stephen Lee, Katerina Mikailenko

In Burlesque La giovane cameriera Ali (diminutivo di Alice) decisa e con una voce spettacolare sogna di cambiare vita, e si trasferisce dall’Iowa a Los Angeles, dove per caso e per determinazione entra a far parte del corpo di ballo del Burlesque Lounge, un teatro che offre spettacoli di varietà molto apprezzati dal pubblico pagante. Qui fa amicizia con la proprietaria Tess, con il bel barista Jack e con il costumista, Sean. Tra piccole invidie e grandi amicizia Ali riuscirà a raggiungere il successo ed a trovare l’amore.

Questo è Burlesque, per il quale poche righe bastano a tratteggiare per sommi capi una delle trame più banali degli ultimi tempi che vede protagoniste tante belle donne ma davvero poca sostanza. Ma scendiamo nel dettaglio: la giovane protagonista è interpretata da Christina Aguilera, la nota cantante che con questo film debutta al cinema. Christina non lascia spazio all’immaginazione, se da un lato si vede benissimo che non è un’attrice, prova ne è la mediocre interpretazione, dall’altro si conferma grande performer, catalizzando l’attenzione su di sé con la sua presenza scenica e le sue grandi doti canore (com’è possibile che quel corpicino contenga una voce del genere?).

A far da mentore alla giovane ragazzina campagnola una più che mai pallida Cher che sprezzante del tempo che passa, si presenta sempre in ottima forma fisica, peccato che le sue belle espressioni facciali che le valsero l’Oscar per Stregata dalla Luna siano sparite molti interventi chirurgici orsono! Fortuna che la sua profonda e particolare voce è (più o meno) rimasta la stessa, come ci testimonia il brano You Haven’t Seen the Last of Me, vincitore del Golden Globe e cantato splendidamente in una scena che sembra un tributo all’attrice/cantante, forse necessario per renderla un po’ più partecipe di un film che ruota assolutamente intorno alla bella Christina.

Se il mondo delle paillettes e delle belle donne ha sempre il suo fascino, per Burlesque si fa un’eccezione: la quasi totale assenza di spunti narrativi rende il film molto noioso e sicuramente più di uno spettatore noterà le molte somiglianze con altre trame, dal piccolo e divertente Le ragazze del Coyote Ugly, al più noto e maestoso Moulin Rouge, con il quale ha in comune il numero di Diamonds are a Girl’s Best Friends. Non pensiamo certo di scomodare la memoria della divina Marilyn, ma anche il confronto con la ‘poco meno divina’ Nicole Kidman è perso in partenza! Ma tra il vecchio (Cher) e il nuovo (Aguilera) ecco spuntare nella trama anche il semi-nuovo (o semi-vecchio che dir si voglia) e quindi ecco il personaggio di Nikki, interpretato da Kristen Bell, stella del Burlesque Lounge soppiantata dalla più brava e diligente Ali. L’idea di un personaggio che introducesse un elemento di conflitto nella linearità della vicenda è sicuramente buona, ma sviluppato in maniera pessima questo spunto si affloscia su se stesso, risultando solo un altro dei tanti elementi che nel film non funzionano.

Per quanto riguarda i maschietti del film invece qualche parola va sicuramente spesa per Stanley Tucci, che si trova ad interpretare un ruolo fotocopia di quello del Nigel de Il Diavolo Veste Prada, ma senza Meryl Streep al suo fianco. Come al solito impeccabile! E poi ci sono i belli che si contendono le grazie della protagonista: il giovane e squattrinato Jack (l’ex vampiro Cam Gigandet), cameriere con ambizioni da musicista che si innamora perdutamente di Ali; e Marcus (Eric Dane, Dr. Bollore di Grey’s Anatomy), il cliente abituale, ricchissimo uomo d’affari che vuole comprare il locale e circuire la protagonista. In pratica le versioni mal fatte di Christian e il Duca, co-protagonisti di Moulin Rouge!

Resta poco altro da dire su un film che sebbene molto pubblicizzato resta una brutta delusione. Una regia timida, una sceneggiatura debolissima e degli interpreti che guidati diversamente avrebbero potuto fare sicuramente meglio. Bocciato il regista e sceneggiatore Steve Antin, alla sua prima prova cinematografica, promosso con la sufficienza Christophe Beck compositore della colonna sonora del film, buono il lavoro di scenografia e costumi. Molto bello invece il numero di chiusura, sulla note di Burlesque cantata dalla Aguilera, che lascia una bella impressione ma non riesce a sopperire ai precedenti 115 minuti. Peccato, fallire quando a disposizione si hanno paillettes e belle donne è davvero difficile!

Morto John Barry, autore colonna sonora James Bond

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E’ morto John Barry, compositore famoso per le colonne sonore dei film di James Bond, ma non solo.Barry aveva all’attivo quattro premi Oscar – nel 1966 per “Nata libera”, nel 1968 per “Il leone d’inverno”, nel 1985 per “La mia Africa” e nel 1990 per “Balla coi lupi” – ed è deceduto ieri per un infarto a 77 anni, secondo quanto scrive la Bbc.

Il suo primo arrangiamento del theme di James Bond come spalla di Monty Norman in “Agente 007 – Licenza di uccidere”, lo portò a comporre le colonne sonore per 11 film della serie tra il 1962 e il 1987, tra cui “Goldfinger” nel 1964 (per cui scrisse la canzone cantata da Shirley Bassey, campione di vendite in tutto il mondo). Con il film successivo “Agente 007 – Dalla Russia con amore”, Barry ebbe la completa responsabilità delle musiche componendo in appoggio al James Bond Theme di Norman il tema d’azione “007” utilizzato poi in altri episodi.

Per “Agente 007 – Thunderball: Operazione tuono” ricorse alla voce di Tom Jones, mentre per il dolce tema di “Agente 007 – Si vive solo due volte” usò quella di Nancy Sinatra. Con l’uscita dalla serie di Sean Connery e l’arrivo dell’australiano George Lazenby per “Agente 007 – Al servizio segreto di Sua Maestà” Barry reinventò il James Bond Theme. All’anagrafe John Barry Prendergast, era nato nel 1933 a York e trovò la sua prima notorietà come leader del “John Barry Seven”. Nel 1971 scrisse il tema della famosa serie tv “The Persuaders” (“Attenti a quei due”) con Roger Moore e Tony Curtis. Nel 1981 vinse anche un simpatico Razzie Awards, per la peggiore canzone scritta, assegnato a “The Man in the Mask” del film “The Legend of the Lone Ranger”.

Morto John Barry, autore colonna sonora James Bond

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E’ morto John Barry, compositore famoso per le colonne sonore dei film di James Bond, ma non solo.

Barry aveva all’attivo quattro premi Oscar – nel 1966 per “Nata libera”, nel 1968 per “Il leone d’inverno”, nel 1985 per “La mia Africa” e nel 1990 per “Balla coi lupi” – ed è deceduto ieri per un infarto a 77 anni, secondo quanto scrive la Bbc.

Il suo primo arrangiamento del theme di James Bond come spalla di Monty Norman in “Agente 007 – Licenza di uccidere”, lo portò a comporre le colonne sonore per 11 film della serie tra il 1962 e il 1987, tra cui “Goldfinger” nel 1964 (per cui scrisse la canzone cantata da Shirley Bassey, campione di vendite in tutto il mondo). Con il film successivo “Agente 007 – Dalla Russia con amore”, Barry ebbe la completa responsabilità delle musiche componendo in appoggio al James Bond Theme di Norman il tema d’azione “007” utilizzato poi in altri episodi.

Per “Agente 007 – Thunderball: Operazione tuono” ricorse alla voce di Tom Jones, mentre per il dolce tema di “Agente 007 – Si vive solo due volte” usò quella di Nancy Sinatra. Con l’uscita dalla serie di Sean Connery e l’arrivo dell’australiano George Lazenby per “Agente 007 – Al servizio segreto di Sua Maestà” Barry reinventò il James Bond Theme. All’anagrafe John Barry Prendergast, era nato nel 1933 a York e trovò la sua prima notorietà come leader del “John Barry Seven”. Nel 1971 scrisse il tema della famosa serie tv “The Persuaders” (“Attenti a quei due”) con Roger Moore e Tony Curtis. Nel 1981 vinse anche un simpatico Razzie Awards, per la peggiore canzone scritta, assegnato a “The Man in the Mask” del film “The Legend of the Lone Ranger”.

Ecco i vincitori del Sundance Film Festival 2011

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Ecco i vincitori del Sundance Film Festival 2011

Sundance

Sono stati proclamati i vincitori dell’ultima edizione del Festival ideato da Robert Redford, il Sundance Film Festival. Il riconoscimento più importante dell’intero Festival: Il Gran Premio della Giuria, è stato consegnato a Like Crazy, film che racconta una storia d’amore nata al college tra uno studente americano e una studentessa inglese.

Kurtzman e Orci producono Il gioco di Ender!

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Alex Kurtzman e Roberto Orci sceneggiatori di successo per film come Star Trek, Transformes, produrranno l’adattamento del romanzo di fantascienza Il gioco di Ender. Alla regia dovrebbe essere confermato Gavin Hood (Wolverine, Il suo nome è Tsotsi) che sta ultimando una nuova versione dello script.

Kurtzman e Orci lo aiuteranno con la loro casa di produzione indipendente Odd Lot Entertainment. A rivelarlo è stato lo stesso Orci in un post su Twitter:

Il gioco di Ender! Noi (K/O), la Oddlot e Gavin Hood stiamo portando questo fantastico script in città. A qualcuno interessa??

Il romanzo, uscito nel 1985 e vincitore di numerosi premi, è stato inizialmente adattato dal suo stesso autore Orson Scott Card, che si sta interessando da vicino delle sorti del film.

In un futuro in cui l’umanità è a mala pena sopravvissuta a due successive invasioni da parte degli alieni Scorpioni, il romanzo segue la storia dei bambini più brillanti del mondo, incluso l’eccezionale Ender Wiggin, che vengono portati nella Scuola di Guerra in età precocissima: l’intenzione è quella di addestrare i migliori comandanti in vista dell’imminente Terza Invasione.

Fonte. Twitter,badtaste

Henry Cavill è Superman!

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Henry Cavill è Superman!

Henry Cavill che ha partecipato alla sfortunata serie The Tudors interpreterà Clark Kent nel reboot di Superman, diretto da Zack Snyder e targato WB. La Major insieme alla Legendary Pictures, hanno annunciato il casting dell’attore, che sarà sugli schermi a novembre nel ruolo di Teseo in Immortals. Cavill era già stato opzionato da Zack Snyder per il suo Superman Returns prima che il ruolo venisse affidato a Brandon Ruth.

Zack Snyder ha commentato così l’annuncio del casting di Cavill:   Nel pantheon dei supereroi, Superman è il personaggio più riconosciuto e riverito di tutti i tempi, e io sono onorato di far parte del suo ritorno sul grande schermo. Mi unisco alla Warner Bros., alla Legendary Pictures e ai produttori nel dire quanto siamo eccitati del casting di Henry. E’ la scelta perfetta per indossare il mantello e lo scudo con la S.

Fonte: JustJared

Oscar 2011: primi spot per i conduttori!

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La ABC sta avviando la campagna promozionale per la cerimonia degli 83esimi Academy Awards, sono online due divertenti spot con James Franco e Anne Hataway che provano lo show!

Beyond: recensione del film di Pernilla August

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Beyond: recensione del film di Pernilla August

Pernilla August dirige Beyond, uno struggente dramma interiore, la lotta di una donna contro un passato che si era solo illusa di aver dimenticato.

