Sergio Castellitto e Rocco Papaleo durante la lavorazione del film "La Buca", regia di Daniele CiprìRoma-Svizzera 2013-2014Daniele Ciprì presenta, assieme al cast, La Buca, la sua opera seconda in solitaria dopo E’ stato il figlio. Co-produzione italo – svizzera di Malìa e Imagofilm, distribuita da Lucky Red, questa commedia grottesca e surreale sull’incontro tra un truffatore e un ex detenuto (Sergio Castellitto e Rocco Papaleo) sarà in sala dal 25 settembre.

 

Ci sono molte citazioni, da Dino Risi a Tim Burton, aveva pensato a questi autori? Quali omaggi voluti ha inserito?

Daniele Ciprì:Nel raccontare una storia parto da un’idea realistica, ma navigo in un’evocazione del cinema (non una citazione, ho paura quando si dice “citare qualcuno”). Sicuramente voglio fare un viaggio. Col cinema di oggi, da spettatore, non viaggio più, allora cerco di farlo coi miei film. Non riesco ad immaginare una storia in un luogo realistico, così lo faccio in un non luogo, o in un luogo costruito dal mio immaginario. Cerco di rubare dai caratteri della vita, per poi farli vivere in questo immaginario, ossia quello che ho vissuto da piccolo col cinema e con le fiabe. La fiaba fa parte della storia de La buca”.

Sergio Castellitto:C’è un gioco di riferimenti. Quando Daniele mi dice: Jack Lemmon e Walter Matthau, io rispondo: Gassmann e Tognazzi. Il cinema di Ciprì sta molto bene nell’impianto culturale della cinefilia. Il passo in avanti fatto con questo film è aver saputo sporcarsi le mani con qualcosa di più popolare, comico, sanguigno. Noi (Castellitto e Papaleo ndr) abbiamo recitato qui come due solidi attori di commedia, per raccontare cose serissime ridendo”.

La scena nello studio fotografico vira al bianco e nero, voleva ricordare così il periodo del lavoro con Maresco?

C.: “Era un riferimento dovuto a Mel Brooks, che mi ha accompagnato e ho citato volutamente, con un film che mi era piaciuto molto: Frankenstein Junior. Il riferimento al mio passato, invece, è in tutto ciò che faccio, ma Cinico tv era un altro pianeta”.

Chi sono i vostri personaggi?

Rocco Papaleo:Armando è un personaggio complesso, anche in un certo senso monotono. Era complicato da raffigurare. L’idea che mi sono fatto è che sia una specie di angelo che cade dalla prigione, è senza rancore, questa è la chiave dell’anima di quest’uomo. Non vuole vendicarsi, né ribaltare il suo ingrato destino. Se ne sta lì, con un incanto ingiustificato”.

C.: “E’ sempre divertente interpretare il ruolo del cattivo. Ho abbandonato la mia tradizione di attore drammatico e questo personaggio mi ha fatto godere il piacere dello scatenamento fisico. La possibilità di recitare velocemente, quasi a limite dell’inciampo, era una bella scommessa, molto atletica. Oscar è un personaggio che cerca di dare una dignità quasi filosofica alle truffe che organizza, di rendere letterario il suo essere un manigoldo. La sua filosofia – estrae una t-shirt e legge la frase che vi è stampata – è che “un buon avvocato conosce la legge, un grande avvocato conosce il giudice”, un tema che in Italia mi sembra sia stato percorso molte volte”.

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