Spazio 1999 compie 40 anni

Spazio 1999

Nel corso degli anni ’50 e ’60 il genere fantascientifico, divenuto in breve tempo un vero e proprio fenomeno di cultura popolare, dopo aver letteralmente invaso le emittenti radiofoniche grazie ai primi programmi dedicati alle fantastiche e bizzarre storie spaziali ed in seguito anche il cinema con pellicole sempre più orientate verso i viaggi intergalattici e invasioni aliene, anche la neonata televisione incominciava a vedere i suoi piccoli e fievoli schermi riempiti di programmi dedicati esplicitamente a futuribili avventure ambientate in galassie sconosciute.

 

Mentre nel periodo pre-bellico molti, tra cui il grande Orson Welles, si divertivano spaventare migliaia di radioascoltatori con false cronache di invasioni extraterrestri, subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale gli schermi cinematografici di tutto il mondo videro trasportate per i immagini le paure di oscure visite da altri mondi grazie a pellicole del calibro di L’astronave atomica de dottor Quatermass (1955), La guerra dei mondi (1953) e L’invasione degli ultracorpi (1956), in perfetta sincronia con il dilagare della cultura fantascientifica all’interno delle riviste dedicate e dei fumetti. Fu soltanto a partire dai primi anni ’60 che l’interesse di tali racconti si spostò gradualmente verso l’aspetto tecnologico dell’esplorazione spaziale e della scoperta di nuovi orizzonti cosmici, grazie soprattutto alla sempre crescente competizione aerospaziale fra Stati Uniti e Unione Sovietica in seguito al lancio dello Sputnik nel 1957.

Solo un anno prima che l’uomo (americano) mettesse piede sul suolo lunare e coronasse il sogno del grande scrittore Jules Verne, nel 1968 Stanley Kubrick con 2001: Odissea nello spazio aveva definitivamente traghettato l’immaginario della fantascienza al di fuori del nostro pianeta, gettando le basi per nuovi orizzonti all’alba del nuovo decennio. Nel frattempo le emittenti televisive di tutto il mondo, già abituate a seguire in diretta gli ormai consueti lanci di razzi e sonde spaziali, riempivano i loro palinsesti con programmi dedicati, e furono soprattutto gli inglesi, già pionieri radiofonici del settore, a sfornare le prime vere chicche del genere di fantascienza televisiva, soprattutto grazie alla collaborazione della coppia di coniugi e produttori Gerry e Sylvia Anderson, autori di serie di successo fra cui Thunderbirds (1964-66), Captain Scarlet (1967-68), Joe 90 (1968-69) e il celeberrimo UFO (1969-70), la prima vera serie tv ad affermare con chiarezza l’estetica plastificata e multicromatica della fantascienza dei primi anni ’70.

Spazio 1999 tra fantascienza e dramma

Un volta conclusa fra alti e bassi la prima stagione di UFO, i due autori decisero di metterene in cantiere un possibile seguito, e perciò iniziarono a lavorare ad un progetto denominato provvisoriamente UFO 1999, ambientato su una stazione lunare alle soglie del nuovo millennio, progetto ambizioso e visionario che però venne subito abortito e finì ben presto per arenarsi definitivamente.

Passarono alcuni anni e nel 1973, tra mille difficoltà produttive e logistiche, i coniugi Anderson decisero di riprendere in mano la loro azzardata idea, e grazie ad una co-produzione fra la britannica ITC e l’italiana RAI venne realizzato l’episodio pilota (Separazione) di una nuova serie intitolata Spazio 1999, ambientata per l’appunto sulla base lunare Alpha1, istallazione scientifica di un avamposto umano col compito di organizzare una spedizione sullo sconosciuto pianeta Meta e di cui diviene subito capitano John Koening (Martin Landau) assieme alla collaborazione della dottoressa Helena Russell (Barbara Brain).

Dopo un improvviso e inspiegabile scoppio nella centrale di stoccaggio delle scorie nucleari della base e il conseguente aumento del campo magnetico del pianeta dovuto alle radiazioni, la luna si stacca dall’orbita terrestre ed inizia a vagare nello spazio, rendendo prigionieri tutti i tecnici e gli ufficiali presenti sulla superficie.