In Beyond una giovane donna che vive felice insieme alla propria bellissima famiglia, una telefonata che improvvisamente la riporta di fronte ad un angoscioso passato, un passato che si era solo illusa di aver sepolto nella memoria. Un film che parla di una lotta, la lotta di Leena contro i ricordi di un’infanzia terribile, una lotta contro le proprie radici,   la fuga da ciò che si credeva ormai dimenticato. Svezia, oggi. Una giovane donna, Leena (Noomi Rapace), vive in armonia e serenità con l’amatissimo marito Johan (Ola Rapace) e le due piccole e bellissime figlie; una famiglia unita, una famiglia felice.

Una mattina, nel giorno di Santa Lucia, la serenità di questa famiglia viene interrotta bruscamente da una telefonata, dall’altra parte del telofono Leena riconosce la voce roca e malferma della madre (Outi Maenpaa), una madre che non vede e non sente ormai da molti anni. Leena istintivamente riattacca ma quando il telefono torna a squillare ed il marito la obbliga a rispondere nuovamente, non udirà più la voce della madre ma quella di un’infermiera che le annuncia il desiderio della donna, ormai molto malata, di vedere la figlia per un’ultima volta.

Beyond è l’opera prima di Pernilla August

Improvvisamente riaffiorano dalla memoria immagini, emozioni e ricordi che Leena si era illusa di aver sepolto per sempre, reminiscenze di una vita passata, quell’infanzia traumatizzante al fianco di genitori alcoolizzati e violenti che si era quasi convinta appartenessero non più a lei, ma ad un’altra persona. Nel viaggio verso l’ospedale, nell’incontro con la vecchia madre gravemente malata e riaprendo la porta del piccolo appartamento teatro della sua tormentata fanciullezza, la protagonista è continuamente pervasa da ricordi e immagini, flash back che permettono allo spettatore di conoscere le terribili esperienze della piccola Leena (Tehilla Blad). Gradualmente e con angoscia sempre crescente abbiamo così modo di capire cosa induce Leena a chiudersi anche nei confronti dell’amato marito; i ricordi del padre Kimmo (Ville Virtanen), emigrante finlandese mai adattatosi alla moderna Svezia, alcoolizzato e disturbato mentalmente; la madre, vittima delle violenze del marito ma a sua volta debole e incline al bere; e sopratutto lo struggente ricordo del fratellino minore, Sakari, debole ed indifesa vittima di tale squallore da cui la giovane Leena cerca disperatamente di proteggerlo.

Beyond è l’opera prima di Pernilla August, famosa attrice svedese scoperta da Ingmar Bergman per cui ha recitato prima a teatro e poi per il cinema con ” Fanny e Alexander”; una carriera proseguita in modo brillante e con diversi riconoscimenti anche internazionali ( miglior interprete femminile al festival di Cannes nel 1992 con il film ” Con le migliori intenzioni” di Billy August ). Il film in questione, Beyond, che vede il suo esordio alla regia, narra una storia tratta dal best-seller “Svinalangorna” dell’autrice svedese-finlandese Susanna Alakoski.

“Quando ho iniziato a lavorare a questo film” dichiara la regista, “ho pensato che il tema sarebbe stato: crescere in una famiglia violenta”, una storia sulle difficoltà e, aggiunge la August, “su quanto sia terribilmente difficile essere poveri, venire da un altro paese, non parlarne la lingua”.

Procedendo con la stesura della sceneggiatura però, la regista svedese si convince che  “sarebbe stato più interessante” afferma lei stessa, “combinare la storia dell’infanzia di Leena con la storia della sua vita da adulta e raccontare cosa voglia dire mentire a se stessi e alle persone che ci circondano”. E’ in questa sua ultima riflessione che risiede il segreto, l’anima, di questo bellissimo film dalla coinvolgente e struggente intensità. Beyond è la storia di una donna e della sua battaglia per la felicità, una felicità intesa come una vita tranquilla accanto ad un marito amorevole e due bellissime figlie. Questa battaglia si disputa contro il proprio passato, un passato che Leena si illude di aver sepolto, rigettato dalla propria mente, lasciatosi definitivamente alle spalle. Ma quando questo passato si ripresenta nella pace del suo presente, tutto quel muro interiore crolla come un castello di carta e le immagini, le angoscie di quegli anni terribili riaffiorano spietate e intatte. “Ho capito che Svinalangorna” afferma sempre la August, ” era un libro sul vivere dentro e insieme alla menzogna”, ed così che la protagonista, Leena, interpretata dalla stupefacente Noomi Rapace, rimane arroccata per quasi tutto il film nei suoi silenzi, nella tremenda desolazione interiore che la induce ad una totale chiusura anche e sopratutto verso le persone più care, più amate.

Il dolore di Leena è solo di Leena, è troppo intimo, un dolore rigettato per anni di duro lavoro interiore tanto da crederlo non più suo, non reale; un viaggio dentro i ricordi che non concede aiuti esterni, un viaggio esclusivamente personale. Eppure tra quei ricordi non c’è solo violenza e squallore, non c’è spazio solo per le violente litigate tra i genitori, il padre abbandonato nel salotto agonizzante tra i suoi rifiuti o la madre ubriaca che non si cura del debole figliolo in attesa di un pranzo decente. Tra quei ricordi ci sono anche i pochi momenti felici, gli scostanti gesti di tenerezza del padre, i consigli della madre ed i suoi racconti su un adolescenza da provetta nuotatrice, i giochi con l’amato fratellino a cui cercava, da giovane donna più matura della sua età, di risparmiare le urla e le scenate dei genitori. Ed è proprio questo che Leena teme, la sua paura più grande è ammettere e realizzare che quanto lei possa sforzarsi quella era e rimarrà sempre la sua famiglia, le sue inestirpabili radici. Quando il suo rifiuto e questo timore raggiungono l’apice arriva a litigare furiosamente con il marito Johan, con il quale si abbandona agli stessi isterismi della madre tanti anni prima in quella stessa casa; a porre fine a quell’esplosione di ira ci penserà proprio sua madre, la cui morte è annunciata da una telefonata improvvisa.

Ecco quello che non ti aspetti: dopo aver mostrato, per tutto il corso del film, prima indifferenza e poi odio e rabbia verso la madre morente, Leena, alla notizia della sua morte, scoppia in un pianto disperato e inconsolabile non riuscendo a dire altro che “la mia mamma…il mio papà…”. Nonostante tutto erano loro i suoi genitori, erano loro la sua famiglia, bella o brutta che potesse essere quella era. Non c’è scelta, non c’è possibilità di accettare o meno, Leena ritrova quel sentimento filiale, la tenerezza verso persone che a loro modo l’hanno amata e che a in qualche modo sono stai la “sua mamma” ed il “suo papà”. Un film dalla potentissima carica emotiva e dall’intensità drammatica notevole; una schiera di interpreti eccellenti su cui spicca per bravura e passione recitativa Noomi Rapace, unica tra loro conosciuta al grande pubblico come la Lisbbeth Salander nella Trilogia Millenium tratta dai romanzi di Stieg Larsson.

Con il personaggio di Leena, Noomi Rapace riesce con sorprendente bravura ad alternare le stesse espressioni dure e severe della Lisbeth di “Uomini che odiano le donne” con la tenerezza di una madre amorevole e le sequenze finali dove Leena esplode in tutta quella disperazione rimasta così a lungo trattenuta. Oltre al bravo Ola Rapace, marito nella realtà di Noomi e attore e musicista alquanto amato in patria, sono da segnalare le degnissime interpretazioni di Outi Maenpaa e di Ville Virtanen, attore, scrittore e sceneggiatore finlandese. Senza il minimo dubbio una considerazione particolare va concessa alla giovanissima Tehilla Blad, Leena da giovane, la quale affronta un ruolo di tale difficoltà in un film tanto impegnativo con ammirevole maturità ed indubbia personalità. Sesta di otto fratelli, tutti impegnati nel mondo dello spettacolo, siamo quasi certi che di questa piccola grande attrice sentiremo, in futuro, ancora parlare.

Femmine contro Maschi: recensione del film di Fausto Brizzi

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Femmine contro Maschi: recensione del film di Fausto Brizzi

Arriva al cinema Femmine contro Maschi, contraltare di rito a Maschi contro Femmine uscito lo scorso ottobre, sempre per la regia di Fausto Brizzi e sempre incentrato sulle relazioni di coppia, più o meno verosimili e più o meno apprezzabili sullo schermo.

Se Femmine contro Maschi ha sicuramente il buono ed onesto proposito di far ridere, purtroppo l’intenzione resta tale senza un vero e proprio slancio di comicità che possa aiutare lo spettatore a godersi il film. Dei tanti attori che compongono il cast forse solo Emilio Solfrizzi riesce a strappare qualche sorriso, soprattutto nei suoi pseudo-razzisti discorsi iniziali e nella sua messa in scena di difetti e manie così comuni nell’italiano medio da far pensare allo spettatore: “Sembra mio zio!” e simili. Il resto del cast, purtroppo, è sacrificato sull’altare della sceneggiatura, che a detta del regista è l’elemento fondamentale per un buon film, ma che a ben vedere il prodotto finale, non sembra poi così sicuro che il nostro Fausto tenga presente questa dichiarazione!

Femmine contro Maschi, il film

Forse mai così sacrificati, Claudio Bisio, Ficarra & Picone, Luciana Littizzetto e tutti gli altri offrono interpretazioni mediocri: il primo troppo intento a fare se stesso su un testo che forse non gli suggeriva altro, la coppia di comici messa alla prova su un banco che davvero non gli appartiene, essendo la dimensione televisiva molto più consona ai loro modi. La strizzata d’occhio alla coppia Totò e Peppino, mentre scrivono la lettera d’amore per il ragazzino non eguaglia certo l’altro omaggio che i comici napoletano ebbero da Benigni e Troisi! Ed infine Luciana Littizzetto che tanto diverte con la sua tagliente e spietata ironia, ma che così poco bene sta al cinema, anche lei in un ruolo e una sceneggiatura che assolutamente non si adattano al suo personaggio.

E che dire di Serena Autieri, Nancy Brilli e Francesca Inaudi? La prima sembra poco più che una comparsa così come la più giovane e meno brava Inaudi, per quanto riguarda la Brilli forse ha troppo sacrificato la sua espressività facciale in nome dell’eterna (o quasi) giovinezza per sembrare ormai un’attrice a tutti gli effetti! Purtroppo questa volta Fausto Brizzi fa un buco nell’acqua, né forma né sostanza accorrono in soccorso ad un film che invece come formula produttiva (due film girati back to back) ha dell’innovativo, almeno per quello che riguarda il nostro lato dell’oceano (Atlantico).

Valeria Marini continua a produrre!

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Valeria_mariniIniziano in questi giorni a Barcellona le riprese del film 11/11/11 prodotto da Capacity Pictures, Canónigo Films e la Stars Pictures di Valeria Marini per la regia di Darren Lynn Bousman, uno dei più importanti registi del genere horror (Saw II, Saw III, Saw IV).

Brizzi presenta Femmine contro Maschi

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Maschi contro Femmine è uscito qualche mese fa, ed ora anche Femmine contro Maschi, il suo completamento (parlare di sequel sarebbe sbagliato) è stato presentato alla stampa. Il cast al completo, con un Brizzi in forma smagliante ha presieduto l’incontro. Come sempre più spesso accade la conferenza si è risolta in un’allegra chiacchierata tra la stampa e questa famiglia allargata che ha realizzato il film.

Joe Manganiello sempre più Superman?

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Joe Manganiello sempre più Superman?

A quanto pare Joe Manganiello è sempre più lanciato per il ruolo da protagonista nel nuovo Superman di Zack Snyder. Ora arriva anche Il Los Angeles Times a dare sostegno ai rumors che nei giorni scorsi si erano susseguiti.Si apprende che il protagonista di True Blood è definitivamente in lizza per il nuovo Superman”. Questa tesi è stata avvallata da Hero Complex, blog del Times che alcuni giorni fa aveva twittato:

Il lupo mannaro di True Blood Joe Manganiello è il frontrunner per interpretare Superman? Questo è il rumour del giorno a Hollywood.

