Festa di Roma 2015 conferenza stampa del film Au plus près du soleil

Il regista Yves Angelo, la protagonista Mathilde Bisson e il produttore del film Au plus près du soleil hanno presentato nella sala Petrassi dell’Auditorium il loro film, suscitando la curiosità della moderatrice dell’incontro proprio per via della scelta della storia, un racconto a tinte forti e tragiche. Secondo Angelo, la domanda posta risultava troppo ampia e generica: sono partiti prima di tutto dalla storia di due donne, una madre adottiva e una naturale, che re- incontra dopo anni il figlio biologico abbandonato anni prima. Solo in un secondo momento la storia si è strutturata maggiormente includendo un’analisi del rapporto tra bugia e verità, finzione e realtà e le loro conseguenze.

 

Au plus près du soleil 1Per questo motivo si è scelto di calare entrambi i protagonisti, Sophie e Olivier, nell’ambito giuridico: lei magistrato e lui avvocato, entrambi perdono lentamente il confine tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, con degli esiti drammatici che avranno delle conseguenze sulla realtà della loro famiglia. Trovare la verità è un processo complesso e drammatico smarritosi sul fondo del gioco di specchi delle loro bugie, riconfermando la tesi- come ha sottolineato la moderatrice- che in fin dei conti non si finisce mai di conoscere fino in fondo le persone, perfino quelle che amiamo.

Si crea, sempre secondo Angelo, un complesso d’estraneità verso l’altro: cosa si sa in effetti di lui/lei? Della sua vita professionale/sentimentale? Conoscere meglio l’altro consiste di conoscere meglio prima di tutto sé stessi.

Un altro dei temi più interessanti del film è quello legato alla manipolazione, sia nella vita di tutti i giorni (e legato appunto alle bugie e alle menzogne) che al concetto stesso di regia, dove l’occhio meccanico della macchina da presa costringe, in fin dei conti, lo spettatore ad andare in una certa direzione, a vedere solo ciò che gli mostra.

Manipolare, per Angelo, consiste nell’allontanarsi progressivamente dalla realtà, sviandola e rivelandola in senso cinematografico; nello specifico la macchina da presa non si limita solo a questo processo, piuttosto si propone come scopo quello di riproporre le emozioni percepite attraverso la recitazione degli attori stessi.

La prima domanda rivolta all’interprete di Juliette riguarda la costruzione del suo personaggio: sia l’attrice che il regista sono d’accordo nel descriverlo come un’(anti) eroina degna dei romanzi di Simenon; una donna che porta ad un destino fatale, inafferrabile, difficile da comprendere, che pone una distanza invalicabile tra lei e gli altri che si carica di mistero. Una caratteristica ricorrente del suo personaggio, insieme al vagabondaggio: Olivier non prova nessun sentimento per lei, ma più la allontana, più una strana forza magnetica lo riporta da lei. La volontà della Bisson era quella di trasformare il personaggio di questa donna in una sorta di proiezione fantasmatica, un’icona di donna pericolosa, bionda, fatale e animalesca, un carattere con nessuna caratteristica organica quanto animale, spinta da istinti e stimoli che ci accomunano alla loro sfera.

Al produttore del film viene domandato se quello pensato fosse in effetti l’unico finale possibile: no – replica- non era l’unico valutato, ma era quello più adatto per sciogliere i nodi narrativi dei personaggi. Secondo il regista, il film inizia con il pensiero di un suicidio e si chiude allo stesso modo sottolineando l’idea che sia gli uomini che le donne di legge possano spingersi fino all’omicidio per riappropriarsi della propria vita: Nella pellicola non c’è un forte manicheismo ma i personaggi- allo stesso tempo non creano empatia.

Per quanto riguarda l’aspetto tecnico, Angelo ha scelto di privilegiare l’uso del primo e del primissimo piano proprio perché si tratta di un film lontano dal canone descrittivo e contemplativo (nel quale si predilige una certa distanza formale dai personaggi) al contrario invece in questo caso è impossibile allontanarsi troppo da loro, perché la macchina da presa spontaneamente decide di avvicinarsi, di annusare letteralmente gli attori trasformati in veri e propri animali sulla scena, dominati solo dal loro istinto e dalle emozioni.

Un’ultima domanda- prima di congedarsi- investe l’aspetto musicale della pellicola, e il motivo specifico che ha spinto Angelo a non prediligere una colonna sonora vera e propria: come per la scelta delle inquadrature, anche la musica non poteva che essere diegetica e scaturire direttamente dalla pellicola stessa, dalle sue scene più cariche d’intensità, e non dall’esterno; questo perché una vera e propria musica extra- diegetica manipola ulteriormente- a livello emotivo- lo spettatore, pilotandolo verso specifiche emozioni che deve suscitargli.

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