La scoperta di nuovi mondi in Spazio 1999

Spazio 1999 Inizia così l’odissea degli alphaniani alla scoperta di nuovi mondi ai limi estremi dello spazio e verso la scoperta di un nuovo pianeta su cui poter ricominciare a vivere. Passata quasi inosservata, la puntata pilota venne ritrasmessa nel Regno Unito il 4 settembre del 1975 (in Italia arrivò solo nel gennaio del 1976), e riscosse subito un grandissimo successo, soprattutto per le storie avvincenti e ricche di colpi di colpi di scena disseminate per le varie puntate e soprattutto grazie all’ottimo design (erede dell’estetica di UFO) e degli strabilianti effetti speciali, realizzati dal celebre team di Bryan Johnson che aveva già lavorato a 2001: Odissea dello spazio e sarà nuovamente presente in Alien (1979) e Star Wars: L’impero colpisce ancora (1980).

La serie colpì subito il pubblico anche per il suo visionario immaginario grafico e le bellissime scenografie ricche di tecnologie futuribili (tra cui computer, visori computerizzati e un pionieristico videotelefono), luci scintillanti e manopole, il tutto in perfetta sintonia con l’atmosfera al cellophane degli anni ’70. Malgrado si fosse attirata addosso le critiche di gran parte della comunità accademica del tempo e di alcuni scrittori di fantascienza del calibro di Isaac Asimov e Harlan Eleison che la tacciavano di scarsa plausibilità scientifica (soprattutto per il dir poco irrealistico effetto slow-motion delle camminate spaziali riprese a 48 fotogrammi al secondo), la prima stagione della serie, costituita da 24 episodi, ottenne un successo clamoroso, tanto da dare subito largo ad un’ampia entusiasta schiera di fans e ad un fiorente e redditizio merchandising, soprattutto legato alle action figures dei personaggi e dei modellini in scala dei veicoli spaziali (modellini per altro utilizzati già in maniera accurata per gli effetti speciali).

Come non ricordare infatti le fantastiche riproduzioni delle Aquile, le astronavi di trasporto galattico provviste di cannoni laser; gli Aphicat, i coloratissimi convogli a quattro ruote per le ricognizioni di terra, oppure la famosa astronave aliena dell’episodio “Fiocco azzurro su Alpha” del tutto simile al Discovery One di 2001, senza poi contare i numerosi giochi da tavolo Clementoni del 1976, i libri illustrati della AMZ e le figurine messe in commercio dalla Panini a distanza di anni.

Tutto ciò condito con le più fantasiose e pseudo-scientifiche teorie cosmiche, che andavano dall’antimateria fino ai buchi neri e al celebre campo di curvatura della serie Star Trek A causa dei numerosi problemi sorti fin da subito riguardo alla programmazione e la distribuzione internazionale, ad oggi non esiste una vera e propria cronologia ufficiale degli episodi (se si escludono “Separazione” e “Psycon” che aprono rispettivamente la prima e la seconda stagione), dunque si è soliti tenere come riferimento la data di produzione ed edizione delle singole puntate, anche se i fans più accaniti usano religiosamente la sequenza di trasmissione ufficiale del Regno Unito.

In Italia addirittura la genesi fu ancora più confusa: nel 1975 venne rilasciato nei cinema un lungometraggio che riuniva gli episodi “Separazione”, “Gli occhi di Tritone” e “Un altro tempo un altro luogo” musicate da Ennio Morricone, prima che l’anno successivo la prima stagione completa venisse rilasciata in concomitanza alla messa in commercio di quaderni scolastici con le immagini promozionali. La colonna sonora della sigla di apertura e chiusura della prima stagione venne composta da Barry Gray, già autore delle musiche Thunderbirds e UFO, mentre la seconda stagione venne affidata alla supervisone di Derek Wadsworth.

Spazio 1999, il cast

Pur mantenendo le sinfonie elettroniche e cariche di distorsioni al theremin dell’edizione originale, alcune variazioni musicali per l’edizione italiana vennero affidate nuovamente a Ennio Morricone, autore di alcune sconclusionate incursioni jazzistiche che non raccolsero il favore dei fans. La prima stagione ottenne un grande riscontro grazie soprattutto alla presenza di un cast di grande spessore e di provenienza muticulturale, tra cui spiccano in prima linea Martin Landau e Barbara Brain rispettivamente nei ruoli del capitano Koening e della dottoressa Russell, all’epoca sposati e già avvezzi a lavorare assieme grazie alla precedente esperienza nella serie cult spionistica Mission: Impossibile (1966-1973).