The Envelope invece sostiene: Al Bake Off dell’Academy della settimana scorsa, un evento legato al mondo degli effetti visivi cinematografici, in molti (specialmente chi fa parte del team al lavoro sul nuovo Superman) parlavano del fatto che Manganiello continua a essere citato nelle conversazioni legate al nuovo volto che avrà l’eroe del franchise.

Manganiello stesso, ultimamente ha dichiarato  più volte ai media: Sarei onorato. Adoro Zack Snyder e Christopher Nolan.

Du tutto questo susseguirsi di voci una verità è certa. Visto l’imminente inizio delle riprese, previste per l’inizio della prossima estate, certamente il casting per il ruolo principale inizia ad intensificarsi e sicuramente a breve, massimo qualche mese sapremo chi sarà il nuovo Clark Kent.

Superman, scritto da David S. Goyer e diretto da Zack Snyder, uscirà a natale 2012.

Fonte:badtaste

Hugh Jackman sarà il Coniglio Pasquale?

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Secondo Variety lo sceneggiatore David Lindsay-Abaire sta lavorando all’adattamento cinematografico di una serie di libri per bambini scritti da William Joyce dal titolo The Guardians of Childhood.

Il film in progetto che si intitolerà probabilmente Rise of the Guardians, sarà prodotto dalla DreamWorks Animation e racconterà le storie di un gruppo di ‘eroi’ per bambini che uniscono le forze per impedire ad uno spirito maligno chiamato Pitch di conquistare il mondo. Numerosi sono i nomi degli attori in lizza, tra questi Hugh Jackman per la parte di Bunnymund (il coniglietto pasquale), Alec Baldwin come Nord (Babbo Natale), Chris Pine nei panni di Jack Frost e Isla Fisher come Tooth (la fatina dei denti). Ovviamente stiamo parlando di doppiatori, poichè il progetto è un film d’animazione, e tra questi ci potrebbe essere anche Jude Law che sarà la voce del cattivo Pitch, un personaggio simile all’Uomo Nero.

Joyce sarà co-dirigerà il film accanto a Peter Ramsey, mentre in veste di produttori esecutivi ci saranno Guillermo del Toro e Michael Siegel.

Fonte: Imdb

Schwarzy confessa: “Mia madre credeva che fossi gay”

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Schwarzy confessa: “Mia madre credeva che fossi gay”

Giornaletti con le foto di body-builder dal fisico oliato e poster di uomini palestrati affissi alle pareti avevano destato i sospetti della madre

Chi lo avrebbe mai detto. Il simbolo della mascolinità per eccellenza negli anni ’80-’90, creduto un gay dalla madre quando era adolescente. Parliamo di Arnold Schwarzenegger, che da poco ha concluso (con scarso successo) il suo mandato come Governatore della California.

A destare i sospetti della madre sono stati i tanti giornaletti attraverso cui Schwarzy ammirava omaccioni muscolosi dal fisico oliato; dei quali possedeva anche molti poster che aveva affisso fieramente sulle pareti della sua camera. Normali passioni di un adolescente, che di lì a poco avrebbe cominciato a frequentare assiduamente la palestra, trasformando il suo fisico in un invidiabile corpo statuario. Lo stesso che ha dato la sagoma a personaggi quali Konan il barbaro o Terminator.

La madre di Schwarzy non si è limitata alle preoccupazioni, ma lo ha portato anche da un medico. Quest’ultimo però le ha scherzosamente risposto: “non si preoccupi signora, tanti hanno i poster dei Beatles nella propria stanza, ma non per questo sono gay. Eppure quelli sì che sono uomini”.

Il monello, il film culto di Charlie Chaplin

Il monello, il film culto di Charlie Chaplin

Il monello è il film culto del 1921 di Charlie Chaplin con protagonisti lo stesso Charlie Chaplin con Jackie Coogan, Edna Purviance.

Una lacrima e un sorriso. Questo è il cinema di Charlie Chaplin. E questo film del 1921 ne è la massima riprova. Chaplin comincia ad andare oltre i cortometraggi divertenti; comincia a proporre film dalla media durata o veri lungometraggi (il presente dura 83’) che fanno riflettere su tematiche sociali.

Il monello, la trama

Il monelloIn una Londra divisa tra ricchi e poveri, una giovane madre sola dalla disperazione abbandona il suo neonato, e vive nel rimorso anche quando arriverà per lei il successo e diventerà ricca. Un povero vetraio trova il fagotto abbandonato e decide, nonostante il proprio stato di povertà, di allevarlo.

Quando poi il neonato diventa un po’ più grande, si fa aiutare dal piccolo monello facendogli rompere i vetri delle case che egli poi ripara, guadagnandosi un minimo per vivere. Dopo una rissa con un altro monello, il bimbo si sente male e chiamato il medico, quest’ultimo decide di chiamare l’orfanotrofio per far vivere il piccolo in condizioni più consone. Il vetraio però riesce a riprenderselo, ma la legge ha la meglio. Non fino in fondo però, e al povero ma ricco di amore, alla donna disperata e al piccolo orfanello, il destino sorriderà…

Il monello richiese complessivamente diciotto mesi di lavoro, dalla prima scena girata alla prima proiezione, un periodo non particolarmente felice per la vita privata di Charlie: poco prima dell’inizio della lavorazione perse il primo figlio avuto dalla prima moglie (Mildred Harris), Norman Spencer, nato con gravi deformazioni e sopravvissuto solo tre giorni. Il matrimonio non fu mai felice, fallì nel corso della lavorazione del film; l’opera stessa rischiò di finire sotto sequestro unitamente ai beni di Charlie nella causa di divorzio intentatogli dalla moglie: Charlie, previdente, consegnò in custodia una copia dei negativi al fratello Sidney, terminò il montaggio della pellicola spostandosi in incognito (per quanto la sua popolarità lo consentisse) in diverse località, tra alberghi e studi tecnici.

Il monelloSecondo alcuni fu proprio la perdita del figlio ad ispirargli il soggetto. L’incontro tra Chaplin e Jackie Coogan fu un colpo di fulmine, nacque prima un’amicizia speciale tra i due, solo in seguito pensò di scritturarlo nella sua compagnia, e quando la lavorazione del film iniziò Jackie fu perfetto: Chaplin, non potendo interpretare lui il ruolo, così come desiderava per tutti i ruoli dei suoi film, lo trovò spontaneo, naturale e perfettamente plasmabile alle sue indicazioni. Probabilmente, l’intesa tra i due, fu dovuta anche alla peculiarità della personalità di Chaplin capace di vedere gli aspetti della vita attraverso gli occhi di un bambino. Un film toccante, con una tenera interpretazione del piccolo Jackie Coogan. Un attore che però non ha fatto molta strada da allora, essendo anche immischiato in una vicenda giudiziaria per sfruttamento dei suoi diritti da parte dei genitori. Grazie alla sua vicenda, la California emise “The Child Actors Bill”, meglio conosciuto come il “Coogan Act”, nel quale venivano tutelati i diritti dei minori impegnati nel cinema.

Il monello

Oltre al Il monello, nel 1930-31 Coogan interpretò i popolari personaggi di Mark Twain: Tom Sawyer e Huckleberry Finn. Poi una serie di film minori, tornando alla popolarità indovinate come? Interpretando il turpe Zio Fester nella famosissima serie tv “La famiglia Addams” del 1964 (trasmessa anche in Italia).

Charlie Chaplin inizia a trattare struggenti tematiche sociali con “Charlot emigrante” del 1918, in cui mette in scena la scandalosa «quarantena» cui venivano sottoposti gli immigranti a Ellis Island prima di sbarcare a New York. Seguiranno “Vita da cani” e “Charlot soldato”: col primo pone sotto i riflettori la vita dei senzatetto, perseguitati dalla legge disuguale e accanita verso i poveri. Col secondo ironizza sulla guerra, nella fattispecie l’intervento americano in Europa durante la Prima guerra mondiale. Un tema che riprenderà con un capolavoro del 1940  “Il grande dittatore”, dove sbeffeggerà Hitler e il suo folle progetto di sterminare gli ebrei; ma lancerà anche uno struggente messaggio finale di speranza ai popoli in guerra. I dittatori i sovrani sono ridicolizzati anche nel film “Un Re a New York” del 1957.

La filmografia di Chaplin ha prevalentemente preso di mira i potenti, ironizzando su di loro fino a ridicolizzarli. In tal modo tratterà anche il capitalismo, in modo lapalissiano nel film “Monsieur Verdoux”, che ha come protagonista un bancario (dal quale prende il nome il film) che con l’arrivo della crisi finanziaria del 1930 divenne disoccupato. Per mantenere il tenore di vita della propria famiglia che ormai vede molto poco, ma soprattutto, per un acquisito sadismo ed egoismo innescato in lui da una società post crisi sempre più egoista ed arrivista, nonché violenta dati i regimi dittatoriali che si diffondevano nel mondo, Verdoux da tre anni si da alla truffa sposando donne ricche per poi ucciderle e derubarle. Chaplin voleva dimostrare come la società capitalista ed egoista potesse ridurre gli uomini, renderli avidi e alienati. Per queste sue posizioni, fu mal visto dall’America e dall’Inghilterra. Siamo negli anni ‘50, in piena Guerra Fredda, ed in pieno maccartismo. Chaplin decise di stabilizzarsi in Svizzera con la famiglia dove morì nel 1978.

Il Grinta: recensione del film con Jeff Bridges

Il Grinta: recensione del film con Jeff Bridges

Il Grinta dei Coen è certamente uno dei film più attesi di questo inizio di nuovo anno come del resto gran parte dei loro film da Fratello dove sei? in poi. E tornano in grande spolvero dopo la parentesi un po’ sottotono di A serious Man. Tratto dal romanzo di Charles Portis, da cui fu tratto anche l’omonimo classico del cinema western che nel lontano 1969 fruttò l’unico Oscar della sua carriera all’icona hollywoodiana John Wayne, il film è un’avventurosa storia di vendetta e coraggio impregnata del loro schietto umorismo e da un capacità narrativa coraggiosa, supportata da un intreccio classico di genere che impreziosisce il tutto rendendolo un film di raffinato gusto.

La storia racconta le vicende della quattordicenne Mattie Ross  (Hailee Steinfeld) che ha perso di recente il padre ucciso vigliaccamente da un certo Tom Chaney (Josh Brolin), uno sbandato col vizio del gioco e dell’alcool che dopo avergli sparato a bruciapelo fugge per unirsi ad una banda di rapinatori di treni. Spinta dalla sete di vendetta la piccola Mattie si rivolge ad un vecchio sceriffo federale di nome Marshall Rooster Cogburn (Jeff Bridges), che oltre ad avere una passione smodata per la bottiglia ha anche un pessimo carattere, ma in quanto ad acciuffare criminali sa il fatto suo. I due accompagnati da un terzo personaggio, un Texas Ranger chiamato LaBoeuf (Matt Damon), anch’egli in cerca di Chaney per un omicidio commesso in Texas, daranno la caccia al fuorilegge per le strade dell’America di Frontiera.

Il Grinta, il western secondo i Fratelli Coen

Uno dei punti forti è senza dubbio una messa in scena di grande levatura che ha il pregio di facilitare il processo immersivo e accompagna con algida spinta le vicende narrate, impreziosita ancora di più dalla stupenda fotografia di Roger Deckins, ormai avvezzo a casa Coen e che ci ha abituato a splendidi colori nella sua straordinaria carriera. Sono degne di nota anche le notevoli interpretazioni di tutto il cast a partire dalla piccola Hailee Steinfeld, coraggiosa e naturale, per passare dal Jeff Bridge e il sempre verde Matt Damon. Una nota di merito va anche a Barry Pepper che riesce sempre ad essere strepitoso nonostante i ruoli da comprimario.

