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“Elementare Watson”. Le prime rappresentazioni in celluloide di Sherlock Holmes, nato dalla penna di Sir Arthur Conan Doyle, consideravano questa frase emblematica per descrivere l’investigatore privato eccentrico e geniale che ha come spalla e unico amico il Dottor John Watson.

 
 

Negli ultimi anni Guy Ritchie ha rimesso mano al materiale di Doyle e ha tirato fuori la sua versione di Sherlock Holmes (2009) affidando il personaggio a Robert Downey Jr. e ridandogli parte di quel volto action che c’è nei romanzo dell’autore ma che le trasposizioni precedenti avevano offuscato a beneficio di una figura compassata e imperturbabile fumatrice di pipa. Dopo il bis di Ritchie-Downey Jr., nel 2011 arriva anche l’inglese BBC che realizza un bellissimo prodotto seriale, Sherlock, scegliendo Benedict Cumberbatch per vestire i panni dell’investigatore. In questo caso il lavoro è ancora più filologico rispetto ai romanzi, nonostante l’ambientazione sia moderna.

A rilanciare quest’anno arriva la CBS americana che ricicla il personaggio e mette in scena Elementary (appunto), nelle intenzioni basato sullo stesso personaggio e in onda a partire dal 27 settembre prossimo. Ad interpretare Sherlock abbiamo l’attore inglese Jonny Lee Miller (Eli Stone), che strano caso ha di recente preso parte al Frankenstein teatrale diretto da Danny Boyle proprio accanto a Cumberbatch, e al suo fianco c’è sempre Watson, solo che questa volta si chiama Joan ed è interpretata da Lucy Liu. Un bel cambiamento! Ma i più aperti avrebbero potuto dare anche una possibilità a questo cambio di sesso del migliore e unico amico del protagonista, se non fosse stato per tutto il resto… ma andiamo con ordine.

Elementary è una serie, almeno a giudicare dal pilot, fatta bene, sceneggiata con criterio e realizzata con competenza; gli attori chiamati ad interpretare i protagonisti sono capacissimi di portare in vita personaggi vivi a tutto tondo e la relazione trai due protagonisti sembra strutturata in modo tale da potersi evolvere in qualunque senso, senza escludere nessuna ipotesi. Qual è allora il problema di questo prodotto? In cosa hanno sbagliato gli ideatori? Non si tratta della trasformazione di Watson in una lei, né tantomeno della scelta di ambientare la storia a New York invece che a Londra (!), ma di usare pretestuosamente i nomi di Holmes e Watson, senza nessun ancoraggio alla realtà dei due personaggi di carta e inchiostro. Elementary è banale, non dice nulla di nuovo, è anonima e il suo personaggio protagonista, interpretato dal pur ottimo Miller, è solo omonimo del nostro detective e ne usa il metodo. “Io non indovino, osservo e deduco” esattamente ciò che Holmes direbbe, ma nel momento in cui allo stesso Holmes si fa dire “Odio aver ragione” si casca nell’errore, auto-smascherandosi.

Il detective Holmes di Miller è un detective qualsiasi, con problemi di dipendenza da droga alle spalle e con un metodo di indagine efficace, ma non si tratta dello stesso uomo di Conan Doyle, non si tratta della sua stessa storia, non si tratta di quello. E dunque il punto è: se la serie ha di per sé un valore artistico discreto, e se i nomi dei personaggi e il titolo della serie stessa rimandano a qualcosa che nel racconto non viene assolutamente preso in considerazione, che necessità c’era di abusare di nomi e romanzi che sono già saturi per lo sfruttamento che se ne fa nell’ultimo periodo?

A questo punto non ci resta che capire se la CBS andrà avanti con il progetto, o se si metterà a lavoro per creare qualcosa che sia coerente e che abbia davvero ragione di esistere.

Si ringrazia Alessia Carmicino per il contributo dato alla stesura di questo articolo.

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