Accanto ad essi figurano anche Nick Tate nelle vesti del capitano Alan Carter, Barry Morse alias professor Bergman e l’ormai iconica e sensuale Catherine Shell che nella seconda stagione vestirà i panni dell’aliena Maya. Senza poi contare le numerose presenze straordinarie che vanno da attori del calibro di Christopher Lee, Joan Collins e Peter Cushing, fino alle occasionali presenze nostrane di Orso Maria Guerrini, Gianni Garko, Carla Romanelli e Giancarlo Prete. Addirittura in alcuni episodi della seconda sfortunata stagione è più volte presente una mostruosa maschera aliena interpretata dal gigantesco David Prowse, che sarebbe divenuto in seguito famosissimo nell’indossare il celebre e tenebroso costume di Dart Fener nella saga di Star Wars.

Dopo il grande successo ottenuto dalla prima stagione i produttori della serie misero subito in cantiere un ideale seguito, purtroppo funestato da alcuni eventi imprevisti che, uno dopo l’altro, decretarono uno sconvolgente calo qualitativo della seconda stagione. Dopo il divorzio professionale e coniugale degli Anderson, si scelse di coinvolgere l’estroso americano Fred Freiberger, già a suo malgrado conosciuto nell’ambiente come “killer delle serie tv” e responsabile del flop della terza stagione di Star Trek e dell’insuccesso di L’Uomo da sei milioni di dollari e The Wild Wild West. Mosso da una pura e semplice sete di profitto tutta americana e senza alcun interesse particolare nei confronti della resa qualitativa, Freiberger decise di far scomparire alcuni personaggi essenziali e molto amati (tra i quali Victor Bergman, David Kano e Paul Morrow), optò per una radicale riduzione del budget che costruisce a ridurre ed impoverire gli ambienti e le tecnologie, sino ad una scrittura sconclusionata e priva dell’originalità dell’edizione precedente.

Tutto ciò causò non solo lo sconcerto dei fas ma addirittura lo sdegno degli stessi attori e tecnici, i quali ebbero più volte modo di lamentarsi dell’aria di dilettantismo e di poca serietà che si respirava sul set. Tutte queste problematiche non impedirono comunque ai 24 episodi della seconda stagione di venire trasmessi nella stagione 1977-78 (1979-80 in Italia), prima che una brusca interruzione abortisse per sempre l’ipotesi di un ulteriore seguito. Prima di congedare in maniera frettolosa e poco nobile la serie, i produttori avevano pensato ad un ipotetico ed ideale finale ambientato in un remoto futuro nel quale i discendenti degli alphaniani, attraverso un viaggio nel tempo, vengono rimandati nel XXI° secolo per incontrare i loro progenitori, ma purtroppo di questa brillante idea di congedo rimane solo un pallido abbozzo di sceneggiatura mai completato.

Mossi dalla nostalgia e dal grande culto nato attorno alla serie nel corso dei decenni successivi, il 13 settembre 1999 (data coincidente con la famosa detonazione che causa la fuoriuscita della luna dall’orbita terreste e che da il via alla serie), un gruppo numerosissimo di fans vecchi e nuovi si riunì a Los Angeles per una straordinaria conventions a tema dal titolo “Breakway”, durante la quale venne proiettato un cortometraggio dal titolo “Messaggio da base lunare Alpha”, scritto dallo storico sceneggiatore della serie Johnny Bryne e prodotto amatorialmente dal fan club Fanderson, nel quale l’ormai anziana e celebre attrice Zenia Merton ritorna nei nostalgici panni dell’analista dati Sandra Benes per parlare con i terrestri ed informali che gli alphaniani si sono finalmente installati su di un nuovo pianeta.

Pensato come un tanto sospirato prologo ad un possibile sequel della storica serie, in realtà esso rappresenta niente di più che un commosso e definitivo omaggio ad uno dei fenomeni di culto televisivo che, per oltre quarantenni dal suo esordio sui piccoli schermi, è riuscito a crearsi un seguito senza pari, così come testimoniano le numerose riedizioni e le citazioni dirette ed indirette nel corso del tempo, divenendo un vero e proprio caposaldo della fantascienza raccontata in cinquanta minuti.

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