Il Grinta

Dal canto loro i Coen non sono da meno. La loro regia è sobria ed attenta, meticolosa ed equilibrata, accorta al susseguirsi delle vicende dando sempre un impronta leggera e visibile, facilitati anche da una buona sceneggiatura che è dosata al punto giusto, arricchita da un umorismo che non invade mai ma rimane sempre in un perfetto equilibrio. Il tutto su uno sfondo classico di un genere, quello western, che tanto splendore ha dato alla storia del cinema e che, ahimè, è un po’ dimenticato oggi giorno, anche se recentemente ci ha regalato bei film come l’Appaloosa di Ed Harris.

In conclusione i Fratelli Coen sono capaci di regalarci splendidi film quando decidono di abbandonare un atteggiamento un po’ presuntuoso e pretenzioso nei confronti del cinema e del pubblico che finora in alcuni loro film li ha accompagnati. Il grande cinema che è in loro si mostra proprio in questi momenti, celato da un loro apparente capriccio.

Toy Story 3 La Grande Fuga recensione

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Toy Story 3 La Grande Fuga recensione

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Andy è ormai cresciuto e Woody, Buzz e gli altri giocattoli sono molto incerti riguardo al loro futuro: finiranno sul marciapiede (nella spazzatura) o in soffitta? Sicuramente non potranno seguire il loro padrone al college! Comincia così la terza avventura dei giocattoli più famosi del grande schermo, che si troveranno a dover combattere contro dei bambini dell’asilo SunnySide, dove finiranno per sbaglio, ed a sventare gli oscuri piani di Lotso, un orsacchiotto peloso e rosa che profuma di fragole, ma che ha un cuore nero…

Dragon Trainer: recensione del film di Chris Sanders e Dean DeBlois

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La recensione del film d’animazione Dragon Trainer, diciassettesimo film della DreamWorks Animation.

«Questa è Berk. È dodici giorni a nord di disperazione e pochi gradi a sud di morire di freddo, si trova esattamente sul meridiano della miseria.
Il mio villaggio, in una parola: solido, ed è qui da sette generazioni, ma ogni singola costruzione è nuova.
Abbiamo la pesca, la caccia e un’incantevole vista del tramonto, l’unico problema sono le infestazioni: In molti posti hanno topi, zanzare, noi abbiamo… i draghi! »

Hiccup all’inizio del film

In un non meglio identificato estremo nord c’è un’isola, su quest’isola c’è un villaggio vichingo, in questo villaggio vichingo ci sono delle infestazioni … di draghi! Questa la premessa semplice ed esilarante di Dragon Trainer (How to Train Your Dragon) 17esimo film della DreamWorks Animation, fondata da Steven-prezzemolino-Spielberg, e seconda opera in 3D dopo Mostri contro Alieni. 

Tratto da una serie di libri per bambini (“Come addestrare un drago” di Cressida Cowell) Dragon Trainer riesce con semplicità e spirito a raccontare una storia di crescita, di rispetto del diverso, di rapporto conflittuale tra padre e figlio e dell’importanza di restare sempre fedeli a se stessi e alle proprie inclinazioni. Troppe cose per un film d’animazione? Non credo, perché questa volta la DreamWorks ha fatto tombola. Il giovane Hiccup (“Vi pare brutto il nome? Ce ne sono di peggiori al villaggio!”) è un adolescente che per molti versi ricorda un suo predecessore forse più famoso, quel mingherlino e smidollato Semola, protagonista de La Spada nella Roccia e destinato a diventare Re Artù; anche lui, come Semola prima, imparerà che è quello che c’è dentro che conta, non tutti i muscoli che si vedono dal di fuori. Lo spettatore – adulto o bambino che sia – può benissimo affezionarsi ai personaggi, anche ai comprimari che sono tutti caratterizzati molto attentamente, a partire dal piccolo esemplare di Terribile Terrore che insegnano al protagonista che ‘i draghi bruciano dal di dentro’ fino all’amico fabbro e istruttore Skaracchio, particolarmente attento alla sua … igiene intima! Ogni elemento ha il suo valore e la sua importanza, dal rapporto trai due gemelli coetanei di Hiccup, ai diversi esemplari di drago.

E proprio a questo mitologico rettile il film rende giustizia, reinventandolo in forme e colori differenti, rendendolo protagonista del film e lasciando affezionare lo spettatore anche alla bestia e non solo all’uomo. In particolare il piccolo Sdentato, l’esemplare di Furia Buia che Hiccup addestra, risulta un disegno particolarmente riuscito a partire dagli occhi felini e dai comportamenti canini: un mix inedito ma vincente. Nel film varie sono le similitudini tra i draghi e i gatti soprattutto, che si notano soprattutto quando Hiccup addomestica Sdentato ed adotta le tecniche apprese nell’arena: i draghi infatti adorano essere accarezzati sulla testa e sotto il collo, quando vengono accarezzati emettono versi simili alle fusa, seguono oggetti che si muovono ed infine concedono parte del proprio cibo a coloro che vengono considerati padroni. Ma non c’è solo la Furia Buia, molte sono le specie di drago che vengono realizzate e mostrate nel film, ognuna con caratteristiche specifiche oltre a quelle comuni appena elencate. Ad esempio il Gronkio è uno  dei draghi più forti, ha una testa enorme e un corpo minuscolo. È noto per essere capace di dormire mentre vola. Per sconfiggerlo basta bagnargli la testa mentre dorme; poi c’è l’Incubo Orrendo che ha coda e collo molto lunghi, è uno dei più feroci e temuti draghi del mondo.

La sua strategia d’attacco è quella di darsi fuoco, abilità che lo rende un avversario affrontabile solo dai vichinghi più esperti come Stoick (il padre di Hiccup). L’Orripilante Bizippo invece è uno dei draghi meno comuni che si possano incontrare al mondo. Ha due teste completamente indipendenti, una produce scintille e l’altra gas; per sconfiggerlo basta bagnare la testa che fa scintille. Le ali del Bizippo non sono sufficientemente grandi per mantenerlo in volo per lungo tempo, così questi preferisce l’attacco sulla terraferma. Il Terribile Terrore è il più piccolo tra tutti i draghi. Il Terribile Terrore ha un corpo da serpente e due piccole ali. I Terribili Terrori combattono spesso tra di loro come bambini e hanno una grande potenza e precisione di fuoco. L’Uncinato Mortale è uno dei draghi più belli del mondo, ha solitamente un comportamento aggressivo ed ha un temperamento molto suscettibile. Facile da sconfiggere grazie al punto cieco posto davanti a lui, possiede il fuoco più caldo di tutti i draghi, capace di fondere all’istante l’acciaio o di carbonizzare un vichingo. Come se ciò non bastasse sulla coda possiede spuntoni retrattili che possono essere lanciati come proiettili contro l’avversario. Infine c’è Morte Rossa. È il più mostruoso e gigantesco di tutti i draghi, enorme, con una grossa mazza chiodata sulla coda e sei orribili occhi, il suo unico scopo è nutrirsi del cibo rubato e procreare altri draghi. Per questo motivo si può definire “la regina” e gli altri draghi gli “operai”. Chi non adempie al compito di nutrirla viene a sua volta mangiato.

Ma nonostante questa nutrita e variegata fauna fantastica il film ha forti ancoraggi con il reale, poiché ripresi in maniera un po’ (e inevitabilmente) didascalica sono intrecciate alla trama le problematiche adolescenziali dell’accettarsi e dell’accettare ciò che è diverso da noi, ma soprattutto importante è la dinamica padre single/figlio ribelle, che nel film viene affrontata con chiarezza, ma con irriverenza e tanto spirito comico. Esemplare è la scena di passaggio di consegna tra generazioni, nel momento in cui il padre Stoick consegna al figlio l’elmo che ha fatto realizzare apposta per lui, c’è un connubio perfetto tra solennità e umorismo.

Il 3D è uno spettacolo per gli occhi e aumenta la magnificenza della visione soprattutto nelle sequenze di volo che per diversi elementi paesaggistici o forse semplicemente per memoria collettiva ricordano i paesaggi del pianeta Pandora inventato da James Cameron. Sembra che ormai la tecnica della realizzazione di film in computer grafica non sia più un problema e quindi i realizzatori (registi e sceneggiatori) possano dedicare più attenzione alla storia e alla scrittura. La regia è firmata dai due ‘profughi’ della Disney Chris Sanders e Dean DeBlois, ideatori e co-registi di Lilo & Stitch, film al quale Dragon Trainer deve qualcosa soprattutto in termini di dinamiche tra ‘animale e padrone’; mentre la sceneggiatura è affidata al trio William Davies, Dean DeBlois  e Chris Sanders. In questo caso, se la storia è classica nel suo sviluppo di premessa, svolgimento, conflitto e (semi)lieto fine, la scrittura e i dialoghi in particolare condiscono di sano e pungente umorismo tutto il film, rendendolo divertente e commovente, una vera delizia che riempie il cuore e gli occhi.

Kristen Stewart sarà Biancaneve?

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Kristen Stewart sarà Biancaneve?

La brava e bella Kristen Stewart, idolo delle teenagers grazie al suo ruolo di Bella nella saga di Twilight, è in trattative per interpretare il ruolo principale nel prossimo film di Rupert Sanders, che sarà nient’altro che una nuova versione di Biancaneve e i sette nani intitolata Snow White and the Huntsman, almeno stando a quanto dice Deadline.

Sono in circolo delle voci che vorrebbero anche Viggo Mortensen nel progetto, nel ruolo del cacciatore ovviamente! Anche Riley Keough, ex compagna di set di Kristen in Runaways, è stata inserita nella short list delle pretendenti al ruolo lo scorso mese, mentre da un po’ si sa che la splendida Charlize Theron interpreterà la regina cattiva.

Fonte: JustJared

Psycho: recensione del film di Alfred Hitchcock

Psycho: recensione del film di Alfred Hitchcock

Psycho è il film culto del 1060 diretto da Alfred Hitchcock e con protagonisti nel cast Anthony Perkins, Janet Leigh, Vera Miles, John Gavin, Martin Blasam.

 

Alfred Hitchcock è senza dubbio il Re dei film gialli. Molti di questi sfociano nel genere thriller, lasciando lo spettatore in balia dell’inquietudine e della suspance. Aiutato in ciò da una pellicola in bianco e nero che dà ai suoi lungometraggi un maggiore alone di mistero.

PsychoTra i suoi film, Psycho è forse il più conosciuto. Benché sia uscito nel 1960, turbando milioni di americani e venendo perfino censurato per diversi anni in vari Paesi, questo film è tutt’oggi insuperato. Le tecnologie moderne non potranno mai colmare quell’aura di mistero che con pochi trucchi il regista inglese sapeva dare ai suoi film.

Un’impiegata di una società immobiliare, Marion Crane, sogna un futuro migliore con il suo compagno, Sam, e così fugge con 40 mila dollari di un cliente anziché depositarli in cassaforte. Si dirige con l’auto verso il suo compagno, venendo anche pedinata da un’inquietante poliziotto che ha dei sospetti su di lei. Dato il forte temporale in corso, decide di passare la notte in un Motel. Viene accolta da uno strano receptionist, che pare non andare d’accordo con la madre.

Psycho è un film thriller del 1960 diretto da Alfred Hitchcock, tratto da un romanzo di Robert Bloch del 1959. Candidato a quattro Oscar, nel 1992 è stato scelto per la preservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti. Il film venne girato negli Universal Studios di Hollywood dalla fine di novembre del 1959 fino al 1 febbraio del 1960. Non si sa ancora con certezza perché, nel titolo italiano, la ‘h’ sia scomparsa, diventando Psyco. Il film fu una miniera d’oro per la Universal: girato con un budget di 800.000 dollari, incassò 40 milioni. Per le riprese Hitchcock si avvalse della troupe della serie tv Alfred Hitchcock Presenta per risparmiare tempo e denaro. Pochi, malgrado il successo commerciale, i riconoscimenti ottenuti dal lungometraggio: 1 Golden Globe 1961: miglior attrice non protagonista (Janet Leigh) e 4 nominations ai Premi Oscar 1961.

altAnche in Psycho, non può mancare il solito brevissimo cameo del regista: con in testa un cappello texano, fa la sua apparizione sul marciapiede davanti alla società dove lavora la protagonista Marion. La scena del film passata alla storia è senza dubbio quella della doccia; la quale, si racconta, spaventò milioni di spettatori, che non volevano più compiere quell’atto elementare timorosi che qualcuno arrivasse con un coltello dietro le loro spalle. Pare che il film sia proprio in bianco e nero per ovviare alla scena del sangue, ed evitare censure.

Il liquido che scorre nella doccia è cioccolato fuso. Inizialmente Hitchcock voleva che la scena non fosse accompagnata da commento musicale, ma Bernard Herrmann (autore della colonna sonora anche di Taxi Driver) gli fece cambiare subito idea dopo avergli fatto ascoltare una sua composizione. Fortunatamente se ne convinse. Furono apportate molte modifiche alla scena in cui Marion Crane appare già morta sul bordo della vasca da bagno col viso sul pavimento, perché durante le anteprime, quindi a pellicola quasi ultimata, la moglie di Hitchcock, Alma Reville, fu l’unica ad accorgersi che si poteva vedere l’attrice Janet Leigh respirare. Per girare i 45 secondi della scena della doccia, su uno storyboard di Saul Bass, occorsero sette giorni di lavorazione, 72 posizioni della macchina da presa ed una controfigura per Janet Leigh. L’accoltellamento dura 22 secondi, per un totale di 35 inquadrature. In nessuna delle numerose scene montate per l’omicidio nella doccia si può vedere il coltello affondare nel corpo di Marion; è il montaggio serrato che fa supporre allo spettatore quello che non si vede.

Altre ancora sono le curiosità. Durante le riprese dell’arrivo di Marion Crane al Motel Bates, in cui la sceneggiatura aveva previsto un forte temporale (simulato), Hitchcock si accorse che sullo sfondo si intravedeva la Luna. Alcuni degli attrezzisti dovettero coprirla con delle pertiche e dei drappi neri seguendone lo spostamento nel cielo. Ancora, Hitchcock decise di strutturare il film facendo uccidere la protagonista Marion a un terzo dall’inizio, cosa che non capitava normalmente nel cinema classico, ma che rese l’assassinio della donna ancora più sorprendente e inaspettato. È per questo motivo che il regista insistette inoltre per vietare l’ingresso in sala al pubblico e ai critici dopo l’inizio del film, per concentrare l’attenzione dello spettatore sull’importanza del denaro sottratto e per rendere più forte la scena dell’assassinio, affinché costituisse una sorpresa assoluta.

Qualche aneddoto riguarda anche Casa Bates: l’inquietante abitazione posta su un colle e dalla quale si ode la voce stridula della mamma di Norman, compare in un episodio de La Signora in Giallo, con un omicidio simile a quello del film. Nell’episodio della terza stagione del telefilm “Supercar Un gorilla a Los Angeles” sono presenti molti riferimenti al film, tra cui la stessa casa Bates.

Il personaggio psicopatico di Norman Bates è ispirato alla figura di Ed Gein che, nel periodo tra il 1947 e il 1957, uccise due persone nella zona di La Crosse e Plainfield (Wisconsin), creando decorazioni casalinghe con i resti delle vittime. La sua figura viene ripresa anche in altri tre film: ne Il silenzio degli innocenti dove è rappresentato dal personaggio di Jame Gumb (detto Buffalo Bill e interpretato da Ted Levine), in Deranged, rappresentato dal personaggio Ezra Cobb (detto Macellaio di Woodside e interpretato da Robert Blossom) e in Non aprite quella porta (1974) dove è rappresentato dal personaggio Leatherface, interpretato da Gunnar Hansen. In Psycho, Norman Bates è un appassionato impagliatore di uccelli. Alcuni di questi fanno subito pensare ai minacciosi volatili del film Gli uccelli, sempre di Hitchcock. Poiché Gli uccelli uscì tre anni dopo “Psycho“, Hitchcock potrebbe aver già avuto in mente di realizzare questo film. Nell’inquadratura finale, quella che ritrae Norman Bates sorridente, si può notare la sovrapposizione sul suo volto di una figura simile al teschio della madre: questo fu uno dei primi “messaggi subliminali” inseriti in un film per aumentare il senso di orrore trasmesso dal personaggio.

Psycho: recensione del film di Alfred Hitchcock

Il film ha avuto anche un remake nel 1998. Il regista Gus Van Sant Jr., nominato come miglior regista due volte all’Oscar, la prima per Will Hunting, Genio ribelle nel 1998 e la seconda per Milk nel 2009, ed ha vinto il premio per la miglior regia e la Palma d’oro al Festival di Cannes 2003 per Elephant, inoltre con Paranoid Park ha vinto il Premio speciale per il 60º Festival di Cannes e per l’insieme dell’opera. Van Sant ha seguito minuziosamente il film originale, attenendosi totalmente ad esso. Non si è fatto mancare neppure il cameo, posizionandosi nello stesso posto di Hitchcock.

Le differenze rispetto all’originale comunque sono diverse, sebbene trattasi di particolari: innanzitutto, l’azione è spostata dall’originale 1960 al contemporaneo 1998, forse per giustificare il passaggio dal bianco e nero al colore: un altro aggiustamento “cronologico” è la somma di denaro, che dai 40’000 dollari del primo film si decuplica diventa 400’000, decisamente più credibile nel 1998. Poi, la versione di Van Sant è decisamente più esplicita di quella di Hitchcock: nella scena iniziale, per esempio, Sam (Viggo Mortensen) è mostrato completamente nudo a letto con Marion, mentre nell’originale erano in piedi, lui indossava i pantaloni e veniva solo suggerito che i due avessero fatto sesso. Allo stesso modo, nella scena in cui Norman spia Marion mentre si spoglia, si capisce chiaramente che nel farlo si masturba, cosa che non avveniva nella prima versione. Ancora, nella scena dell’uccisione di Arbogast, Norma/Norman colpisce quest’ultimo non con una, bensì con numerose coltellate per farlo cadere dalle scale.

PsychoLa scena della scoperta del cadavere di Norma e della susseguente rissa è poi decisamente diversa: la cantina è molto più grande di quella della prima versione, nella quale non c’era nemmeno il laboratorio da impagliatore di Norman; l’apparizione di Norman travestito è più lenta e la rissa molto più lunga e violenta, mentre nel 1960 si vedeva solo Sam che toglieva a Norman parrucca e vestito. Infine, Van Sant ha inserito di sua iniziativa delle brevissime immagini subliminali, fotogrammi “nascosti” all’interno delle scene clou (i due omicidi e la scoperta del cadavere): quando Marion viene uccisa, si vedono immagini di una violenta tempesta, quando viene ucciso Arbogast si vede prima una donna nuda con una maschera sul volto e poi quella di un vitello nel mezzo di una strada, ed infine quando viene scoperta Norma Bates, si vedono delle colombe volare via.

Oltre ad un remake, il lungometraggio ha avuto anche 3 sequel:  nel 1982, nel 1986 e nel 1990. Il primo, Psycho II, diretto da Richard Franklin, ebbe anche un inaspettato successo ai botteghini. Nel sequel, lo psicopatico protagonista del primo film, Norman Bates, esce dall’istituto psichiatrico ritenuto ormai guarito 22 anni dopo. Ma tornato a casa, risente la voce della madre e riprende la sua vita turbata. Il suo personaggio è interpretato sempre da Anthony Perkins. Alcune curiosità legate al film: lo pseudonimo che Meg Tilly usa nel film, Mary Samuels, è ispirato a quello con cui Janet Leigh si registra in Psyco nel motel Bates. Il set originale della casa e del motel Bates è stato appositamente ricostruito per le riprese. Il regista Richard Franklin, emula il maestro Hitchcock anche in fatti di cameo: è l’uomo seduto al gioco da bar nella tavola calda dove lavora Norman. Infine, in una scena Norman vuole dare a Mary la stanza numero 1. È la stessa in cui è avvenuto l’orrendo omicidio nella doccia del primo film.

Meno successo ebbe il terzo episodio, Psycho III, che risente un po’ dell’inevitabile ripetitività. Diretto dallo stesso attore protagonista, Anthony Perkins, ancora nel ruolo di Norman, vede quest’ultimo riprendere il suo lavoro e innamorarsi di una ex-suora che contraccambia il suo amore. Ma esso sarà ostacolato di nuovo dall’istinto di sdoppiare la sua personalità e a tenere il cadavere impagliato della madre che lo induce ad uccidere i suoi clienti fino ad uscire nuovamente completamente di senno. Vediamo anche per questo episodio alcune curiosità. Anthony Perkins, che s’assunse come detto anche la responsabilità della regia, decise di tornare con questo terzo capitolo alle atmosfere dello Psyco originale, distaccandosi quindi dalle situazioni splatter del precedente Psycho II (1983). Perkins voleva che l’attore Jeff Fahey apparisse completamente nudo nella scena dell’incontro fra Duke e Red, ma lui rifiutò perché non si sentiva a suo agio davanti alla telecamera. Il regista e attore cercò di convincere la Universal a girare il film in bianco e nero, ma la casa di produzione si oppose. Nella parte della “madre” di Bates compare lo stuntman Kurt Paul, ma nella scena finale, quando Norman è vestito da donna, è Perkins a interpretarla. Kurt Paul ha interpretato Norman Bates nel film TV Il motel della paura.

Il quarto invece (Psycho IV) è un film per la televisione diretto da Mick Garris, incentrato sull’infanzia del pluriomicida Norman Bates. Quest’ultimo racconta la sua infanzia passata con la perfida madre, rivivendo ogni momento di quel tragico periodo ad una stazione radiofonica, e presto tornerà a minacciare ancora. Il film fu girato nel giugno del 1990 agli Universal Studios Florida a Orlando (Florida). La facciata del Bates Motel e la casa sono state ricreate nel parco a tema. Dopo le riprese, la facciata del Bates Motel fu utilizzata per un labirinto stregato durante la Halloween Horror Nights del 1993 intitolata “The Psycho Path Maze”. I set furono demoliti nel 2000 per la costruzione del campo giochi “Curious George Goes to Town”. Durante la prima trasmissione del film fu Janet Leigh, interprete del film originale, a presentarlo.

I Fantastici Viaggi di Gulliver: recensione del film con Jack Black

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I Fantastici Viaggi di Gulliver racconta la storia di Gulliver (appunto!) che lavora presso un importante giornale, ma si occupa “solo” della consegna posta. Segretamente innamorato di Darcy Silverman, responsabile della sezione viaggi (e di cos’altro si poteva occupare?), Gulliver si fingerà un grande appassionato di esplorazione per fare colpo sulla sua bella, ma si troverà coinvolto in un ‘piccolo’ incidente di percorso.

Comincia così il film che vede il comico Jack Black portare al cinema uno dei personaggi più amati della letteratura classica dell’800, il Gulliver di Jonathan Swift. Per quanto l’operazione sia chiaramente ed esclusivamente ludica, il risultato è purtroppo terribile, a tratti imbarazzante per un cast di attori che potrebbero esprimere ben altro e per una storia che ha sicuramente fascino e potenziale d’attrazione.

I Fantastici Viaggi di Gulliver, il film

Com’è ormai ovvio, non c’è niente che non vada nella verosimiglianza della messa in scena, anzi un grande pregio del film è proprio la messa in scena, e soprattutto i costumi della bella Principessa Maria, interpretata da Emily Blunt (ma come ci sarà finita la bella Emily in quel carrozzone?); il grande problema del film è la sceneggiatura sciatta che non rende giustizia all’originale, dal quale ovviamente si discosta per ovvi motivi di complessità narrativa che per questo tipo di film non interessava mettere in gioco.

Ma la più grande lacuna de I Fantastici Viaggi di Gulliver va ricercata nel montaggio, il film si presenta infatti letteralmente ‘tagliato con l’accetta’, infarcito di ellissi che non spiegano né raccontano in maniera adeguata i vari passaggi narrativi: siamo d’accordo che gli abitanti della gloriosa Lilliput siano costruttori formidabili, ma costruire dal nulla una splendida e gigantesca villa sul mare in più o meno 5 secondi di film appare decisamente un passaggio troppo veloce! Per non parlare poi della velocità con cui il nostro protagonista entra ed esce dal regno di Brogdignag, il paese dei giganti, con una facilità tale da chiedersi per quale motivo quel posto sia considerato irraggiungibile dai lillipuziani.

I Fantastici Viaggi di Gulliver film

Eppure il film poteva essere salvato, anche solo per un cast davvero interessante che non è stato sfruttato nel suo potenziale comico, a partire dal fantastico Billy Connolly nel ruolo di Re Teodoro e Chris O’Dowd che interpreta in maniera magnificamente imbecille il Generale Eduardo. E che dire di Jason Segel, l’Orazio innamorato? L’attore sconosciuto o quasi in Italia è uno dei volti emergenti nel nuovo cinema comico americano che dalla Tv (è il protagonista della geniale serie How I Met Your Mother) è passato al cinema ed è stato protagonista nella scorsa stagione di un film molto bello passato in sordina in Italia, I Love You, Man, con Paul Rubb.

I Fantastici Viaggi di Gulliver si risolve quindi in un maldestro tentativo di intrattenimento, il tutto aggravato da un montaggio pessimo e dall’aggiunta di un 3D che come sempre più spesso accade, risulta inutile e fastidioso, penalizzante per il portafogli e per la godibilità dello spettacolo.

Jack Black, l’erede di John Belushi

Jack Black, l’erede di John Belushi

Esilarante, selvaggio e spregiudicato: è Jack Black, l’erede di John Belushi. Protagonista assoluto del 2011 come interprete di un elenco impressionante di lungometraggi, Jack Black è il comico hollywoodiano del momento; il più ricercato, il più scritturato. Cerchiamo di capire cosa c’è dietro a questo scapestrato quarant’enne dal fascino animalesco che molti vedono come l’erede naturale del mitico “blues Brothers”.

Nato a Hermosa Beach il 28 agosto del 1969 da due ingegneri aereospaziali mostrerà da subito la sua natura eccentrica ed estroversa arrivando già all’età di 13 anni a partecipare ad uno spot per l’Activision Game, primo di una lunga serie. Dopo aver frequentato la Crossroads High School per le Arti e le Scienze si iscrive all’Università della California dove avrà la fortuna di fare l’incontro che cambierà la sua vita: quello con il già affermato attore e regista Tim Robbins. Seguendo i consigli e gli insegnamenti del collega e maestro, Black esordirà sul grande schermo proprio in un film diretto da Robbins, “Bob Roberts” del 1992. Il film parla di un uomo politico e della sua storia di vita: l’adolescenza in una comune hippie, il successo come cantante folk prima e come uomo d’affari poi, per concludersi con l’avvento in politica e le indagini di un tenace giornalista che intravede in Roberts un misterioso lato oscuro. Sempre sotto la regia di Tim Robbins, Jack Black otterrà piccole parti in altri due importanti film di successo: “Dead man walking” e “Cradle will rock”.

E’ proprio a metà degli anni novanta che Black insieme ad altri giovani attori comici americani quali Ben Stiller, i fratelli Luke e Owen Wilson oltre a Vince Vaughn, crea una sorta di gruppo comico non ufficiale ma notoriamente identificato con il nome di “Frat pack”. Nel 1996 ritroveremo Black interprete di due film ed uno proprio diretto da Stiller, “Il rompiscatole” mentre l’altro vedeva alla regia Tim Burton, “Mars Attack”.

Dopo una serie di interpretazioni minori e di scarso profilo, Jack Black comincia a imporsi seriamente alla ribalta con “Alta fedeltà” film del 2000 diretto da Stephen Frears e tratto dall’omonimo romanzo di Nick Hornby. La trama racconta la storia di Rob Gordon (John Cusack) proprietario del Championship Vinyl, un negozio di musica, in cui lavorano come “dipendenti” Barry e Dick (Jack Black e Todd Luoiso). I due più che lavorare sono avventori del negozio e trascorrono ore e ore con il protagonista stilando improbabili classifiche “top five” su qualsivoglia argomento. Bob pur tentando timidamente di licenziarli ne condivide una sfrenata passione musicale oltre che un sapere enciclopedico sull’argomento. Il film narra delle sfortune amorose di Bob ripercorrendo le varie storie passate e finite male e Bob che, interloquiendo spesso con la telecamera, cercherà di capirne i motivi.

Dell’anno successivo, 2001, è “Amore a prima svista” il primo vero film da protagonista di Jack Black. Diretto dai fratelli Farrely, il film narra la storia di Harold (Jack Black) il quale a prescindere dalla sua mancanza di avvenenza è abituato a considerare le donne come oggetti e collezzionando di conseguenza una conquista dopo l’altra. L’incontro casuale con il suo guru Tony Robbins gli cambierà la vita in quanto lo stesso santone sconvolto dalla visione di Hal verso il gentilsesso lo sottoporrà ad una seduta di ipnosi che lo porterà a vedere “solo” la bellezza interiore delle donne. E’ così che Harold si innamorerà di Rosemary (Gwyneth Palthrow) che lui vedrà come una bellissima e longilinea ragazza bionda quando in realtà è una giunonica presenza di 120 kg.

E’ proprio in questi anni in cui si apre ad una maggiore popolarità, che Jack Black inizia ad affiancare alla propria attività di attore quella di musicista professionista, essendo la musica la sua prima e forse più grande passione. Con Kyle Gass crea il gruppo rock “Tenacious D” che produrrà il primo album da studio nel 2001 con il titolo omonimo di “Tenacious D”. Anche Gass è un attore e la genesi del gruppo diverrà una serie tv trasmessa nel 1999 dalla HBO. Per realizzare il primo album collaborarono al progetto artisti musicali dal calibro internazionale come il bassista Steve Mc Donald, il chitarrista Warren Fitzgerald dei The Vandals, il tastierista Page Mc Connell dei Phish oltre che il cantante dei Foo Fighters ed ex batterista dei Nirvana Dave Grohl. La storia del gruppo è recentemente diventata un film sotto la regia di Liam Lynch e con la presenza degli stessi Black e Gass nel ruolo di loro stessi, il titolo “Tenacious D e il destino del rock” è del 2007. La musica è la grande protagonista anche di ” School of Rock” film del 2003 diretto da Richard Linklater che probabilmente segna la consacrazione a livello internazionale di Jack Black, mattatore indiscusso del film.

La trama sarebbe di per se banale e scontata: un giovane e scapestrato musicista rock ( Jack Black) viene cacciato dal suo gruppo e tramite un abile raggiro si presenta come insegnante di musica, al posto di un amico, in una delle scuole più conformiste dello stato. Black strabilierà gli attoniti studenti con metodi di insegnamento quantomeno originali e abbattendo la noia regnante, insegnerà l’amore per la musica e la forza di volontà da non abbandonare mai. A prescindere da un canovaccio come detto scontato, la bravura degli interpreti, una colonna sonora eccezionale ed un Jack Black mai visto rendono la commedia un classico pedagogico ormai diventato mito per i ragazzi più giovani. Jack Black nel film ha la possibilità di abbinare le sue due più grandi passioni: recitare e suonare, cinema e musica. Da qui un’interpretazione gagliarda, intensa, vera e di altissimo livello che, come detto, lo consacrano definitivamente.

Non può essere un caso che nel 2005 Peter Jackson lo voglia nel suo cast dell’attesissimo quanto costosissimo remake di “King Kong”; Black interpreta la parte di Carl Denham il torbido regista che convince Ann Derrow ( Naomi Watts ) ad unirsi alla sinistra spedizione della Venture, la nave che dovrebbe condurre su una presunta isola tropicale il cast di un nuovo film. In realtà Carl è in combutta con altri componenti della troupe per utilizzare il materiale del film per girare un documentario sulla sperduta e mitica isola di Skull Island. Sarà proprio su quest’isola che la comitiva finirà per fare il terribile incontro con la scimmia preistorica.

L'amore non va in vacanza castCon L’amore non va in vacanza“, film diretto nel 2006 da Nancy Meyers, Jack Black si avventura per la prima volta e con un sostanziale successo in una commedia romantica. Il film narra le storie incrociate di quattro trentenni: due giovani donne, Iris ( Kate Winslet ) e Amanda ( Cameron Diaz ) dopo rispettive delusioni amorose decidono di scambiarsi reciprocamente le proprie case per un breve periodo di vacanza.Così Iris sbarcherà nella lussuosa Los Angeles dove Amanda vive mentre quest’ultima si ritroverà nella tranquilla quanto noiosa provincia inglese.

Quasi in procinto di tornare immediatamente a casa, Amanda avrà invece modo di conoscere Graham ( Jude Law ) fratello maggiore di Iris con il quale scatterà immediatamente un’istintiva attrazzione non solo fisica. Iris dal canto suo conoscerà Miles ( Jack Black ) amico di Amanda e compositore musicale, che nonostante una relazione con un’attricetta di Hollywood capirà che è Iris la donna adatta a lui.

Per Black un ruolo diverso in un film diverso rispetto i suoi canoni precedenti e nonostante questo un’interpretazione convincente che soddisferà la critica. Una linea di continuità la si può facilmente trovare nelle caratteristiche del personaggio il quale è ancora una volta fortemente legato alla musica.

Nel 2007 l’incontro con uno dei registi più eccentrici e geniali del momento: Michel Gondry, che chiamerà Jack Black per il suo “Be kind Rewind. Gli acchiappafilms”. In questa divertente quanto riuscita commedia Black ha l’occasione di recitare con attori dallo spessore importante come Denny Glover, Mia Farrow e Sigourney Weaver oltre al bravo Mos Def che interpreta il suo amico Mike. La storia narra le vicende di un anziano proprietario di una vecchia videoteca, il signor Fletcher ( D. Glover ), il quale si rifiuta di aprire il proprio commercio al progresso dei moderni dvd, e continua così a commerciare e noleggiare solo vhs.

I proprietari dell’immobile e un nuovo negozio all’avanguardia tecnologica appena aperto nello stesso quartiere minaccieranno la sopravvivenza del “Be Kind Rewind” (il nome del negozio in questione ). Minaccia ancor più concreta quando Jerry ( Jack Black ) amico del commesso Mike smagnetizzerà tutte le cassette per essere a sua volta contaminato dalla vicina centrale elettrica, la fine degli affari per il sig. Fletcher sembra ormai certa.

La soluzione la troveranno proprio i due giovani ed eccentrici amici che reinterpreteranno uno ad uno tutti i film in vendita, riscuotendo un inaspettato quanto provvidenziale successo. Quando tutto semba sistemato però si presenteranno nuovi ostacoli e per i tre ci sarà da trovare nuove quanto improbabili idee. Con “Tropic Thunder” del 2008, Jack Black torna sul set insieme al vecchio amico Ben Stiller, regista e interprete di questa dissacrante commedia d’azione che si e ci diverte prendendo in giro lo starsystem hollywwodiano e i più celebrati film di guerra. Black si rituffa quindi nel genere a lui più congeniale ossia la commedia farsesca e demenziale dove può esaltare ed esprimere senza riserve la sua esuberante quanto spontanea comicità.

Come detto nell’incipit dell’articolo sarà però questo 2011 appena iniziato che vedrà Jack Black assoluto protagonista della scena cinematografica a testimonianza di quale livello di celebrità e richiamo abbia ormai raggiunto il non più giovanissimo attore californiano. Il prossimo 4 febbraio esordirà in Italia “I fantastici viaggi di Gulliver” film diretto nel 2010 da Rob Letterman e che vedrà Black impegnato ad interpretare la parte del protagonista di questo classico della letteratura e del cinema mondiale. Le vicende di Gulliver, che dopo un naufragio si troverà improvvisamente sperduto in un mondo di uomini minuscoli, sono in realtà fortemente rivisitate in chiave moderna ed in funzione di questo non poche sono le varianti rispetto la sceneggiatura originale. Anzichè essere ambientato nel XIX sec. il film è ambientato nei giorni nostri e Gulliver/Black non è un medico di bordo, come nella versione originale, bensì uno scrittore indipendente che si diverte a giocare a calciobalilla con i malcapitati lillipuzziani o a improvvisare improbabili lotte con robot giganti. Non può ovviamente mancare la musica ed il rock in particolare di cui il moderno Gulliver sarà ovviamente uno sfrenato ammiratore.

Sempre nel corso del 2011 incontreremo Jack Black nelle nostre sale cinematografiche con una simpatica commedia diretta da David Frankel, “The big year” in cui Black ha avuto modo di lavorare al fianco di un mostro della comicità made in Usa come Steve Martin oltre che di un suo vecchio amico, sin dai tempi dei “Frat pack”, Owen Wilson. A sette anni da “School of rock” le strade di Jack Black e Richard Linklater si incontrano nuovamente in una commedia “dark” che uscirà nelle sale nel corso di questo 2011. “Bernie” è una storia realmente accaduta e che il giornalista  Skip Hollandsworth raccontò sulle pagine del Texas Monthly nel 1998. Berhardt “Bernie” Tiede era un becchino che innamoratisi dell’ottantun’enne Marjiorie Nugent la uccise per poi nasconderne il cadavere nell’illusione che fosse ancora viva. Black interpreta proprio la parte del protagonista maschile mentre il ruolo dell’anziana vittima ha il celebre volto di Shirley Mc Lane.

Per concludere ricordiamo che Jack Black appare come interprete anche in “Rush: beyond the lighted stage” un film documentario diretto da Sam Dann prodotto in Canada nel 2010 ed in uscita prossimamente in Italia. Nel film di Dann si ripercorrono le tappe della seguitissima band musicale nel loro trentennale percorso artistico che partendo da un progressive rock è giunto all’attuale heavy rock. Il nostro Jack non poteva farsi scappare l’opportunità di partecipare ad un progetto simile dove cinema e musica si scindono sino a diventare cosa sola, proprio come Jack Black concepisce la vita stessa.

Rimandato ancora il primo ciak de Lo Hobbit

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Rimandato ancora il primo ciak de Lo Hobbit

Un’altra disavventura si aggiunge alla lunga lista di contrattempi e disagi che stanno trasformando la produzione dello Hobbit in una vera e propria Odissea.

Il regista e produttore Peter Jackson è stato infatti ricoverato per un’ulcera perforata, ma si rimetterà presto e non ci saranno conseguenze per la sua salute, come spiega il portavoce del regista:

Sir Peter Jackson è stato ricoverato all’Ospedale di Wellington mercoledì sera a causa di un dolore acuto allo stomaco. Successivamente è stato sottoposto a una operazione chirurgica per un’ulcera perforata. Sir Peter si sta ora rimettendo tranquillamente, e i dottori ritengono che guarirà completamente. L’operazione non avrà alcun impatto sul suo impegno nel dirigere Lo Hobbit, oltre a un piccolo rinvio dell’inizio delle riprese.

La settimana scorsa Jackson ha visitato la regione del Fiordland, dove ha selezionato le location dove girare Lo Hobbit. Il portavoce Matt Dravitzki ha confermato che anche la zona di Queenstown verrà utilizzata per le riprese, che dovevano iniziare ufficialmente il 14 febbraio ma che inizieranno presumibilmente un paio di settimane dopo.

Rimandato ancora il primo ciak de Lo Hobbit

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Un’altra disavventura si aggiunge alla lunga lista di contrattempi e disagi che stanno trasformando la produzione dello Hobbit in una vera e propria Odissea.

Peter JacksonIl regista e produttore Peter Jackson è stato infatti ricoverato per un’ulcera perforata, ma si rimetterà presto e non ci saranno conseguenze per la sua salute, come spiega il portavoce del regista:

Sir Peter Jackson è stato ricoverato all’Ospedale di Wellington mercoledì sera a causa di un dolore acuto allo stomaco. Successivamente è stato sottoposto a una operazione chirurgica per un’ulcera perforata. Sir Peter si sta ora rimettendo tranquillamente, e i dottori ritengono che guarirà completamente. L’operazione non avrà alcun impatto sul suo impegno nel dirigere Lo Hobbit, oltre a un piccolo rinvio dell’inizio delle riprese.

La settimana scorsa Jackson ha visitato la regione del Fiordland, dove ha selezionato le location dove girare Lo Hobbit. Il portavoce Matt Dravitzki ha confermato che anche la zona di Queenstown verrà utilizzata per le riprese, che dovevano iniziare ufficialmente il 14 febbraio ma che inizieranno presumibilmente un paio di settimane dopo.

Fonte: badtaste

E’ morta Maria Mercader

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E’ morta ieri a Roma l’attrice Maria Mercader, seconda moglie di Vittorio De Sica, madre di Christian e Manuel. Nata a Barcellona il 6 marzo 1917, aveva conosciuto Vittorio sul set di Un garibaldino al convento del 1942, allontanandosi poi pian piano dal grande schermo.

L’ultimo sua apparizione al cinema risale al 1992, quando Carlo Verdone la volle nel suo film Al lupo al lupo. Aveva 92 anni, bella, bionda, visino dolce, aveva conquistato il grande regista Premio Oscar di Ladri di Biciclette e Sciuscià, che all’epoca era già sposato. La coppia riuscì a coronare il sogno di salire all’altare solo 17 anni dopo, con un matrimonio in Messico nel 1959, che però non venne riconosciuto in Italia. Replicarono quindi nel ‘69 a Parigi.

Javier Bardem protagonista de La Torre Nera?

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Il progetto ambizioso di trasposizione televisiva-cinematograica della serie di racconti di Stephen King, La Torre Nera, va avanti, e si cerca ancora un protagonista.

Dopo il nome di Viggo Mortensen pare che ora il candidato più probabile a ricoprire il ruolo di Roland Deschain sia lo stesso Javier Bardem che sta attraversando un grande momento professionale (arrivata la terza nominations agli Oscar) e personale (l’attrice Penelope Cruz l’ha appena resa papà per la prima volta). Per la parte di Roland in passato erano stati fatti i nomi anche di Daniel Craig, Jon Hamm e Hugh Jackman. Il primo film della serie è stato adattato da Akiva Goldsman, storico collaboratore di Howard,  che si accuperà della regia e dovrebbe arrivare al cinema il 17 maggio del 2013.

Fonte: comingsoon

Nuovo film per Brian De Palma

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Doveva essere il thriller Toyes il nuovo film di Brian De Palma ma a quanto pare invece c’è stato un cambio di rotta. Infatti arriva la notizie che il regista ha preso l’impegno di girare un remake del francese Crime d’Amour, intitolato Passion.

Ultimo film di Alain Corneau visto lo scorso anno al Festival internazionale del Film di Roma, Crime d’Amour con Kristin Scott Thomas e Ludivine Sagnier, vedeva due dirigenti aziendali in accesa competizione tra di loro, finché una di loro commetteva un omicidio. Decisamente una scelta quanto meno bizzarra, visto che il film originale è molto brutto, nonostante buoni propositi. Che De Palma voglia puntare su quelli è dare più lustro ad una storia come quella?

L’azione si sposterò dalla Francia all’Inghilterra, e questa è la dichiarazione ufficiale di Brian De Palma in merito al progetto: “E’ dall’epoca di Vestito per uccidere che non ho la possibilità di combinare erotismo, suspense, mystery e omicidio in un’esperienza cinematograficamente ipnotica”. Le riprese, con finanziamenti europei, inizieranno il prossimo agosto in teatri di posa tedeschi, prima di spostarsi a Londra per gli esterni.

Fonte:comingsoon

Uscite al Cinema del 28 Gennaio 2011

Uscite al Cinema del 28 Gennaio 2011

Vento di primavera: nel 1942 la Germania nazista riesce ad occupare la Francia estendendo così il suo regime di terrore. Dopo aver obbligato gli ebrei ad indossare la Stella di David per essere riconosciuti, dopo averli espulsi dalle scuole e ad aver negato loro ogni possibilità lavorativa…

Hitler chiede al governo francese di consegnare alle SS 20.000 dei 25.000 ebrei residenti a Parigi. Questi devono essere trasportati inizialmente nei campi di raccolta in Francia e poi, una volta terminati i lavori di costruzione dei forni crematori, portati a morire nei lager. Il maresciallo Pétain aderisce alle richieste senza obiettare nulla. Tra tutte le famiglie ebree destinate a morire c’è quella del piccolo Joseph che vive a Montmartre. Anche loro finiscono nel velodromo Vel d’Hiv dove ha inizio il loro calvario!

Roselyne Bosch ci racconta la tragedia vissuta dai 13.000 ebrei che nella notte tra il 15 e il 16 luglio 1942 sono stati condotti alla morte da un regime, ma soprattutto da uomo, senza scrupoli e insensato. Tutto è raccontato attraverso il punto di vista di un bambino di dieci anni che vede la sua vita sconvolta senza motivo. Immagini forti con soldati sprezzanti e violenti, scene drammatiche che mostrano i maltrattamenti subiti dagli ebrei non solo uomini e donne ma anche bambini innocenti. (Al cinema dal 27/01/2011).
Yattaman – Il film: Ganchan e la sua ragazza Janet sono abili costruttori e riparatori di apparati elettrici…in realtà però sono dei veri e propri super eroi che, quando vestono i panni di Yattaman 1 e Yattaman 2, cercano di salvare il mondo ogni volta che questo è in pericolo. Un giorno ricevono la visita di Shoko che cerca il loro aiuto per ritrovare suo padre, il dottor Kaieda, scomparso durante le ricerche di un frammento della Pietra Dokrostone. Questa Pietra ha la capacità di conferire poteri eccezionali a chi la possiede e se finisse nelle mani sbagliate il mondo intero sarebbe in pericolo. Gli Yattaman iniziano così le ricerche ma vengono ostacolati dai loro acerrimi nemici, il trio Drombo con la bella e affascinante Miss Dronio come capo e i suoi due scagnozzi, Boyaki e Tonzura.
Takashi Miike trasporta sul grande schermo il famosissimo e amatissimo cartone animato nipponico Yattaman. Ambientazioni molto simili a quelle del cartone animato, caratteri e personaggi del tutto identici all’originale e anche molti personaggi secondari che forse alcuni non ricordano. Insomma un film per tutti, per i più piccoli e per tutti coloro che con questo anime ci sono cresciuti.
The Green Hornet: Britt Reid ha sempre vissuto nel lusso e senza uno scopo preciso di cosa fare della sua vita, quando però muore suo padre James, uno dei più grandi magnati dell’editoria, Britt eredita tutto il patrimonio di famiglia ed è costretto ad assumersi delle responsabilità. Ovviamente non né ha molta voglia e così, un po’ per noia e un po’ per provare nuove emozioni, decide di allearsi con Kato, un impiegato del padre che ha molta inventiva ed è eccezionale nelle arti marziali….Britt diventa così The Green Hornet, il Calabrone Verde, un super eroe che cerca di far rispettare la legge…infrangendola! Con l’aiuto di Kato, di una macchina indistruttibile la The Black Beauty e della sua segretaria Lenore, Britt da la caccia a tutti i criminali di Los Angeles…finché non si trova a dover affrontare il boss di tutti i criminali ossia Benjamin Chudnofsky che tempo prima aveva dato vita ad un complotto a cui prese parte anche il padre di Britt.
Ideato da George W. Trendle e Fran Striker per un  serial radiofonico statunitense nel 1936, The Green Hornet divenne un serial cinematografico e poi una serie televisiva. Ora con il regista Michel Gondry diviene un film in 3D. La trama è per grandi linee molto simile a quelle delle serie ma qui vediamo un eroe presentato in chiave ironica che non ha una vera propensione per la giustizia ma diventa eroe solo per fuggire dalla noia. Bravissimo Seth Rogen nel ruolo principale con la sua comicità ed anche Jay Chou nei panni dell’intelligente e atletico Kato.
Parto col folle: Peter Highman è un architetto sposato con Christine che sta per partorire il loro primogenito. Per stare accanto alla moglie durante il parto, Peter tenta di prendere il primo aereo che da Atlanta lo porta a Los Angeles…ma le cose non vanno come lui sperava! Sull’aereo incontra Ethan Tremblay, un aspirante attore che viaggia col suo cagnolino Sonny e le ceneri di suo padre. Per un malinteso Peter ed Ethan vengono cacciati dall’aereo e costretti a prendere altri mezzi per viaggiare. Peter non sa come fare, vuole assolutamente tornare dalla moglie ma i suoi bagagli con i documenti sono ormai in volo. E’ costretto così a viaggiare in macchina con Ethan….un viaggio che non porterà altro che guai!!
Todd Phillips dirige questo film on the road con la strana coppia Robert Downey Jr. e Zach Galifianakis. Un film divertente dove tra un disastro e l’altro c’è anche spazio per del sentimentalismo.
Il discorso del re: Bertie è il secondogenito di re Giorgio V, sin dall’infanzia soffre di una grave balbuzie che lo mette in imbarazzo nei vari ricevimenti a cui è costretto a partecipare. Quando re Giorgio V muore e suo fratello re Eduardo VII abdica essendo incapace di governare un paese, Bertie è costretto suo malgrado a diventare re prendendo il nome di Giorgio VI. Bertie però deve risolvere il suo problema così la moglie, Lady Lyon, decide di assumere  il logopedista Lionel Louge. Dapprima Bertie è molto scettico a causa dei modi un po’ strani e poco convenzionali del medico, poi però tra i due nasce una buona amicizia che porterà Bertie a risolvere il suo problema e a pronunciare il grande discorso che porterà la sua Patria a combattere contro la Germania nazista.
Tom Hooper dirige efficacemente questo film che non solo narra la vicenda personale di un re ma ricostruisce anche gli anni difficili che portarono alla Seconda Guerra Mondiale. In contrasto ci sono due personaggi: Hitler che ha usato la radio in maniera esemplare per diffondere la sua propaganda e Bertie che invece temeva la radio a causa della sua balbuzie, da un parte un uomo pieno di se dall’altra un uomo con complessi di inferiorità ma che nonostante tutto è riuscito a vincere le sue paure e a risolvere il suo problema. Ottima l’interpretazione di Colin Firth nei panni di Bertie e la ricostruzione storica fatta dal regista.
Febbre da fieno: Matteo vive a Roma, lavora in un negozio di modernariato, il Twinkled, ed è ancora innamorato della sua ex ragazza Giovanna che lo ha lasciato da ormai un anno per una donna. Il negozio sta attraversando una crisi a causa della cattiva gestione del proprietario ma quando arriva Camilla le cose inizino ad andare meglio. Camilla sin da subito cerca di far colpo su Matteo ma lui è talmente preso da Giovanna da non vedere ciò che ha davanti a sé. Nonostante tutto Camilla non demorde e fa di tutto pur di conquistarlo…
Laura Luchetti dirige Andrea Bosca, Diane Fleri e Giulia Michelini in questa commedia romantica che fa riflettere su un destino imprevedibile e sulla possibilità di dare una seconda chance a chi ci sta accanto.

127 Ore: recensione del film con James Franco

127 Ore: recensione del film con James Franco

127 ore è un film decisamente anomalo e non consueto nel panorama cinematografico. Altrettanto complesso per certi versi se si considera che ruota attorno alla vera storia di Aron Ralston, l’alpinista americano divenuto tristemente famoso per essere rimasto imprigionato da una frana nel corso di una scalata nello Utah, dove è rimasto isolato dal mondo per diversi giorni.

Nonostante un inizio che fa temere il peggio considerando un certo voyerismo da stile videoclip o spot pubblicitario con tanto movimento e poca sostanza, il film cambia decisamente registro non appena il personaggio entra nel vivo della natura dello Utah, diventa molto di più che semplice virtuosismo. La coppia Danny Boyle e James Franco si impegna molto in questa pellicola e i risultati sono dalla loro parte. Non bisogna certo gridare al capolavoro, né tanto meno esasperare con eufemismi esagerati la performance di Franco, però è anche grazie ad essa che il film riesce a condurre lo spettatore con una buona tensione: fresca e originale che a tratti emoziona e trascina, tanto da far confondere la percezione reale con l’illusione e i viaggi allucinatori che il protagonista compie. Attraverso questo delirio si riesce ad entrare affondo nella mente del protagonista e a capirne meglio le paure, le ossessioni, i sogni, i rammarichi di una vita vissuta sempre a limite e all’estremo. Inoltre, l’illusione diventa anche premonitrice, tanto da segnarlo in modo indelebile.

127 Ore è un film piuttosto godibile che permette il lusso di approfondimenti su vari livelli.

Le pecche in una pellicola come questa forse sono un limitato incipit, frutto di un caos registico che non è proprio dei migliori e un eccessivo e pretenzioso egocentrismo nei confronti del protagonista. Uno stile decisamente troppo patinato: da spot Gatorade. Un maggiore approfondimento di personaggi secondari lo avrebbe reso certamente più interessante ma forse avrebbe perso i connotati di anomalia. Tuttavia è da premiare il coraggio che Danny Boyle mette 127 Ore, cercando di osare in tutte le maniere possibili, talvolta riuscendo a costruire sequenze molto belle come ad esempio l’aumentare irrefrenabile del battito cardiaco connesso ad uno spropositato aumento di pressione ed ad un efficace gesto risolutore; e talvolta un po’ meno: come l’inspiegabile carrellata di prodotti liquidi in commercio frutto delle allucinazioni traumatiche.

In definitiva 127 Ore è un film piuttosto godibile che permette il lusso di approfondimenti su vari livelli che certamente lasciano ampio spazio a riflessioni esistenziali e che di certo farà piacere a molti spettatori. Che finalmente Boyle si sia lasciato dietro quella parentesi milionaria e sia tornato ad un registro decisamente più consono alle sue caratteristiche … alla 28 giorni dopo per intenderci … ?

Vento di Primavera: recensione del film con Jean Reno

Vento di Primavera: recensione del film con Jean Reno

La recensione del film Vento di primavera, ultimo film della regista francese Rose Bosche con Jean Reno e Mélanie Laurent. In Vento di Primavera ambientato a Parigi nell’estate del 1942, il governo collaborazionista di Vichy sostiene concretamente la Germania nella progressiva e inarrestabile discriminazione contro gli ebrei di nazionalità francese. Seguiamo le vicende (realmente accadute e rigorosamente documentate) di una famiglia ebraica del quartiere di Montmartre, con gli occhi dei bambini… “Diventeremo grandi?”

Questa agghiacciante domanda è pronunciata con spontaneità e ovvio timore da uno dei piccoli protagonisti di Vento di primavera (La Rafle), ultimo film della regista francese Rose Bosch, atto a mostrare uno degli episodi meno noti della Seconda Guerra Mondiale: lo sterminio di 13.000 ebrei francesi, donne, uomini, anziani e bambini, con la collaborazione fra Hitler e il generale Pétain, avvenuto tra luglio e agosto del 1942.

Tutto ha inizio quando gli ebrei francesi sono obbligati a portare la stella gialla, finché vengono progressivamente allontanati dai luoghi pubblici e privati del loro impiego. Ma il peggio dovrà ancora arrivare: la notte fra il 15 e il 16 luglio 1942 i militari francesi catturano 13.000 ebrei con una retata che non risparmia neppure i bambini. Questi, insieme alle loro famiglie, vengono condotti nel Vélodrome d’Hiver di Parigi, mentre le persone nubili sono smistate nel campo di Drancy, per poi essere deportate ad Auschwitz. In realtà anche le famiglie con bambini dovranno affrontare la stessa sorte, e i piccoli verranno privati dei loro genitori, in una deportazione “verso l’est” che non ha ritorno.

Vento di Primavera , il film

Vento di PrimaveraL’ottima regia opta per la rappresentazione di eventi narrati in parallelo: seguiamo innanzitutto la vicenda degli ebrei francesi, con gli occhi dell’undicenne Joseph Weismann e dei suoi amici, ma anche delle autorità francesi e di Hitler, mai come in questo film emblema della banalità del male. E’ agghiacciante vedere il dittatore atteggiarsi in tutti i suoi sbraiti militareschi e razziali alternati a istantanee di vita privata: un uomo vegetariano e che gioca con i bambini, ma che non ha rispetto per l’essere umano e non esita a sterminare i piccoli appartenenti a un’altra “razza”, optando per lo sterminio mediante i forni crematori giacché, ridotte in cenere, non è possibile conoscere il numero delle vittime, né identificare uomini, donne e bambini.

Qualche anno fa Il bambino con il pigiama a righe aveva mostrato gli orrori del secondo conflitto mondiale con gli occhi innocenti di un bambino, e Vento di primavera propone lo stesso espediente adottando il punto di vista di persone realmente esistite. Joseph è oggi uno dei pochi sopravvissuti alla strage degli ebrei francesi, tragico episodio che, grazie al film di Rose Bosch, vivrà per sempre nella memoria. In passato, altri film sull’Olocausto hanno immortalato i drammatici eventi con fotogrammi irripetibili: se in Schindler’s List rimane impressa, più di ogni altra immagine, la bimba dal cappottino rosso, Vento di primavera offre un’altra rappresentazione memorabile: la panoramica del Velodromo in cui sono ammassati migliaia di ebrei, che osserviamo con gli occhi stupefatti dell’altruista infermiera Annette Monod, interpretata da Mélanie Laurent. Quest’ultima, molto apprezzata in Bastardi senza gloria e Il concerto, rivela al grande pubblico le sue grandi doti di attrice drammatica, ma di certo la sua prova più commovente rimane il ruolo che qualche anno fa le ha regalato un César, in Je vais bien, ne t’en fais pas. Fra gli altri interpreti, emerge un inedito Jean Reno, che veste i panni di un magnanimo e coraggioso infermiere, e Gad Elmaleh e Raphaëlle Agogué, i genitori del piccolo Joseph.

Tra Chopin e Wagner, Edith Piaf e Debussy, la struggente colonna sonora anima un film commovente e appassionante, in cui l’unica nota di demerito va al titolo italiano: Vento di Primavera è in realtà “la retata”, e non c’è alcun riferimento né alla primavera né tantomeno a un vento di primavera. Non lasciatevi fuorviare, dunque. Di certo è d’obbligo invitarvi a scoprire un film storico che, oltre a ricordare in occasione della Giornata della Memoria, mira anche a sollecitare una riflessione sull’essere umano: il male e il potere hanno un volto mediocre, come suggerito dalla regista, e  proprio questo li rende più mostruosi.

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